Meloni al Meeting, crociata contro giudici e migranti
di Andrea Carugati
Madre e cristiana, ma assai poco misericordiosa, soprattutto verso i migranti e i giudici che fanno «invasioni di campo» sbarrando la strada ai suoi campi di detenzione in Albania. Giorgia Meloni si presenta al Meeting di Rimini fresca di vacanze, il viso paonazzo per l’abbronzatura, e cita papi, preti e santi, quasi una litania, per mostrarsi devota che di più non si può. E pronta a fare «ogni sforzo» per frenare l’inverno della denatalità aiutando le famiglie: con un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie (progetto a cui stava lavorando Salvini a cui lei soffia l’annuncio).
Invoca una «società amica delle famiglie» senza citare mai la questione dei salari, tanto che sarà poi il leghista a ricordarle che con gli stipendi fermi a venti anni fa mettere su famiglia è quasi impossibile. Lei si concentra sulle promesse di nuovi denari per le scuole private, tanto care ai ciellini: «Dobbiamo assicurare la libertà educativa anche alle famiglie con minori risorse, basta con i pregiudizi contro la parità scolastica». A Maurizio Lupi brillano gli occhi.
SI DICE «PRAGMATICA» ma è a suo agio solo nell’ideologia, quando prende a sassate la sinistra dei «cattivi maestri» che hanno definito «la genitorialità un concetto arcaico e patriarcale». «Non c’è nulla di moderno nell’affittare l’utero di una donna povera, nel privare per legge un bambino della figura del padre o della madre». A suo agio anche quando cita don Giussani per rivendicare lo stop al reddito di cittadinanza: «Un uomo disoccupato soffre un attentato grave alla coscienza di se stesso».
Non c’è spazio per lotte e diritti. «Tra imprenditori e lavoratori serve condivisione, non scontro. Non ho mai conosciuto un datore di lavoro che non considerasse i dipendenti la sua risorsa più preziosa». In trance a tratti mistica, si inerpica a più riprese nell’esegesi di T.S. Eliot, a partire dalla frase che dà il titolo al Meeting 2025, «Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi». «Nel deserto di Eliot, un mondo dove non c’è spazio per la tensione spirituale, ci sono elementi in comune con la storia di Atreju, sapete bene quanto conta per me la sua lotta contro il Nulla».
TRA UNA CITAZIONE E L’ALTRA, arrivano le bordate politiche. «Ogni tentativo che verrà fatto di impedirci di governare il fenomeno dell’immigrazione illegale verrà rispedito al mittente: non c’è giudice, politico o burocrate che possa impedirci di fare rispettare la legge, di garantire la sicurezza dei cittadini, di combattere gli schiavisti del terzo millennio». E ancora: «Andremo avanti con la riforma della giustizia nonostante le invasioni di campo di una minoranza di giudici politicizzati che provano a sostituirsi al Parlamento e alla volontà popolare».
Avanti, aggiunge con toni roboanti, «non per sottomettere il potere giudiziario a quello politico, ma per rendere la giustizia meno condizionata dalla mala pianta delle correnti, per liberarla dalla politica». Sembra di risentire Berlusconi, molto amato al Meeting negli anni d’oro, ma qui non c’entrano le aziende di famiglia: il disegno di sottomissione delle toghe è tutto politico.
E in fondo era dai tempi del Cavaliere che un premier politico in carica non veniva accolto con tanto calore dal popolo ciellino. Con Bernard Scholz, presidente della Fondazione Meeting, che lancia la standing ovation iniziale con parole al miele: «Cara presidente, anche chi non condivide il suo orientamento politico deve riconoscere che lei sta rappresentando il suo governo a livello internazionale con grande senso di responsabilità, coraggio, sincerità e affidabilità». Meloni ringrazia, si alza in piedi a mani giunte, le scappa pure una lacrima.
Ma, al netto delle affettuosità, la premier arriva e se ne va dalla fiera di Rimini senza visitare neppure uno stand o stringere la mano a un volontario. Blindatissima, coi ragazzi del servizio d’ordine con le magliette verdi catechizzati a dovere: «I giornalisti non si possono avvicinare». Un’ossessione già manifestata nel famoso fuori onda di qualche giorno fa a Washington, e che si mostra in modo plastico tra i ciellini, con volontari che prendono per le braccia i cronisti.
TONIFICATA DA TANTA STIMA, Meloni apre il fuoco contro chi aveva pronosticato che la politica estera sarebbe stato il suo «tallone d’Achille»: «Spero che quei profeti di sventura siano ora contenti di essersi sbagliati». Su Netanyahu qualche ovvietà sulla sproporzione tra l’attacco subito il 7 ottobre 2023 e la macelleria di Gaza. E la blanda richiesta, senza alcuna ipotesi di sanzioni che pure il governo potrebbe decidere, di «fermare l’occupazione di Gaza e l’espansione delle colonie in Cisgiordania». Ricorda che «l’Italia è il primo paese non musulmano nel numero di evacuazioni sanitarie da Gaza». Mentre qualcuno, e cioè le opposizioni, «scrive mozioni e urla slogan, noi salviamo vite umane».
Meloni si concede anche una affilata carezza a Mario Draghi, che proprio qui al Meeting qualche giorno fa aveva denunciato i rischi di «irrilevanza» dell’Europa. Critiche che «condivido così tanto da averle formulate molto spesso nel corso degli anni, tanto da venire criticata aspramente anche da chi oggi si spella le mani. Sapevo che prima o poi tutti avrebbero dovuto fare i conti con la realtà».
CRITICHE CONDIVISE ANCHE da Salvini, che contesta però la medicina di Draghi: «Serve meno Europa, non di più, bisogna tornare alla Cee». Il leghista arriva al Meeting all’ora di pranzo, mentre Meloni sta ancora parlando. I tentativi di un incontro tra gli stand a favore di telecamere, perorati da Salvini e dagli organizzatori, si infrangono contro il muro di Meloni, che fugge subito verso San Patrignano, per una visita privatissima.
Il leghista annulla il punto stampa previsto per le 13, sarebbe stato uno sgarbo all’alleata che stava ancora parlando, e inizia a girovagare tra gli stand come un’anima in pena, per due ore, fino a quando trova pace in quello del Mit, dove viene intervistato da Maria Antonietta Spadorcia, vicedirettrice del Tg2 in quota Lega. Definisce «guardonismo d’agosto» le domande sul mancato incontro con Meloni. «Ci siamo sentiti al telefono, come facciamo quasi ogni giorno per lavoro». E rinfocola lo scontro con Macron: «Non l’ho insultato, gli ho detto che a combattere in Ucraina ci va lui, non i soldati italiani. E “taches al tram” è un modo di dire simpatico in milanese. Lo inviterò sulla prima auto che attraverserà il ponte di Messina».
In mezzo a questo teatrino, affiora anche per un tema serio: la proposta di Giorgetti di un contributo dalle banche per la manovra, già tentato gli anni scorsi e stoppato anche stavolta da Tajani. Salvini rincara: «I soggetti economici che hanno guadagnato 46 miliardi possono dare un contributo alle famiglie ella crescita. Già da questa manovra».
(ilmanifesto.it, 28 agosto 2025)

