Il governo galleggiante dei consensi comprati
di Eugenio Scalfari
CI SONO alcuni fatti che tengono banco in questa giornata che precede di 72 ore la conta del 14 dicembre (se conta ci sarà). Li enumero: il calcio-mercato e l’intervento della Procura di Roma che ha aperto un’inchiesta per reato di scambio di voti; la piazza di San Giovanni dove il Pd ha chiamato a raccolta i suoi militanti; la lettera diramata dalle cosiddette colombe del Pdl e dei finiani affinché “in extremis” si trovi un accordo tra i due partiti che eviti lo scontro sulla fiducia. Ma infine e soprattutto che cosa accadrà dal giorno dopo in poi, quando, superata in qualche modo quella scadenza, bisognerà affrontare il tema della strategia per quanto riguarda la coesione sociale, la tenuta finanziaria del debito e la crescita economica.
I protagonisti sono numerosi. Fin troppo numerosi e portatori di variabili che rendono difficile la quadra, per esprimersi nel lessico di Umberto Bossi. Facciamone i nomi: Berlusconi innanzitutto, Fini, Casini, Bersani (per dire il Partito democratico), Bossi. Al di fuori e al di sopra di questi giocatori in campo c’è Giorgio Napolitano, arbitro e tutore delle regole costituzionali. La funzione dell’arbitro non è mai marginale, ma può diventare assai più importante e addirittura decisiva quando la partita sia piena di brutti falli e di giocatori che mirino più alla rissa che al buon gioco. Ciò detto, dedico qualche parola alla questione morale.
Può sembrare una questione teorica ed in parte lo è, ma è anche un punto di
riferimento per tutte le persone alle quali sta a cuore la dignità del proprio Paese e di se stesse. Queste persone sono molte e di varia cultura e orientamento politico. Ci sono i laici e i cattolici, i giovani e gli anziani, i lavoratori e gli imprenditori, i moderati e i progressisti. La questione morale si pone perché molti, moltissimi cittadini di questo Paese sentono chiaramente che la morale è stata ed è apertamente calpestata. Quando le istituzioni che dovrebbero realizzare, ciascuna nel settore di sua competenza, il bene comune vengono invece piegate a favorire l’utile di chi ne determina l’attività, lì, in quel luogo e in quel momento la morale viene messa sotto i piedi.
Conosco l’obiezione a questa tesi: la politica ha una sua autonomia, Machiavelli insegna. Politica e morale sono due categorie mentali diverse, talvolta perfino contrapposte e comunque autonome l’una dall’altra. Personalmente concordo con la tesi dell’autonomia salvo che su un punto decisivo: i fini della politica debbono essere morali perché perseguono il bene di tutti. L’autonomia della politica riguarda soltanto i mezzi ma anche qui con un limite: i mezzi non possono mai essere contraddittori rispetto ai fini. Qualche esempio pratico. Se una pubblica istituzione viene usata per sistemarvi i parenti e gli amici di chi la dirige, questo mezzo contraddice palesemente la finalità. Se un uomo politico convince un suo collega a cambiar partito, la sua opera di convincimento è pienamente accettabile, ma se compra il consenso o lo mette in vendita, questa è una prassi vergognosa e inaccettabile. La questione morale e il rapporto tra morale e politica è tutto qui. I cittadini elettori possono trovare in questo semplice criterio lo strumento per utilizzare correttamente il loro voto sovrano.
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La piazza di San Giovanni ieri era imponente. Il Partito democratico c’è, è una realtà politica, ha i suoi quadri centrali e locali, i suoi militanti, il suo programma riformatore. Non debbono piacere a tutti, anche all’interno ci sono critiche, a volte ben motivate altre volte demagogiche. Quelle demagogiche fanno chiasso e fanno spettacolo, ma servono solo a disgregare e non a migliorare. Comunque il partito c’è e gli ultimi sondaggi lo danno in recupero di consensi. Recupero modesto. Il bacino potenziale del Pd è stimato al 42 per cento dell’elettorato ma il consenso attuale è appena sopra al 25. Si vede a occhio che il primo compito di chi lo dirige è di recuperare quella zona di indecisi che potrebbero votarlo. Nei prossimi mesi (o settimane?) su questo terreno si misurerà la capacità del gruppo dirigente che dovrebbe muoversi compattamente e non in ordine sparso. Ci sono troppi galli nel pollaio democratico, in certe condizioni l’abbondanza dei galli può essere una risorsa, ma coi tempi che corrono non lo è. Galli e galletti dovrebbero fare squadra. La responsabilità è di ciascuno di loro e in prima istanza del segretario del partito.
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Le colombe moderate del Pdl e di Futuro e Libertà vorrebbero una riconciliazione. I leader delle due formazioni si dicono in principio d’accordo, ma divergono sulle condizioni. Ciascuno pone le proprie. Fini è pronto all’accordo se tutta la sua gente ma anche i suoi alleati (Casini, Rutelli) rientreranno nell’alleanza di centrodestra in posizioni determinanti. Non più un’alleanza con due gambe (Berlusconi e Bossi) ma con quattro. Berlusconi fino all’altro ieri ha temporeggiato ma ieri è intervenuto approvando il documento delle colombe e promettendo una navigazione nuova dedicata alle riforme economiche e istituzionali. Perfino con un ritocchino alla legge elettorale.
Nel tardo pomeriggio è arrivata però la risposta di Fini, che sembra chiudere definitivamente ogni spiraglio alla trattativa. Evidentemente le promesse berlusconiane non sono più credibili, e il passaggio sulla votazione di sfiducia avrà comunque luogo. La lettera dei moderati era piuttosto un trappolone del Cavaliere, la favola sempre attuale del lupo e di Cappuccetto Rosso: il lupo travestito da vecchia nonna benevola, con le sembianze del premier, e Cappuccetto (ma non rosso) con le sembianze del presidente della Camera. Ma Fini non c’è cascato. Bisognerà vedere, adesso, in che modo si comporterà la Lega dopo il 14.
Bossi ha in mano la “golden share” del centrodestra. Dopo il voto di martedì prossimo, quale che ne sia l’esito, con una differenza di un paio di voti o per l’uno o per l’altro, il Senatur valuterà se il peso della Lega resta determinante nell’alleanza di centrodestra, oppure risulta diminuito. Se quest’ultima fosse la sua valutazione, il Carroccio staccherebbe rapidamente la spina. In queste condizioni, la funzione dell’arbitro può diventare decisiva. Il problema di Napolitano non è tanto quello delle riforme, giustizia, Senato federale o altre consimili, pur certamente importanti. Il Capo dello Stato ha già indicato l’assoluta priorità della situazione economica. La prima sua mossa fu quella di congelare la crisi politica per rendere possibile l’approvazione della Legge di Stabilità finanziaria.
Questo risultato, ormai raggiunto, non ha tuttavia esaurito il tema. I turbamenti prevedibili sul mercato finanziario, e la posizione della Germania e della Francia su regole più severe per quanto riguarda i debiti sovrani, rendono indispensabile un governo che abbia piena credibilità rispetto alle autorità monetarie europee e alle istituzioni sovra-nazionali. Un governo galleggiante, presieduto da chi ha già perso gran parte della sua credibilità internazionale, non è l’ideale per attuare una strategia oggettivamente difficile: coniugare crescita e rigore finanziario, far rientrare il debito nei parametri europei, destreggiarsi rispetto alle richieste della Merkel e di Sarkozy per politiche economiche più stringenti che rafforzino l’euro e, non ultimo, recuperare una coesione sociale che sembra aver toccato il livello peggiore da molti anni.
È questo il governo che può affrontare problemi di questa portata? Non dimentichiamo che il sogno di Berlusconi, nonostante tutto, resta quello di trasportare tra due anni Arcore e Palazzo Grazioli al Quirinale. A questo punto credo davvero indispensabile un dibattito sulla questione morale; relatori Verdini, Dell’Utri e Bondi, moderatore il cardinale Bertone. Magari a casa di Vespa dove pare si mangi benissimo. Mi piacerebbe essere invitato.
(articolo tratto da “La Repubblica” del 12 dicembre 2010, pag.1 e 27)