“Evitare (falsi) capri espiatori, avviare un dialogo cristiano a Bose”
di Pierluigi Mele
Torniamo a parlare, di Bose e del suo ex Priore e fondatore Enzo Bianchi. In questi ultimi due mesi, leggendo articoli apparsi su alcune testate, la situazione non è per nulla pacificata. Anzi,secondo “Settimana” (una rivista online dei Dehoniani), parrebbe che Bianchi non abbia lasciato Bose, come gli era stato chiesto dal decreto vaticano, ma sia ancora a Bose. L’articolo afferma al riguardo: “rimane difficile da interpretare la perdurante presenza a Bose del fondatore”. Dopo un giorno, il 15 agosto per la precisione, con un tweet arriva la smentita amara e dolorosa di Enzo Bianchi: “Non ascoltate notizie fantasiose su di me. Mi sono allontanato dalla comunità da tre mesi, senza aver avuto più contatti con essa. Vivo in radicale solitudine in un eremo fuori comunità e date le mie condizioni di salute (non sono più autonomo) ho un fratello che mi visita. Amen”. Ma come stanno le cose? Cerchiamo di capirlo, in questa intervista, con Riccardo Larini ex Monaco di Bose e persona molto vicina alla Comunità.
Larini mi sembra di capire che tutta la vicenda sta prendendo una gran brutta piega. Lei cosa ne
pensa?
Innanzitutto, mi sembra palese che la situazione sia gestita in maniera, per usare un eufemismo,
fortemente inadeguata, soprattutto da parte di chi ha o dovrebbe avere l’autorità necessaria per
promuovere crescita della comunità e dialogo tra le parti in conflitto. Non è infatti possibile che
escano costantemente dalla comunità informazioni parziali e calunniose su alcune delle persone
coinvolte, soprattutto quando dovrebbe essere stato avviato un lungo e faticoso processo di dialogo.
Questo primo elemento mi sembra francamente molto grave, così come mi pare grave che alcuni
mezzi di informazione cattolici abbiano ripreso in maniera molto parziale e tendenziosa queste
“veline” provenienti dall’interno della comunità, quasi a volersi schierare a favore di una delle parti
in conflitto. Sono rimasto allibito dalla mancanza di etica giornalistica, umanità e spirito evangelico
che ho colto tra le righe dell’articolo che lei ha citato.
Che informazioni ha su Bianchi?
Il fondatore di Bose, come ha detto egli stesso, è attualmente nell’eremo che a inizio anni 2000 la
comunità concordò unanimemente fosse costruito per lui, anche in vista del momento in cui,
lasciando il priorato, si sarebbe ritirato a vivere in disparte. È un’abitazione al di fuori della
comunità, con accesso stradale indipendente, del tutto idonea, in condizioni normali, a garantire
piena autonomia a chi ci vive.
Da inizio giugno non partecipa più in nessun modo alla vita della comunità e sono autorizzati ad
avere contatti con lui solo un paio di fratelli che gli portano il necessario o lo aiutano a tenere in
ordine l’eremo e il terreno circostante.
Vista l’età e l’enorme stress che ha vissuto in questi mesi, è profondamente provato, essendo tra
l’altro affetto da seri problemi di salute.
Veniamo al Decreto vaticano. Un decreto che la Santa Sede, inspiegabilmente, non ha mai
pubblicato (e questo fa sì, onestamente, che aumenti la poca chiarezza su tutta la vicenda). Di
cosa viene “accusato” Bianchi? Di interferenza? Di pressioni? Di abusi di potere? E cosa gli è
stato imposto?
Come sa ho invocato da mesi la pubblicazione integrale del Decreto, per gli ovvi motivi che lei
stesso ha sottolineato. Sono tra quelli (non pochi: in questa triste fase della storia della chiesa i
corridoi vaticani hanno una tenuta stagna simile al Titanic) che hanno avuto modo di leggerlo,
dunque posso parlare con cognizione.
Il decreto vaticano si compone di prescrizioni rivolte ai quattro membri che sono stati allontanati, e
di indicazioni sulla forma che la comunità dovrà assumere in futuro dal punto di vista canonico e
liturgico. Le seconde intendono inquadrare Bose, che fino ad ora era stata giuridicamente
un’associazione di laici per tutelare i propri membri non cattolici, nell’alveo delle congregazioni
religiose cattoliche di tipo monastico, ponendo fine nel contempo alle sperimentazioni liturgiche
che, a mio modesto parere, sono alla radice della carica profetica della comunità (e che diversi papi
hanno apprezzato profondamente, come testimonia il fatto che monsignor Piero Marini si servisse
costantemente dei servizi di Bose per plasmare le liturgie pontificie, e che le traduzioni del Salterio
ad opera di Enzo Bianchi sono utilizzate da innumerevoli parrocchie e associazioni cattoliche). Tra
queste la predicazione dei laici e delle donne.
Riguardo alle prescrizioni alle persone allontanate, l’unica accusa mossa è di interferenza con il
governo della comunità. Non vi è alcuna traccia nei testi vaticani di abusi o di pressioni
psicologiche di alcun genere. Ai tre fratelli e alla sorella allontanati è stato imposto di non avere
rapporti con altri membri della comunità e di andare a vivere ciascuno in luoghi differenti. Come
ormai noto, per tre dei membri allontanati, il provvedimento è temporaneo, mentre per Bianchi è a
tempo indeterminato. Questa la lettera del provvedimento, dopo di ché vi sono alcuni fratelli e
sorelle che vorrebbero definitivo l’allontanamento del fondatore di Bose e di chiunque non gli sia
ostile, e che si sono adoperati e si stanno adoperando in tale direzione. Lo dico con estrema
tristezza, ma per dovere di verità, perché da cristiano non credo e non posso credere alla parola
“definitivo” in una situazione di questo genere, quale che ne siano state le cause, né posso accettare
che in un contesto monastico non vi sia spazio per un cammino di riconciliazione e di misericordia.
Quali sono stati gli errori di Bianchi?
Premetto che non vivo più a Bose dal 2005, anche se ho sempre mantenuto contatti cordiali e
fraterni con moltissimi fratelli e sorelle, visitando regolarmente la comunità e tenendo anche lezioni
di teologia ecumenica ai novizi. La mia fonte è perciò la mia esperienza in comunità fino a tale
anno e le molte voci che purtroppo si stanno diffondendo dall’interno della stessa, molto divergenti
e contraddittorie, in quanto la comunità è attualmente divisa in almeno tre blocchi.
Siccome ho sempre avuto il coraggio di parlare in faccia alle persone, Enzo Bianchi sa che ritengo
un errore il suo aver voluto continuare a partecipare alla vita comunitaria dopo aver lasciato il
priorato, sebbene nessuno immaginasse, anche solo tre anni fa, quando Manicardi è stato eletto
priore (con il massimo appoggio di Bianchi), che avrebbero potuto fiorire divisioni così forti.
Avrebbe fatto bene anche a lui prendere le distanze, invece ha voluto rimanere (legittimamente, va
detto per inciso e con grande chiarezza) anche se rischiosamente, come fratello sui generis, garante
di un cammino e di una serie straordinaria di intuizioni, testimoniate dal fatto che non c’è una
singola pietra a Bose o nelle sue fraternità che non sia stata pensata e fatta ergere da lui. Tengo
tuttavia a dire che lo ha fatto alla luce del sole, comunicandolo fin dall’inizio, in maniera
chiarissima, ad esempio nel suo discorso (pubblico e pubblicato) di congedo dal priorato. E
nessuno, nemmeno tra coloro che oggi lo contestano profondamente (e che fino a meno di tre anni
fa, per essere molto precisi, erano tutti suoi fedelissimi collaboratori da una vita), ha avuto il
coraggio di dire che non era d’accordo quando era il momento giusto, né, a quanto mi risulta, fino a
quando non sono sopraggiunti gli “ispettori” vaticani durante il passato inverno.
Nel 2014 fu Bianchi stesso a chiedere, secondo una formula che avevamo pensato insieme quando
ero ancora in comunità nel 2003 e che pure in molti fratelli e sorelle non avrebbero voluto adottare
perché inorriditi dalla possibilità di interferenze esterne, una visita fraterna di guide monastiche di
comunità vicine, da cui, contrariamente a quanto affermano alcuni, non emerse alcun grave
elemento nei confronti dell’allora priore e fondatore, il quale una paio d’anni dopo, come
preannunciato fin dal 2000, avviò spontaneamente (e non a seguito di tale “visita” del 2014) la
successione al priorato.
Tuttavia, a quanto mi risulta anche da diverse persone molto equilibrate in seno alla comunità, che
non si vogliono schierare e che in questo momento hanno timore di parlare, il fondatore di Bose non
è cambiato “in peggio” rispetto agli anni in cui ero presente di persona in comunità. Perciò mi sento
di poter escludere problemi seri legati a violenze psicologiche e abusi di potere. Mentre non mi è
difficile immaginare che il suo comportamento possa essere risultato ad alcuni un’ingerenza nel
governo della comunità. Una personalità straordinaria e forte come la sua è destinata ad avere un
forte impatto anche mediante la sola presenza fisica, e di certo qualche parola di disapprovazione
per l’operato di Manicardi potrebbe averla detta, ma questo non lo rende certamente un mostro.
Sappiamo quanto sia difficile il rapporto, nella dinamica della vita religiosa, tra il fondatore e il
governo della comunità che ha fondato. E recentemente ci sono stati casi simili nella Chiesa
cattolica. Che hanno portato all’ allontanamento del fondatore. Ma nel caso di Bose pensa che ci
sia un accanimento nei confronti di Bianchi?
Purtroppo la mia risposta è: assolutamente sì. Non c’è bisogno di una laurea in psicologia per
comprenderlo. Le voci più “veementi” contro Bianchi sono in larga misura quelle di chi più gli è
stato fedele, e non per anni ma per decenni, sposando e avallando in tutto ogni sua decisione e
comportamento, senza mettere mai nulla in discussione (ammesso che ci fossero cose da mettere in
discussione). Alcuni amici della comunità mi hanno chiamato sconvolti dopo aver parlato con un
paio di sorelle e di fratelli di Bose che avevano spiegato loro come la comunità avrebbe potuto
vivere solo se Enzo fosse scomparso per sempre (parole testuali) dal suo orizzonte, e con lui
chiunque non sposasse la narrazione di chi all’improvviso si era messo a contestarlo.
Si è giunti a tali livelli di irrazionalità da esercitare pressioni sul plenipotenziario della Santa Sede
perché Enzo lasci quanto prima anche il suo eremo, come se al giorno d’oggi, con la tecnologia di
cui tutti dispongono, una maggiore distanza fisica potesse impedire eventuali contatti “illeciti” tra
membri della comunità e il suo fondatore. E negando, di fatto, allo stesso Bianchi, la calma
necessaria per individuare un luogo diverso dove poter andare a trascorrere, a questo punto molto
verosimilmente, il resto dei suoi giorni, continuando a svolgere un ministero che nessuno, a partire
da papa Francesco, intende negargli o sottrargli. Un noto teologo italiano ha definito la situazione
un “parricidio freudiano”, e temo che purtroppo abbia ragione.
La comunità, e i suoi responsabili, come stanno reagendo a questo “terremoto”?
Quanto ai responsabili, compreso chi è stato mandato dall’esterno a vigilare in nome dell’esercizio
della giurisdizione diretta del papa su ogni fedele cattolico, penso di avere già detto chiaramente la
mia opinione, e onestamente sono esterrefatto che continuino a uscire così tante voci dalla comunità
senza un controllo efficace, ma ancor peggio senza che si intuisca l’avvio di alcun processo reale di
dialogo e di pacificazione degli animi guidato dalle autorità preposte. Anzi, dall’esterno si coglie un
incattivirsi di alcuni veramente funesto, alimentato anche da persone che detengono funzioni
importanti nel monastero. La comunità soffre, mi pare chiaro, e con lei soffrono tutti coloro che,
come me, la amano profondamente. “Dal momento delle dimissioni di Bianchi di tre anni fa hanno
lasciato la comunità in molti, e si parla di una decina di ulteriori casi anche dopo la visita canonica
(esclusi gli allontanati).” Ed è intellettualmente disonesto lasciar intendere che ci sarebbe una
“comunità contro Bianchi”, finendo in tal modo per far convergere attenzione e eventuali accuse
interamente sul fondatore di Bose. C’è una comunità divisa, perché non ha saputo vivere una
transizione epocale e difficile, come umanamente può succedere, con quattro persone allontanate,
alcuni che vorrebbero infierire ulteriormente, e un consistente gruppo di persone che propendono o
per una delle due parti, ma che soprattutto vorrebbero un vero cammino di pace, e che sono
sconvolte. E sinceramente credo che i fratelli e le sorelle di Bose meriterebbero segni di speranza,
dopo tutti i semi di lacerazione che sono stati seminati, e di una speranza non basata sulla “fine” di
nessuno.
Secondo lei la richiesta di intervento Vaticano da chi è partita?
Onestamente non lo so, né ho trovato risposte certe. Ma a questo punto mi pare conti ben poco.
A distanza di due mesi dallo scoppio del caso si è fatta una idea più precisa, per quanto è
possibile, degli obiettivi del delegato apostolico o del Vaticano?
In realtà i mesi sono già tre… Come ho già detto nella mia prima intervista, a me dei giochi di
potere, compresi quelli dei palazzi vaticani, interessa molto poco. Inoltre non sono né nella testa di
padre Cencini, né in quella di chi lo ha inviato, né in quella, molto nobile, di papa Francesco.
Il silenzio della Chiesa italiana è sconcertante. Nemmeno un tentativo di mediazione si è
provato? Perché non difendere un frutto ricco nato dal Vangelo e dal Concilio?
Avevo sentito subito di arcivescovi e cardinali indignati per le modalità di intervento e le decisioni
assunte sia nei confronti della comunità che del suo fondatore e dei suoi membri “allontanati”. Per
quanto mi riguarda, innanzitutto ho scritto immediatamente a maggio a Manicardi e Bianchi
offrendomi di mediare, e quindi ho scritto anche all’economo di Bose, Guido Dotti, molto attivo nei
contatti con la stampa, ma solo Bianchi mi ha risposto, accettando la mia offerta, mentre gli altri
non mi hanno mai scritto neppure una riga di conferma di ricezione del mio messaggio. Ho quindi
cercato di contattare un paio di vescovi amici, offrendo il mio aiuto con discrezione e chiedendo
loro di aiutarmi a comprendere e a compiere i passi più opportuni per essere di aiuto. Ma ho
incontrato un silenzio assordante. Le uniche voci chiare che hanno subito parlato bene di Bianchi, di
fatto difendendo sia Bose che lui da accuse di chissà qual genere, sono state quelle di monsignor
Bettazzi e del cardinal Ravasi, a cui va il ringraziamento mio e di tutti quelli che hanno a cuore la
vicenda. Per il resto, spero che i beneamati “principi della chiesa” la smettano di comportarsi come
tanti Nicodemo, ma trovino il coraggio di intervenire in una situazione gestita veramente in modo
assai poco cristiano fino ad oggi.
Per la “generazione di Bose”, citando lo storico del cristianesimo Massimo Faggioli, è una
grande sofferenza. Molti di loro si stanno domandando: cosa rimarrà della esperienza profetica
di questa storia?
Intanto specifico che mi riconosco solo in parte nella pur efficace definizione dell’amico Massimo
Faggioli, di qualche anno più giovane di me, nel senso che ritengo la vera e propria “generazione
Bose” a cui egli allude un fenomeno sviluppatosi soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni
’90, quando si è registrata una forte impennata nei flussi di ospitalità, dovuta alla crescente
popolarità di Bianchi e delle Edizioni Qiqajon, e una notevole diversificazione dei visitatori della
comunità. Molti tra i nuovi giovani erano in cerca di spiritualità, con minore coscienza della
dimensione profetica (e anche politica) della fede rispetto alle prime generazioni di frequentatori
bosini. Lo dico perché quel genere di profezia probabilmente si era già notevolmente attenuata con i
nuovi ingressi di novizi e novizie dal diverso retroterra culturale ed ecclesiale in comunità nel corso
degli anni Novanta. Certo, come ho detto già in altre occasioni, quello che è stato fin da principio ed
è rimasto un ruolo fondamentale, direi unico di Bose in seno al mondo delle comunità religiose
italiane, è essere un luogo di studio, libertà e pensiero, che fa e ha fatto respirare un numero enorme
di persone in tempi di progressivo inaridimento e di svolte “verso destra” e verso falsi
tradizionalismi del panorama culturale del cristianesimo italiano. I protagonisti di questa storia sono
indubbiamente stati molti, grazie alla straordinaria capacità di Enzo Bianchi di favorire la crescita
umana e culturale dei propri confratelli e delle proprie consorelle. Ma è chiaro che la mancanza di
uno stimolo del suo livello avrà certamente un impatto sul futuro della comunità, a prescindere da
come si risolveranno le attuali tensioni.
Se invece quello che mi vuole chiedere è che ne sarà di Bose più in generale, facciamo che
rimandiamo la risposta a un’eventuale prossima intervista. Ora l’unica speranza sarebbe ed è
contra spem. Ma è quello che ci rende cristiani.
(in “Confini” del 18 agosto 2020)