Il conflitto Napolitano-Berlusconi e le colpe della politica

di Angelo Cannatà

Silvio Berlusconi è persona che divide come nessun’altra nel panorama politico italiano: lo odi o lo ami: da vent’anni è così per gran parte dell’opinione pubblica. Sentimenti legittimi. Naturali. Che tuttavia è bene allontanare da sé, per capire davvero ciò che accade oggi sotto i nostri occhi. Lo scontro tra il Capo dello Stato e il leader di Forza Italia tocca in queste ore – dopo le rivelazioni di Geithner – il livello più alto. Napolitano: non c’è stato nessun complotto nel 2011. Il Cavaliere: “E’ lui il regista. Ridicolo che adesso pensi di lavarsene le mani.” E’ un conflitto che vede schierati – su opposti fronti e con argomenti antitetici – partigiani/cortigiani/fan.

Chi non si è mai iscritto né all’uno né all’altro club, osserva. Ma nello stesso tempo è chiamato a pronunciarsi. Il Caimano e “Re Giorgio” sono personalità criticabili (e criticate), ma adesso, nel caso specifico, dove sta la verità? Parola complessa. La verità assoluta non si avrà mai. Splendido Salvemini sulle responsabilità di Mussolini nel delitto Matteotti: “Sarebbe vano per cose di questo genere fare ricerche di ordini firmati e controfirmati scambiati tra superiore e subordinato.” Dunque solo indizi. Tracce, al di là delle dichiarazioni (inattendibili) dei protagonisti.

Di Berlusconi sappiamo: mente e si convince della verità delle sue menzogne. Su Napolitano è illuminante un “racconto-denuncia”: siamo negli anni del governo Prodi: “Il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa matura la convinzione che Napolitano abbia fatto di tutto per indebolire, logorare, talvolta boicottare l’esecutivo dell’Unione. E lo scrive in alcune pagine del suo diario” (M. Travaglio, Viva il Re!, p. 98). Insomma, il Presidente della Repubblica, nei giorni cruciali della crisi, “soffia sul fuoco anziché spegnerlo” (p. 99) e Prodi viene sconfitto. Se ne deduce che Napolitano non agisce più da personalità super partes, fa politica inseguendo/elaborando/imponendo il suo progetto di larghe intese: “nel 2011 coronerà il suo sogno con Mario Monti e poi con Enrico Letta: non dovrà più neppure interferire nelle scelte dei governi, essendo di fatto anche il Presidente del Consiglio” (p. 110). Parole chiare. Dicono di un Presidente della Repubblica che interviene nell’agone politico.

Oggi, un altro libro, Stress test, dell’ex segretario al Tesoro americano parla di un complotto europeo per cacciare dal potere il Cavaliere. C’entra Napolitano? Ha mosso qualche pedina? Ci sono le prove? Vale la risposta di Salvemini: “Sarebbe vano per cose di questo genere fare ricerche di ordini firmati”. Dunque solo indizi. Tracce: quella del diario di Padoa-Schioppa mostra un Napolitano non neutrale. Basta per metterlo sotto accusa come fa la destra? No. Di sicuro tuttavia non vale la sua debole difesa nel caso odierno: “Berlusconi mi accusa di essere stato io il gran regista di un complotto per farlo fuori da premier nel 2011? Strano. Perché allora non spiega come mai venne a chiedermi di rifare il Capo dello Stato, e poi il suo partito votò la mia rielezione…”. Perché sul tavolo della scacchiera politica – verrebbe voglia di dire – la mossa/la promessa/l’odore della grazia ebbe un peso notevole. Ma anche qui solo indizi.

Si troverà prima o poi un politico che prenda su di sé la colpa di qualcosa nel nostro Paese? Negli anni Venti Mussolini a un certo punto (3 gennaio 1925) si assunse la piena responsabilità “politica, morale, storica” di quanto era accaduto. Chi si assume oggi la responsabilità di troppi governi non legittimati dal voto popolare? Del disamore per la politica che pervade la società civile? Del degrado morale di una partitocrazia senza regole e controlli? Chi si assume la responsabilità di una politica percepita – e di fatto praticata – come gioco di Palazzo?

Legalità significa tante cose: un ex Premier che paghi davvero per il reati commessi, per esempio, e un Presidente della Repubblica che rispetti limiti e funzioni, di cui non si possa nemmeno pensare ciò che scrive Padoa-Schioppa; significa non consentire a un condannato di recitare la parte di Statista: “le mie dimissioni furono responsabili, ma non libere”. Troppi errori. Come è stato possibile arrivare fino a questo punto?

(www.repubblica.it/micromegaonline , 16 maggio 2014)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *