Le conseguenze della “fusione fredda” ed i nodi irrisolti
di Giovanni Bianco
Il dibattito sul futuro del Pd e dell’intera area progressista vive giorni di notevole intensità, si torna a parlare di alleanze con insistenza e persino di “sinistra” senza paure o giochi di parole.
Il nuovo segretario del Pd, nonostante alcune contraddizioni che segnalai tempo addietro e taluni sostenitori che mi lasciano perplesso (penso anzitutto a Letta),sin dalle prime battute ha dimostrato una chiara volontà di superare definitivamente la prima ed incerta immagine del suo partito, quella leggera e gassosa, “all’americana”.
E non può non salutarsi con un certo interesse il discorso fatto al congresso dei radicali pochi giorni fa, in cui si è fondatamente affermato che il Pd non può non avere nel suo dna i valori della sinistra, l’eguaglianza, la libertà e la fratellanza.
Così come deve essere sostenuta da tutte le ali del medesimo partito l’idea di una forza politica di alternativa e non di opposizione, capace cioè di prospettare un programma di governo della società italiana che non si limita all’antiberlusconismo e alla critica dei singoli atti dell’esecutivo, ma mira all’attuazione di un disegno politico complessivo antitetico rispetto a quello della destra al potere.
Cioè di un riformismo di ampio respiro, in grado di rimuovere pure le gravi diseguaglianze sociali che affliggono il Paese reale e di rendere le istituzioni più democratiche e trasparenti nell’ottica delle finalità indicate dalla Carta Costituzionale.
Mi sembra che questa linea, nonostante le diffidenze e le pregiudiziali di alcune componenti del centrosinistra, potrebbe riuscire ad aggregare le multiformi anime del Pd e dell’opposizione.
Tuttavia restano dei nodi irrisolti che hanno un forte peso specifico.
Anzitutto quello di un’opposizione che dovrebbe ruotare intorno ad un partito nato dall’alto, in cui correnti d’opinione tra loro lontane hanno coesistito a stento e senza una vera coesione.
La piccola scissione dei rutelliani costituisce, a ben vedere, l’insofferenza di una componente di centro verso un autentico riformismo di sinistra che intende gettare un ponte anche verso i partiti della “sinistra extraparlamentare” con cui è indispensabile dialogare (specie con “sinistra e libertà”), oltre che verso quelli più moderati.
E’ un atto compiuto a freddo, subito dopo l’esito delle primarie, si tratta di un gesto da criticare, che però è il sintomo della fragilità della “fusione fredda” e del “partito multidirezionale”.
E’ una scelta politica errata, che serve però a far luce, a chiarire le posizioni, a dividere quel che era stato troppo frettolosamente e superficialmente unito.
Rutelli al riguardo era stato chiaro e basta leggere le pagine incondivisibili del suo ultimo libro.
Così come serve a fare chiarezza la scelta di Calearo, il quale era finito all’opposizione per caso, dopo essere stato a lungo corteggiato da FI. Non mi pare ci siano motivi per rimpiangerlo, ed anzi il suo percorso politico è ulteriore testimonianza di una fase di transione caotica e dai contorni labili.
Non è detto che questi siano gli ultimi abbandoni, potrebbero esservene di nuovi, tuttavia è da preferire un centrosinistra più articolato ad uno contrassegnato da sintesi artificiose ed arbitrarie.
C’è poi il nodo della questione morale.
I recenti scandali lo pongono purtroppo in risalto. Con quale credibilità si presenteranno l’area democratica ed il Pd alle imminenti regionali nel Lazio, in Abruzzo, in Campania ed in Calabria?
Come si potrà sostenerà la diversità rispetto al malgoverno della destra?
Vi sono non trascurabili elementi di eterogeneità, ciò è indubbio, ma gli scandali gettano un’ombra lunga che soltanto scelte accorte ed oculate, anzitutto di candidati altamente credibili, potranno dissipare.
Il momento è difficile ed ai media ed alla stampa in mano al Signor B. sarà facile alzare polveroni con il ricorso a slogan demagogici.
Inoltre, resta il problema del centrosinistra nel mezzogiorno, area dominata da clientelismi e signori delle tessere tuttora forti ed arroganti.
Il Pd del sud, come maggior partito dell’area progressista, dovrà seriamente cambiare rotta, perchè i retaggi di una parte della vecchia classe politica democristiana e di una mentalità di “potere per il potere” e di occupazione delle istituzioni con metodi scaltri sono ben radicati.
Si tratta di problemi la cui soluzione richiede tempi lunghi e fasi anche di estrema difficoltà, ma è opportuno affrontarli, non negarli o sminuirli, con proposte incisive e misure drastiche.