Una prima analisi critica dell’attuale travaglio della destra
di Giovanni Bianco
Opinionisti e politologi hanno dedicato, nell’ultimo mese, non poche ed interessanti analisi agli attuali travagli della destra ed al dualismo conflittuale Berlusconi-Fini.
Il Cavaliere è stato, dunque, attaccato in pubblico, davanti al “popolo della libertà”, con l’indice puntato e toni concitati, da Fini, l’ex delfino del leader neofascista Almirante, che oggi è sostenitore di un’idea di destra repubblicana e laica, pur se conservatrice.
Si è giunti persino a parlare, da parte di Ezio Mauro, di “ferita al corpo mistico del sovrano”.
Cosa si nasconde nel fondo della diatriba suaccennata? Ci sono soltanto ideali e nobili intenzioni o, soprattutto, una lotta per il potere di medio e lungo periodo, che riguarderà il “dopo Berlusconi”?
Per ora la rissa sfiorata non ha prodotto grossi risultati, se non un gran clamore e la conferma del basso tasso di democraticità del Cavaliere, che in fretta e furia ha fatto approvare, da una maggioranza molto estesa, un documento contro la costituzione di correnti nel suo partito, di cui Fini è cofondatore, così volendo ribadire che il Pdl coincide con la sua persona e con un popolo guidato carismaticamente dal capo illuminato.
Fini, perciò, è nient’altro che una molto minuscola minoranza, abbandonato da gran parte degli ex aennini.
Ma, al di là dei numeri, che in politica ed in democrazia hanno grande peso, permangono non poche perplessità.
Anzitutto sul retroterra finiano. Esso era quello del vecchio ed anticostituzionale Msi, forza reazionaria e neofascista sino al congresso di Fiuggi, nel quale nacque An.
Certamente, in politica le evoluzioni sincere sono ammissibili. Tuttavia, il punto dolens è il seguente: qual’è la dose di gattopardismo presente nelle attuali scelte di fondo del presidente della camera?
In secondo luogo, la sua continua e costante trasformazione politica.
Dalla fondazione di An, per alcuni lustri, l’alleanza con il Cavaliere ha resistito quale patto di lunga durata; si è pure realizzata una discreta intesa con Bossi (come non ricordare la famigerata “legge Bossi-Fini”), pur con differenze su alcune tematiche rilevanti, quale il modello di federalismo da perseguire.
Attualmente Fini si batte contro le leggi “ad personam”, per il rispetto delle istituzioni, per uno Stato laico ed autenticamente pluralista e lo fa perdendo, anche, il sostegno di non pochi colonnelli di An.
Certamente, non si può, da sinistra, non auspicare l’avvento di una destra europea e più credibile, conservatrice ma legalitaria e costituzionale.
Però taluni dubbi restano. Insomma, necessitano ulteriori prove di fedeltà repubblicana e di antifascismo convinto, pur non potendosi trascurare quelle che ci sono già state.
In terzo luogo, il conformismo e l’attaccamento alle poltrone degli uomini del Pdl. Non è un caso che Fini rappresenti una piccola minoranza. Il Cavaliere, con il suo denaro ed il suo grigio sistema di potere, con la sua corte, fa comodo, assicura consenso, sodalizi solidi, qualcuno anche losco.
La mentalità che domina e pervade questa destra, a prescindere dalle dichiarazioni rese in pubblico, è, prevalentemente, di basso profilo e da basso impero: del tutto ripiegata sulla difesa di interessi forti e di privilegi, poco incline a battersi per valori condivisi soprattutto nel centrosinistra, quali l’eguaglianza e la difesa dei principi dello Stato di diritto.
Insomma, meglio non illudersi troppo.
I tempi dell’avvento di una democrazia di tipo europeo e compiuta in Italia sono lenti e piuttosto lunghi, con ciò non intendendo sostenere che è un’aspirazione da riporre in soffitta. Essa è da perseguire con aderenza alla realtà politica e senso critico, nella consapevolezza dei forti limiti dell’attuale ed instabile bipolarismo.
E nel centrosinistra c’è anzitutto da svolgere un ruolo di stimolo, anche sollecitando il Pd e l’area progressista a non inseguire le suadenti sirene della “democrazia semplificata” e della facile, spesso superficiale, adesione ai dettami del neoliberismo egemone.