L’ideologia “oracolare” e fondativa del comico. Il grillismo figlio del “Non”

di Michele Smargiassi

È un avverbio palindromo il grimaldello che può scardinare il quadro politico italiano. Una parolina di tre lettere che non ha significato, ma li nega tutti: non. Il MoVimento 5 Stelle, si legge nel suo “non statuto”, è una “non associazione”, “non è un partito” e “non lo diventerà in futuro”, non ha “organismi direttivi o rappresentativi”, non è di destra e non è di sinistra, non ha tessere, non ha una sede fisica e neppure un leader, anche se ce l’ha, lo sanno tutti. Il lessico comune, che non rispetta i non-statuti, li definisce “i grillini”: un capitale di sdegno, impegno e sincera voglia di cambiamento che ogni partito serio vorrebbe avere alle spalle, ma che un attore comico di successo, con intuitoe doti mediatiche, ha saputo catalizzare attornoa sé nell’Italia provvisoria dalle rivoluzioni continuamente tradite.
Quale sia il ruolo di Beppe Grillo nel MoVimento da lui battezzato (quella V maiuscola in mezzo al nome è la reliquia venerata dell’evento fondatore, il V-day, giorno del gran Vaffa, 8 settembre del 2007, Bologna, decine di migliaia di fan), sta all’articolo 3 del non-statuto che cita Grillo come “unico titolare dei diritti d’uso” di nome e simbolo del MoVimento 5 Stelle, in sostanza il proprietario del marchio senza il quale non si può agire a nome del movimento. Imprimatur amministrato con decisione, come sanno liste e gruppi e singoli a cui è stato negato con diffida scritta degli avvocati del nonleader. Movimento “dal basso” gestito dall’alto, movimento in cui «uno vale uno» ma dove Uno possiede personalmente la legittimazione di tutti. Eppure, come avverte Federico Fornero in un’analisi sul prossimo numero de Il Mulino, alla bomba grillina innescata nelle urne con percentuali da terzo partito, «l’etichetta di “partito personale” sta stretta».
Allora la definizione più calzante per questo singolare cocktail di spontaneismo e personalismo, di orizzontale e verticale, che condivide molte radici ma poche omologie con i movimenti antipolitici emergenti in Europa, dagli Indignados spagnoli ai “Pirati” nordici, forse è quella di “movimento oracolare”. La Verità del movimento sta solo in parte nel suo programma, che potrebbe essere quello di un partito ecologista se in Italia un dissennato ceto politico non avesse dilapidato la chance dei Verdi. Sta nel ricorso, costitutivo dell’identità stessa del MoVimento (la sede è un indirizzo Web, la tessera è un login ), alla Rete come entità in sé, più che come canale di comunicazione. «La Rete ha reagito male», «la Rete ha deciso». Come tutte le personalizzazioni mitiche di un’entità superiore, anche la Rete per i grillini esige un decifratore, un aruspice. Gli articoli dell’eponimo sul blog beppegrillo.it sonoi vaticini che dettano la linea su questioni non previste dal programma, e sfiduciano per eteronomia questo portavoce o quell’eletto, con scomuniche tanto perentorie quanto non emanate da un potere ufficialmente legittimato a farlo. «Beppe ha scritto che», è sufficiente: seguono proteste e tempeste nei meetup locali, raramente scissioni, più spesso accettazioni del responso.
Ma non è banale leaderismo mascherato. Il controllo oracolare garantisce la sopravvivenza dell’esperimento. Il non è un requisito vitale per un movimento che nega alla radice la politica esistente e verrebbe disinnescato dalla più piccola contaminazione: la non-politica può vivere solo se sfugge ad ogni definizione, anche passiva, se “vola” ( fuori, oltre, sopra, parole correnti nel vocabolario grillino) lontano dall’agorà civica dove incrociano i partiti che l’hanno ridotta in condizioni pietose. Questa è forse la vera missione in capo all’oracolo genovese: custodire la purezza del non, sacro Graal della contropolitica.

(“La Repubblica”, 19 aprile 2012)

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