Svimez, l’Italia riparte ma la Sicilia resta indietro
di Gioacchino Amato
L’Italia riparte ma la Sicilia resta indietro insieme alla Calabria e alla Basilicata in un Mezzogiorno che in ogni caso, dopo il “rimbalzo” post crisi pandemica avrà ancora da recuperare 1,7 punti di Prodotto interno lordo perso nel 2020 e 8 punti rispetto al 2000 mentre il Nord fra quest’anno e il prossimo tornerà a livelli pre Covid e con un Pil di 7 punti in più del 2000. Sono i dati dell’ultimo rapporto Svimez che non a caso si intitola “Nord e Sud: uniti nella crisi e divisi nella ripartenza”.
L’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno ha analizzato i dati sulla crisi dovuta alla pandemia ed elaborato le previsioni sull’effetto che avranno nell’economia delle varie regioni le politiche di contrasto della crisi del biennio 2021-2022 e il Piano nazionale ripresa e resilienza. Secondo Svimez per la Sicilia la ripresa sarà più blanda e anche più lenta rispetto alle altre regioni del Paese. Il Pil dal -6,5 per cento dello scorso anno passerà al +2,8 quest’anno e al +3 del 2022. Valori paragonabili a quelli di Calabria e Basilicata, peggiori del Molise. La Campania dal -8,4 passerà al +4,2 quest’anno e +3,6 nel 2022, la Puglia da -8,2 a +3,5 e +3.
Con una crescita più marcata già quest’anno che dimostra la maggiore capacità di intercettare la ripresa e la debolezza strutturale dell’economia siciliana. Anche l’occupazione crescerà dell’1,6 per cento quest’anno e del 3 per cento nel 2022. Meglio le esportazioni con un +6,2 nel 2021 e +5,9 l’anno prossimo. La spesa delle famiglie che lo scorso anno si è contratta dell’11,5 per cento, quest’anno crescerà del 2,6 e nel 2021 del 3.9. Ma il giudizio finale resta impietoso: «Una parte non piccola dell’economia meridionale, almeno in termini di popolazione, è sempre più slegata all’evoluzione ciclica generale» e la Sicilia è in quella parte, secondo gli analisti Svimez in compagnia di Calabria, Molise e Sardegna.
Anche i soldi del Pnrr potrebbero non bastare, la Svimez calcola che il 40 per cento delle risorse sono destinate al Sud ma che se questa percentuale fosse stata aumentata al 50 per cento non solo avrebbe fatto crescere di più Pil e occupazione del Sud ma avrebbe fruttato alla crescita complessiva dell’economia nazionale un punto di Pil in più. Invece il rischio è che questo 40 per cento si eroda ulteriormente: manca la ripartizione territoriale di 182 miliardi di fondi per nuovi progetti e 53 miliardi per progetti già finanziati. E soprattutto «la minure capacità progettuale delle amministrazioni meridionali le espone a un elevato rischio di mancato assorbimento. Con il paradosso che le realtà a maggior fabbisogno potrebbero beneficiare di risorse insufficienti».
(palermo.repubblica.it, 29 luglio 2021)