Family dei, forse Dio non era in piazza
Tante famiglie in competizione accanita l’una con l’altra (“la mia famiglia è la migliore, per la mia famiglia farei qualunque cosa”) formano una grande folla riunita insieme perché i preti li hanno ripetutamente e instancabilmente informati che ciascuna famiglia è minacciata in modo grave da famiglie che si formano diversamente e in modo contrario ai precetti della Chiesa. La causa è “un disturbo della personalità”, ci informa uno degli organizzatori delle grande adunata.
Si stanno dando da fare per avere gli stessi diritti, e c’ è, in Parlamento, chi dà corda a queste inconcepibili richieste. La tradizione italiana (studiata tante volte dalla sociologia del mondo) vuole che, se qualcuno chiede per qualcun altro gli stessi diritti della mia famiglia, è chiaro che li porta via a me e ai miei figli, e io devo difenderli. Come si vede, il disturbo della personalità riguarda coloro che, senza riguardo per i bambini, hanno comandato una folla in piazza per difendersi contro qualcuno di cui non sanno nulla e da cui non temono nulla. Evidentemente è bene insegnare presto ai bambini a riconoscere il pericolo e il nemico. In seguito i gay potranno essere immigrati o ebrei o islamici che fingono di essere moderati o di fuggire da una guerra. Un buon cristiano deve essere preparato a fare muro, come Orbán in Ungheria, come Kaczynski in Polonia, come Le Pen e Salvini in Italia. Mai concedere spazio ai diversi di qualunque tipo. Presto lo vogliono tutto per sè, e se lo prendono a danno della famiglia. La mia. Dite che esagero? E allora spiegatemi perchè la notte prima della grande adunata di famiglie (meglio se numerose) sono annegati fra Turchia e Grecia 22 bambini. Ma vediamo di non distrarci dal significato morale, religioso, politico della grande adunata: i figli che contano sono i miei, perché sono cristiani e con un papà e una mamma. Quanto ai diritti di tutti gli altri bambini, specie quelli caduti nelle mani di un’ unione civile gay, spetta ai giudici decidere. Infatti ciò che è accaduto a Roma, a cura della Chiesa cattolica, è uno straordinario esercizio di egoismo antico e barbaro fondato sulla celebrazione della fertilità di maschi e femmine, che si dichiara minacciato dal desiderio appassionato delle famiglie gay (che, sia chiaro, nel loro caso non è un diritto) di avere un bambino da stringere e crescere come un figlio, magari ottenuto da una donna che non è di famiglia e dunque è una ladra o una schiava che vende il piccolo a un mercenario. Soltanto un’ ossessione inguaribile per il potere (che ha stravolto la Chiesa e il suo senso di carità nei secoli) può avere spinto i vescovi a incoraggiare e sostenere uno strano tributo alla procreazione di chi si dichiara cristiano e vuole esibire i propri figli, meglio se tanti e, ovviamente agiati (nessun invito alla famiglie Rom e Sinti, affollate di bambini) e nessun richiamo ai milioni di bambini fuggiti, costretti a rischiare, spinti a camminare per centinaia di chilometri, a dormire nel fango e nel gelo e alla fine respinti od espulsi. L’ importante, è stato detto a padri e madri più o meno credenti ma orgogliosi dei figli da portare in fiera, è stare alla larga dalle famiglie con due padri o due madri che sono – i vescovi assicurano – indegne di accogliere bambini e di amarli come figli. A un milione (se erano un milione) di presunti credenti, radunati per celebrare se stessi, i loro figli cristiani, ben coperti e in buona salute, e la repulsione per gli altri, (quelli che non hanno una mamma e un papà, come da regolamento), è stato chiesto di ignorare le stragi di bambini che avvengono dovunque, nel califfato, contro il califfato, in selvagge cerimonie primitive e in modernissimi raid di droni e di aerei di nuova tecnologia, un raid dopo l’altro, i russi, gli americani, i francesi, gli inglesi, decine di governi africani nei loro Paesi, tutto a carico di adulti e bambini terrorizzati. Ma non parlatene oggi. Nella piazza italiana, il tema è la salvezza dei bambini dalle unioni gay, quei gay che, non contenti di pretendere “figli”, osano chiamare la loro unione, se ci sarà, matrimonio. È mancato qualcuno, oggi, che di fronte a quella piazza di uomini, donne e bambini invitati a credere che la loro identità si fonda sulla negazione della identità e del diritto di altri, è mancato qualcuno che leggesse le parole della sentenza della Corte Suprema Americana firmata dal giudice Anthony Kennedy (cattolico) il 29 giugno 2015: “Il diritto di sposarsi è fondamentalmente inerente alla libertà della persona, e alla luce di quanto prescritto dal principio di Uguale Protezione, coppie dello stesso sesso non possono essere private di quel diritto e di quella libertà. La Corte dunque decide che le coppie dello stesso sesso possono esercitare il fondamentale diritto di sposarsi. Un tale diritto non potrà mai più essere negato”.
(“Il Fatto Quotidiano”, 31 gennaio 2016)