Perchè non c’è stato l’effetto Sarkozy
di Marc Lazar
Le elezioni italiane, a meno di una settimana dal secondo turno di quelle francesi, aveva indotto i commentatori a tentare accostamenti tra questi due scrutini regionali. L’ intento era di verificare se in anche Italia – fermo restando il valore relativo di ogni confronto – fossero riscontrabili i tre dati salienti del voto francese: bassa affluenza alle urne, voto nettamente punitivo per il presidente Sarkozy, ampia vittoria della sinistra. I dirigenti del Pd speravano che il vento di sinistra d’ Oltralpe soffiasse anche sulla Penisola; e la stessa cosa temevano i responsabili del centro-destra.
L’ osservazione dei risultati del voto regionale italiano e di quello francese presenta un grande interesse, in quanto pone in evidenza da un lato un punto in comune, e dall’ altro due differenze di rilievo.
La Francia e l’ Italia hanno registrato un forte astensionismo, ancorché modulato dalla storia e dalle tradizioni elettorali dei due Paesi. In Francia la percentuale degli astenuti ha raggiunto il 53% al primo e il 48,7% al secondo turno, mentre in Italia è stata del 35,9%. Questi dati, oltre a dimostrare che molti elettori non si riconoscono nei partiti in lizza, sono anche il segno di una crisi del rapporto di fiducia tra i cittadini e i loro rappresentanti. In questo campo non si può parlare né di «eccezione francese» né di «anomalia italiana», bensì di una nuova espressione del profondo disagio politico comune a entrambi i Paesi, al di là delle differenze storiche e istituzionali.
D’ altra parte, in Italia non c’ è stato, in occasione di queste elezioni intermedie, l’ effetto Sarkozy, o in altri termini, un voto ostile alla squadra al potere, e in primis a chi lo incarna e lo dirige. Come si spiega questa divergenza? In primo luogo, il centro-destra non deve il suo successo al Pdl (i cui elettori sono in calo), bensì alla Lega Nord, che ha ottenuto un raddoppio rispetto alle regionali del 2005, conquistando oltre 1.350.000 nuovi voti. Di fatto la Lega, ingombrante alleata di Berlusconi, esercita una funzione sorprendente: quella di canalizzare all’ interno stesso della coalizione di centro-destra un voto critico rispetto alla politica del governo al quale è associata. In Francia il partito del presidente Sarkozy, l’ Ump (Unione per un Movimento Popolare) che ingloba il grosso delle sensibilità di destra, si ritrova solo e senza una riserva di voti; non può allearsi col Fronte Nazionale, il partito di estrema destra che attira gli elettori desiderosi di esprimere una protesta oggi probabilmente difficile da ricuperare – a differenza del 2007 – per Nicolas Sarkozy. In secondo luogo, Silvio Berlusconi si è impegnato nella campagna elettorale, occupando impudentemente la scena mediatica e trasformando lo scrutinio in un plebiscito personale, a differenza del presidente francese. Sarkozy ha rinunciato a comportarsi in maniera analoga non solo in quanto sa di essere attualmente impopolare, ma anche perché un presidente della V Repubblica non può impegnarsi in una consultazione regionale, che per definizione ha dunque una valenza solo regionale.
Il Cavaliere si è nuovamente dimostrato capace di mobilitare una parte del suo elettorato (anche se l’ astensionismo ha penalizzato il suo partito) e può legittimamente proclamarsi vincitore di queste elezioni. Il suo successo rilancia l’ interrogativo sulla sua popolarità – sia pure in declino rispetto al passato – a confronto con quella del presidente francese, che dopo aver vinto largamente le presidenziali del 2007 e iniziato il suo quinquennato con un appoggio popolare molto alto, vede oggi ridursi come una pelle di zigrino la platea dei suoi sostenitori. Berlusconi e Sarkozy hanno in comune il fatto di non essere ancora riusciti a costruire in maniera completa i rispettivi partiti. D’ altra parte, il premier italiano ha senza dubbio eretto con maggior forza la propria leadership, ha accorpato nel «berlusconismo» un insieme eterogeneo di valori, e ha consolidato il suo elettorato, segnatamente nel Sud del Paese.
Inoltre Berlusconi trae vantaggio dall’ idea, largamente diffusa in una parte dell’ Italia, che la crisi economica appartenga al passato, o si possa comunque affrontare agevolmente grazie ai tradizionali ammortizzatori sociali all’ italiana (lavoro nero e famiglia); mentre questa stessa crisi ha sprofondato ancora una volta i francesi in una depressione collettiva.
Infine i francesi sono probabilmente più delusi dei loro responsabili politici, prodighi di promesse, perché credono nel potere della politica e si aspettano molto dallo Stato; mentre gli italiani sanno di dover contare soprattutto su se stessi. Di conseguenza, Sarkozy è giudicato in base al suo consuntivo, come era accaduto in passato, ad esempio, a Mitterrand o a Chirac; mentre Berlusconi è valutato innanzitutto per la sua personalità, che riesce a far passare come del tutto diversa da quella di qualunque altro responsabile politico.
In definitiva, il Pd non ha «tenuto», contrariamente a quanto sostiene nel suo politichese Pier Luigi Bersani, che rifiuta di parlare di sconfitta, dando in questi giorni il peggior esempio di negazione della realtà: secondo il calcoli dell’ istituto Cattaneo, il confronto tra i risultati di Ds e Margherita nel 2005 con quelli del Pd nel 2010 fa registrare un calo di 2 milioni di voti.
In Francia, il successo del Partito socialista si spiega con l’ avversione per Sarkozy, il forte astensionismo tra gli elettori di destra, i buoni risultati dei presidenti uscenti delle regioni a guida socialista, il grave disagio sociale, un’ efficace strategia di alleanze al secondo turno tra il Ps, gli ecologisti e il Fronte della sinistra (che comprende Pcf, ex socialisti ed ex trotzkisti). Il Pd, non potendo approfittare delle debolezze del suo avversario, non ha saputo tradurre in politica il disagio sociale che pure esiste in una parte dell’ Italia; e non è riuscito a convincere, a mostrarsi credibile con la sua strategia, le sue proposte, i suoi candidati. Detto questo, per il Pd come per il Ps la «partita da giocare», per riprendere l’ espressione di Ezio Mauro, è comparabile: proporre un progetto all’ altezza delle sfide del presente e del futuro, stabilire un programma preciso, comprendere le complesse mutazioni della società, fornire una visione del mondo e degli individui, consolidare le alleanze, rinnovare la democrazia, risolvere la questione della leadership, saper presentare una narrativa.
Un programma senza dubbio imponente. Ma con una certezza: in entrambi i casi, il dominio della destra non ha nulla di ineluttabile. Molto – se non l’ essenziale – dipenderà dall’ offerta politica.
Traduzione di Elisabetta Horvat.
(Articolo tratto da “La Repubblica” del 6 aprile 2010,pag.28)