Quelle toghe sporche

di Paolo Flores d’Arcais

Magistrati integerrimi e imparziali sono l’ultima difesa per il cittadino dal governo assoluto e criminale. Quando un regime riesce a infiltrare anche la magistratura, piegandola al proprio servizio, un paese sventurato è già entrato nel tunnel del totalitarismo. Da quasi vent’anni un ex chansonnier per croceristi, in foia di dominio mussoliniano, va ripetendo, con la potenza di fuoco della sua dittatura mediatica, che il cancro dell’Italia sono i giudici politicizzati, le “toghe rosse”. Pura falsità, contraddetta da infiniti magistrati dei “suoi” processi, molto spesso di simpatie politiche decisamente a destra. Ma “soggetti solo alla legge”.

Esiste invece il cancro delle “toghe sporche”, dei magistrati che vorrebbero le procure come “porti delle nebbie”, dei giudici che vendono le sentenze. Pochi, ma sempre troppi. Definitivamente troppe, soprattutto, le “toghe di regime”, sensibili alle sirene del potere che dovrebbero controllare, o addirittura irretite e infine attivamente succubi. Toghe come Antonio Martone, Giacomo Caliendo e Arcibaldo Miller, intercettate in combutta con la P3 di Dell’Utri, Verdini e Carboni, ad esempio. Questi ultimi non “quattro sfigati in pensione”, come ha provato a depistare il loro mammasantissima, ma veri pezzi da novanta. Il segno di una metastasi. Se non viene estirpata subito l’Italia è finita.

C’era perciò da aspettarsi che venissero immediatamente suonate le campane a martello dell’emergenza giustizia. E scattassero i provvedimenti chirurgici. Ma nessun monito – meglio se inequivocabile – si è ancora levato dal presidente del Csm, che è anche il presidente della Repubblica. In compenso il vicepresidente Nicola Mancino ha tappato la bocca ai numerosi consiglieri che volevano intervenire per appoggiare la proposta di Livio Pepino per una riunione plenaria urgente, dedicata a “fare pulizia”. Si rende conto l’ex ministro democristiano, che mentre lui cincischia “Saguntum expugnatur”?

È grazie alle mene della P3, infatti, che alla testa della Corte d’Appello di Milano è stato scelto Alfonso Marra invece di Renato Rordorf, cui la nomina spettava per schiacciante superiorità di competenze e titoli. E senza l’intercettazione che portò in galera Balducci, Achille Toro sarebbe in pole position per il vertice della Procura di Roma, e magari sarebbe riuscito a “troncare e sopire” l’inchiesta che ha scoperchiato la P3.

Sulle “toghe di regime” si gioca quel che resta della civiltà del Paese. Non c’è spazio per i Ponzio Pilato. Chi non fa TUTTO quanto è in suo potere per estirpare il cancro è COMPLICE.

(Articolo tratto da “Il Fatto Quotidiano” del 15 luglio 2010, p.1)

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