Un partito non è chiesa o bottega

di Giovanni Deluna

«Al mattino discutevamo con rabbia, al pomeriggio discutevamo le regole e la nostra testa diventava un’altra». Così Vittorio Foa, che proprio questo 18 settembre avrebbe compiuto 100 anni, ricordava i tempi dell’Assemblea Costituente. Era l’Italia che riscopriva la democrazia. Era l’antifascismo che si presentava al paese: pluralismo politico e pluralismo sociale; legittimazione delle differenze; democrazia come partecipazione e non solo come garanzia; il conflitto politico, il confronto anche duro tra maggioranza e opposizione, coniugato con il rispetto delle regole, con la condivisione di una comune appartenenza a uno spazio pubblico saldamente presidiato dai valori della giustizia e della libertà. Fu quello il retroterra culturale ed esistenziale da cui scaturì il «miracolo» della nostra Costituzione. Vittorio Foa, eletto nel 1946 nelle sparute file del Partito d’Azione, ne fu un protagonista assoluto. Un libro appena uscito – Vittorio Foa, Scritti politici. Tra giellismo e azionismo a cura di Chiara Colombini e Andrea Ricciardi (Bollati Boringhieri) – ci consente ora di ripercorrere i lineamenti ideali e le posizioni teoriche che segnarono il Foa di quella fase.…

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L’Italia e gli italiani: dilemmi antichi di un Paese debole

di Dino Messina

Il 17 marzo 2011 avvenne il miracolo dello Stellone, tutti uniti a celebrare i centocinquant’ anni dell’ Unità d’ Italia: laici, cattolici, di destra, di sinistra, governo, regioni, province, comuni. Ci fu una corsa impensata alla solidarietà: i Volontari dell’ integrazione, organizzati dalla Lega Nord, donarono agli immigrati clandestini permessi di soggiorno gratuiti a tempo indeterminato… Smessi per un momento i panni dello storico, Emilio Gentile, uno dei nostri maggiori studiosi del fascismo, immagina più o meno così il lieto fine delle prossime controverse celebrazioni unitarie, descritto da uno storico del 3011, nelle pagine conclusive del suo nuovo pamphlet, Né stato né nazione, edito da Laterza (pagine 116, 9). Poche righe di beneaugurante fantastoria e una forte dose di ironia a conclusione di una puntuale e brillante carrellata che si inizia con la famosa citazione di Massimo D’ Azeglio. Però la citazione giusta, perché lo scrittore e marchese di Torino mai scrisse «fatta l’ Italia bisogna fare gli italiani», ma qualcosa di molto somigliante: «Pensano a riformare l’ Italia, e nessuno s’ accorge che per riuscirvi, bisogna prima che si riformino loro».…

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Quanti servi in giro per l’Italia

di Nello Ajello

La libertà, ammoniva Cicerone nel De republica «non consiste nell’avere un buon padrone, ma nel non averne affatto». Per attribuire il giusto peso alla differenza, è istruttivo il caso Italia all’inizio di questo XXI secolo (a patto, s’intende, di dubitare che il padrone sia buono). Il lettore capirà senza sforzo di cosa stiamo parlando. Per arricchirne le meditazioni, si può suggerirgli il volume di Maurizio Viroli, La libertà dei servi (Laterza, pagg. 144, euro 15).

L’autore, docente di teoria politica a Princeton, veste da sempre, con successo, l’abito dello storico dei fatti italiani. Qui, inclinando al gusto del pamphlet, lo fa con molta efficacia. Ci si trova a sfogliare un vademecum delle recenti vicende italiane: i materiali di cronaca sono presentati in una versione culturalizzata che li rende appassionanti.

Gli scrittori che Viroli chiama a sorreggere la sua narrazione vanno da Tacito e Plutarco, passando per Machiavelli, Goldoni e Baldassarre Castiglione, Gioberti e Mazzini, fino a Calamandrei, Salvemini, Sylos Labini, Bobbio o Sartori.…

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Democrazie senza democrazia

di Giovanni Bianco

Nel vivace e costante dibattito sulla crisi della democrazia deve essere segnalato un denso e meditato contributo di Massimo L.Salvadori, insigne storico, contemporaneista, “Democrazie senza democrazia”(Laterza,2009).

Il volume si prefigge “di ragionare sul rapporto che corre tra la democrazia come ideale e le sue forme di attuazione, di illustrare le ragioni per cui l’ideale è entrato in rotta di collisione con la realtà.” E ciò soprattutto alla luce degli esiti perversi della globalizzazione economica:”la democrazia, sorta come mezzo per porre fine al potere totale o prevalente di monarchi e di gruppi oligarchici, è venuta infatti ad assumere il carattere di un sistema che ha riconsegnato per aspetti cruciali il potere a nuove oligarchie, le quali tengono le leve di decisioni che, mentre influiscono in maniera determinante sulla vita collettiva, sono sottratte a qualsiasi efficace controllo da parte di istituzioni democratiche.Si tratta sia di quelle oligarchie che, titolari di grandi poteri privi di legittimazione democratica, dominano l’economia globalizzata…; sia delle oligarchie di partito…”(p.IX).…

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Mi rivolto dunque siamo

Giovanni Bianco

La casa editrice “Elèuthera” ha pubblicato, da poche settimane, gli scritti politici di Albert Camus (“Mi rivolto dunque siamo”), editi, tra gli anni cinquanta e sessanta, dalle “edition Gallimard” (la quarta ed ultima edizione è risalente al 1965). Camus torna a scuoterci ed a sollecitarci. Come osserva Vittorio Giacopini, nella breve e densa introduzione al libro, oggigiorno la sfida del teorico dell’ “assurdo” quale condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo, dello scrittore esistenzialista che “a volte sembrava combattere contro i mulini a vento o contro un’ombra”(p.9), “ritorna in primo piano con un’impellenza diversa e sconcertante”, perchè nell’età di “pensiero unico, globalizzazione, trionfo del capitalismo” “l’intera esperienza politica e sociale dell’occidente presuppone la rinuncia a qualsiasi immagine di trasformazione complessiva e un’adesione…agli schemi del presente e alle sue leggi”. Che significa “rivoltarsi”? Significa “non volersi rassegnare a lasciar cadere l’istinto di una ribellione immaginifica”, “persino in un mondo tramortito dal conformismo”. Camus si dichiarava “nemico di ogni ideologia” ed “allergico a tutte le religioni”, pensava alla necessità di azioni collettive: “visto che non viviamo più i tempi della rivoluzione, impariamo a vivere almeno il tempo della rivolta”(p.10), che significa anzitutto impegno storicamente situato, che non si arrende all’individualismo, che cerca i “no” che “bisogna inventarsi” nel “secolo della paura” (“Nè vittime nè carnefici”, p.17).…

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