“Democratura”

di Giovanni Bianco

Mi è capitato di ascoltare buona parte del discorso conclusivo del Cavaliere al congresso fondativo del Pdl, solennemente trasmesso dal Tg4.
Il tratto carismatico, il tono perentorio, ironico, talora aggressivo, il forte anticomunismo, le affermazioni ad effetto e superficiali: si tratta di uno scenario risaputo, di recente proposto, ad esempio, nella conferenza di fine 2008.
Il “capo”, illuminato da “lucida follia”, vuole condurre le masse confuse, un popolo smarrito verso un’importante meta di “libertà”.
Berselli, su “La Repubblica” di ieri, ha parlato di “democrazia sotto tutela, con un chiaro accento paternalistico”,
Il che significa transizione verso una “parvenza di democrazia”, una democrazia plebiscitaria e di investitura diretta e magari per acclamazione, verso una “democratura”, come si usa dire in America latina.
Nessun rispetto per le opposizioni, massima e patetica esaltazione della propria carismaticità, con solenne lettura di passi del discorso del lontano 27 gennaio 1994, giorno in cui il Cavaliere decise di scendere in politica per salvare il Paese dai bolscevichi, ed enfatica citazione di una sua prefazione all’ “Elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam, che fu duramente stroncata da Luigi Firpo.

C’è chi, tra i più stimati intellettuali, ha aperto un certo credito al “berlusonismo”, attendendolo alla prova dei fatti, ad esempio sulle riforme istituzionali.
Mi riferisco ad un denso e ragionato articolo di Paolo Pombeni, uscito su “Il Messaggero” di ieri.
Tuttavia, ascoltando attentamente le frasi del Cavaliere ho colto un forte e persistente disprezzo del governo parlamentare, un orientamento “ultraideologico” in chiave di “democrazia semplificata”, ridotta all’osso, sprovvista di una vera e propria dialettica tra le diverse forze politiche.
Che significa,in sostanza, “partito degli italiani”, se non l’aspirazione ad imporre un unico partito al servizio del popolo, a cui si oppone una miope sinistra che “fa opposizione al Paese”? E ciò non fuoriesce dall’essenza e dal valore della democrazia partecipativa e multipartitica?
Con impeto demagogico si parla persino di “rivoluzione liberale”, dimenticando che quest’espressione ha nella storia culturale italiana del novecento una sua nobile origine, risale all’intellettuale antifascista Piero Gobetti, e contiene una sua indiscutibile valenza innovativa e riformista, che proprio nulla c’entra con il Pdl, che sembra più rifarsi ad un liberismo mercantilista mitigato da elementi di “compassionevolità” e governato da un’elite, in cui sono egemoni il “capo” carismatico ed i suoi modesti accoliti.

Quindi, l’impianto della “retorica politica” del Cavaliere è agli antipodi della democrazia politica, e pure di quella economica.
Esso mira soprattutto ad irrobustire determinati interessi forti ed un sistema di potere accentrato e decisionista.
Il vero nodo problematico delle forme di Stato pluralistiche contemporanee, quello della partecipazione, è affidato alle benevoli e graziose concessioni del leader, in base alle circostanze ed alle mere occasioni che potranno renderla possibile entro canoni predefiniti.
Insomma, una prospettiva di trasformazione del sistema politico sempre più simile a quella auspicata nel “Piano di rinascita democratica” piduista ed in profonda antitesi con lo spirito della Costituzione repubblicana vigente e con un pensiero di Tucidide, che fu scelto come incipit della Costituzione europea: “la nostra Costituzione si chiama democrazia perchè il potere non è nelle mani di pochi, ma dei più”.

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