Dialogo sulla politica della cultura

di Giovanni Bianco

L’editore “Il melangolo” ha pubblicato un pregevole volume, “Dialogo sulla politica della cultura” ( 2009, pp.70 ), composto di tre contributi, due di Umberto Campagnolo (il secondo è una replica) ed uno di Norberto Bobbio, preceduto da una introduzione di Davide Cadeddu.
Il saggio di Campagnolo ( “Politica e filosofia”, p.37sgg.), filosofo e filosofo della politica, fornisce una rigorosa ricostruzione delle principali correnti di pensiero della filosofia politica, attraverso il riferimento alle fondamentali teorie evincibili dai classici del passato e da importanti opere moderne e contemporanee, da Platone ed Aristotele sino a Benedetto Croce.
Bobbio nel suo scritto ( “Filosofia politica o politica della filosofia? Risposta a U.Campagnolo”,p.57sgg. ) confuta l’impostazione metodologica di Campagnolo, critica una concezione statica ed astratta della filosofia politica e propone, per il suo studio, un punto di vista realistico, propositivo ed attivo, capace di adempiere ad una funzione “paideutica” di ciascun consociato nella cornice di una società pluralista.

Per Bobbio, dunque, l’approfondimento delle principali dottrine politiche deve perseguire uno scopo attualizzante, volto alla migliore analisi e comprensione dei travagli e dei conflitti del presente storico, del mondo contemporaneo, per svolgere un compito di educazione di ogni individuo.
Giova, al riguardo, richiamare quanto lo stesso autore scrisse nel 1955, in un suo fondamentale contributo, “Politica e cultura”, sul “mestiere dell’intellettuale” nella contemporaneità, difficile perchè “il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dubbi, non già di raccogliere certezze”, cioè di “dover rifuggire” dalle “alternative troppo nette”, in un tempo che, invece, le propone di continuo, spesso drammaticamente; di difendere il “diritto alla libertas philosophandi” ed alla “libertà della ragione rischiaratrice”; di “agire per la difesa delle condizioni stesse e dei presupposti della cultura”, “senza appartarsi” e riflettendo “di più di quel che si faccia di solito negli istituti ufficiali della cultura accademica sui problemi della vita collettiva”.

Anche nel dialogo con Campagnolo emerge, perciò, la feconda originalità del pensiero bobbiano, che non vuole limitarsi ad una dotta interpretazione dei testi della filosofia politica,pur avendo dedicato notevoli studi ad essa, ma si pone l’intento di ripensare la “storia delle idee” nel solco di una filosofia laica che intende essere “filosofia civile”, perchè “non vi è nulla di più seducente , oggi, che il programma di una filosofia militante contro la filosofia degli “addottrinati”” (v.”Politica e cultura”, p.16).
Non esiste, di conseguenza, per Bobbio, una filosofia politica solo ripiegata su sè stessa, che cerca esclusivamente nella propria tradizione il suo principale riferimento; bensì un interrogarsi sui suoi grandi concetti ed argomenti , a cominciare, ad esempio, dalla natura e dai fini dello Stato, per giungere ad “un’acuta percezione dei dilemmi del secondo Novecento” all’insegna del dialogo e della tolleranza.
Pure dal breve articolo del testo traspare il tendere ad un colloquio lucido e pacato con interlocutori diversi, sovente muovendo da chiavi di lettura e paradigmi non omogenei, come nel caso del confronto con Campagnolo, che nella sua replica ribadisce puntualmente il suo differente angolo visuale.

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