Ferri corti in Vaticano

Basilica Sancti Petridi Alberto Melloni

Che nella corte pontificia e nella curia romana vi siano duelli o conflitti è del tutto fisiologico. Ma più di un segnale dice che in questa fase si duella con ferri più corti del solito per varie ragioni. Pesano le tensioni attorno al sinodo della chiesa tedesca. Contano gli attriti negli avvicendamenti eseguiti o imminenti in grandi diocesi e in importanti congregazioni di curia. E non si deve escludere che il contesto politico internazionale — ad esempio con i milioni di voti cattolici nelle presidenziali americane — abbia un peso.

Eppure quello che è accaduto ieri dimostra che le tensioni interne — che il New York Times ha definito pochi giorni fa “intrighi” — sono oggi forti. Il quotidiano tedesco Tagespost ha infatti diffuso la notizia che monsignor Georg Gänswein, segretario di Ratzinger e prefetto del cerimoniale vaticano, era stato collocato a riposo. Precisazioni successive della sala stampa vaticana hanno minimizzato parlando di una mera «redistribuzione» di mansioni, che spiegherebbe l’assenza del prelato tedesco dalle più recenti udienze di papa Francesco. Il sito di Zeit ha sintetizzato così: “Il Vaticano trova altri compiti per monsignor Gänswein”, liberandolo dal “doppio ruolo” per dargli “più tempo” per assistere Ratzinger.

Il zig-zag informativo si chiarirà e il ruolo del prelato che finora è stato prefetto di un Papa e segretario dell’altro sarà presto noto. Ma la vicenda dice che non si potevano ignorare gli episodi con cui alcune opinioni di Benedetto XVI erano state ricomposte in atti di polemica antibergogliana. Atti consegnati a mezzi di informazione compiacenti, nel patetico tentativo di arruolare il conservatorismo di Ratzinger al fervore morboso di chi chiama “dottrina” le proprie nostalgie e “tradizione” il proprio manuale del seminario.

Di queste operazioni sarebbe stato ingiusto dare la responsabilità a Ratzinger. Da sempre lucido, fragile e polemico, a Benedetto XVI va anzi riconosciuto un doppio merito storico. Il primo: aver inventato un codice di comportamento per il Papa dimissionario che rimarrà come una traccia per il futuro. Uscire da Roma per il conclave, risiedere dentro le mura vaticane, custodire una discrezione obbediente nei confronti del Papa sono state scelte che hanno valore di precedente per altri Papi chevorranno fare uso della libertà di rinunziare al ministero petrino.

Che poi qualche visitatore o amico di Ratzinger abbia dato a discorsi o appunti la veste di documenti di insoddisfazione o di ribellione preventiva verso il Papa regnante è la riprova che le sue dimissioni nel 2013 sono state tempestive e lungimiranti. Con quella rinunzia, infatti, BenedettoXVI ha impedito — ecco il suo secondo merito storico — che altri usassero l’autorità del vescovo di Roma, pilotandone la vecchiaia, le ansie, gli umori.
Se a monsignor Gänswein, o a chi per lui, il Papa chiede di assistere meglio Benedetto XVI, perché nessuno usi il suo prestigio, è dunque segno che i ferri sono corti. Ma che Francesco non è né disattento né intimidito: chi lo conosce non se ne sorprenderà. Per gli altri è un avviso.

(Repubblica, 6 febbraio 2020)

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