Spagna, prove per la catastrofe
di Cesare Segre
Le persone anziane hanno vivo il ricordo della guerra di Spagna (1936-1939). Se ne parlava molto nei nostri giornali, e s’era cercato di creare un clima eroico, analogo a quello suscitato durante la conquista dell’Etiopia. Pareva quasi che la guerra di Spagna fosse un’iniziativa italiana, e combattuta soprattutto dagli italiani, gloriosamente. Il film L’assedio dell’Alcazar (1940) di Augusto Genina rispecchiò bene quel clima. Solo dopo la caduta del fascismo i fatti ritornarono a posto e ripresero le giuste proporzioni, anche se molti particolari sono ancora oggetto di discussione, e una communis opinio manca.
La guerra civile, che diede occasione agli interventi stranieri, era scoppiata in seguito al golpe di un gruppo di militari spagnoli ribelli alla Repubblica democratica nata in Spagna nel 1931 e dominata dalla sinistra in seguito alle elezioni del 1936. La Germania nazista e l’Italia fascista entrarono subito in azione in appoggio ai golpisti, di cui aveva preso la guida il generale Francisco Franco, allora alla testa di truppe coloniali in Marocco. Fu una guerra lunga e sanguinosa, che anticipò le guerre imperialistiche di Adolf Hitler, i cui prodromi, come l’annessione dell’Austria (1938), furono contemporanei alle fasi delle operazioni in Spagna. Decisivo il fatto che a favore della Repubblica si batterono delle Brigate internazionali composte da antifascisti di tutta Europa e, direttamente, la Russia comunista, a favore degli insorti si schierarono i due Stati fascisti, Germania e Italia, mentre gli altri Stati europei, soprattutto Francia e Inghilterra, sceglievano una politica di non intervento ( appeasement), mostrando però simpatia per la Repubblica.
Fare la storia di questi avvenimenti è difficile, perché occorre tener presenti la situazione sociale della Spagna liberata dalla dittatura di Miguel Primo de Rivera e le spinte riformistiche, e in parte rivoluzionarie, che agitavano gli spagnoli; capire i motivi della reazione antidemocratica, che ebbe l’appoggio deciso degli ecclesiastici spagnoli (più cauto il Vaticano di Pio XI) e di parte dell’esercito, che la Repubblica aveva cercato di sveltire e controllare; tener presente lo stato degli armamenti e l’organizzazione militare; seguire gli avvenimenti nell’arena internazionale.
Un quadro estremamente complesso, sul quale riesce a portare un chiaro ordine Lucio Ceva, con il volume Spagne 1936-1939. Politica e guerra civile, edito da Franco Angeli (pagine 450, € 48). Si sa che Ceva, dopo una grande carriera di avvocato, è passato a insegnare Storia delle istituzioni militari nell’Università di Pavia. E questo è evidente nelle informazioni che fornisce sulle posizioni degli schieramenti avversi e sui loro movimenti, nonché sul numero dei combattenti, sulle armi impiegate, sulle tecniche militari. Ma il massimo impegno riguarda il panorama internazionale, dai disegni strategici alle sottigliezze della diplomazia. Perché la Seconda guerra mondiale, anche secondo Ceva, ha avuto inizio nella guerra di Spagna; mentre la successiva «guerra fredda» allungò poi la vita del dittatore Franco, necessario alla strategia americana.
Ci sono molte pagine indimenticabili, come quelle sul tentativo dei golpisti d’impossessarsi di Barcellona la notte del 19 luglio 1936: mosse e contromosse sono descritte momento per momento, luogo per luogo, con un’alternanza angosciante di successi e di scacchi che termineranno con la momentanea vittoria dei repubblicani. Ma indimenticabili anche le pagine sui miglioramenti tecnici, che fecero di quella guerra un crudele collaudo dei mezzi e delle strategie (collaudo pagato dagli abitanti di Guernica, vittime di un bombardamento degli aerei tedeschi, e da quelli di Barcellona, decimati dai bombardamenti italiani). Sulla concorrenza tra i grandi fabbricanti di velivoli, come Fiat e Caproni, sull’abbandono dei duelli aerei, resi ormai impossibili dalla maggiore velocità degli apparecchi, sul confronto tecnico fra gli aerei tedeschi e quelli italiani, si trovano notizie estremamente interessanti.
Perché è caratteristica di Ceva l’attenzione ai particolari spesso decisivi. Calcolare ad esempio il prezzo d’ingaggio e gli stipendi, piuttosto cospicui, dei militari italiani (circa 40 mila), spiega l’alto numero di «volontari». Spesso si trattava di uomini fatti, con famiglie numerose, rassegnati a rischiare la vita per assicurare la pagnotta ai loro cari. I veri volontari erano dall’altra parte, quella degli antifascisti, e pagavano sempre di persona. In caso di cattura da parte dei fascisti, il trattamento fissato da Mussolini, come racconta anche Galeazzo Ciano, era lineare: “Mi ordina di farli fucilare tutti”, ed aggiunge: “I morti non raccontano la storia”». Ma intanto l’antifascismo, anche italiano, prese per la prima volta le armi, e si assuefece agli anni duri che si preparavano pure da noi.
(articolo tratto da “Il Corriere della sera” dell’8 novembre 2010,pag.33)