Cossiga, l’anti-Moro

di David Sassoli

Termina una settimana con due fatti che hanno tenuto banco su giornali e tv: la morte di Cossiga e la crisi della maggioranza. La cronaca è spesso arcigna e si prende gioco di noi. A ben vedere non è difficile scorgere un nesso fra episodi così distanti che ci riportano all’origine dei nostri mali e alle deformazioni del nostro sistema politico. E’ il puzzle della storia, si dirà, perchè nonostante la retorica usata, Cossiga può ben dirsi il padre putativo di Berlusconi. Lo è stato forse in maniera inconsapevole, ma di certo ne è stato il gregario., l’apripista. I danni che ha provocato sono incalcolabili e oggi vengono a galla nella crisi acuta del sistema democratico. Fatti apparentemente diversi raccontano la stessa storia:quella di un ciclone che ha scassato un sistema senza sapere come ricostruirlo. Ancora viviamo di quello sbandamento, di quella mancanza di pedagogia, delle sue picconate.
Ancora subiamo l’uso spregiudicato delle parole usate per bastonare e offendere.
Se lo Stato non è riconosciuto dai cittadini lo dobbiamo anche a lui.
Cossiga, infatti, è stato capace di mettere solo se stesso e il suo potere al centro della scena. Tutto il contrario di Aldo Moro, un leader che ha insegnato che la pazienza è virtù democratica, che il giudizio sugli uomini secondo l’insegnamento giovanneo deve sempre saper distinguere fra l’errore e l’errante, che il potere non deve mai far sentire appagato il cristiano impegnato in politica. Cossiga passerà alla storia come il politico che ha capito la crisi ma non ha saputo governarla, lasciando sul campo solo istinti. Gli istinti di una destra pericolosa, quella che metteva paura proprio a Aldo Moro.
Accumunarli è imprudente e ingiusto. Non vi sono personalità più distanti. Moro è stato un cristiano sociale e per questo è stato un costruttore di equilibri politici avanzati; Cossiga,un picconatore di istituzioni e rapporti politici. “Esasperando gli animi si possono fondare effimere fortune, ma alla lunga si concorre a diseducare la nostra nervosa opinione pubblica e a disarmare la nostra fragile democrazia”. Sono parole di Moro che fotografano bene l’opera svolta da Cossiga. Un’opera che ritroviamo in questa lunga stagione berlusconiana e nella sua parabola.
Ed è ancora qui che le storie della settimana s’incrociano. Se il nostro Paese avrà la possibilità di voltare pagina sarà quando capirà che la moderazione nell’esercizio del potere, specie per le cariche istituzionali, è una virtù perchè non si trova in natura. E non c’è dubbio che il Paese chieda di voltare pagina. In questi giorni sono tante le preoccupazioni espresse da cittadini e ambienti anche distanti dal Pd. Il Paese è stordito da questa maggioranza, dalle risse continue e dalle manifestazioni muscolari che coprono un vuoto di governo. Berlusconi e Bossi sanno benissimo che non avranno la strada spianata e per questo cercano di rappattumare quello che ormai si mostra logoro. Non dobbiamo farci prendere dalla paura e non dobbiamo accettare le paralisi che Berlusconi e i suoi alleati vorrebbero imporci. E neppure farci intimidire da coloro che tentano di addossare al Pd la presunta responsabilità di una inefficace opposizione. Non dobbiamo dimenticare mai che la nostra azione sarà apprezzata solo se saremo capaci di promuovere una nuova condizione umana nel tempo della globalizzazione, se consentiremo ai nostri giovani di non essere esclusi, alle famiglie di sentirsi partecipi di una comunità, alle imprese di essere protagoniste di un sistema paese. Dobbiamo sapere che sono in tanti, nei salotti buoni e in quelli meno buoni, a non volere redistribuire ricchezza e cultura. Sul tavolo, al termine di una settimana così piena di significati, resta il fallimento della destra, e prima o poi il governo sarà costretto a presentarsi in Parlamento.
Sarà allora che si aprirà una fase nuova nella quale servirà coraggio e duttilità.
Sarebbe azzardato formulare ipotesi prima di conoscere regole e percorso. Certo, da soli non ce la faremo, ma tocca a noi accreditare di fronte al Paese una nuova iniziativa politica. E dobbiamo farlo con concordia nel partito pari alla difficoltà dell’impresa.
Ogni sforzo unitario nel Pd non deve essere considerato la vittoria o la sconfitta di una parte sull’altra, ma una buona cosa per il Paese.
Siamo un partito responsabile e crediamo sarebbe meglio andare alle elezioni con una nuova legge elettorale per dare stabilità al Paese.
Se non fosse possibile, nessuno è autorizzato a scambiare il senso di responsabilità come prova della nostra arrendevolezza. No, non abbiamo paura delle elezioni e ci andremo facendo fino in fondo il nostro dovere per battere questa destra pericolosa.

(articolo tratto da “Europa” del 21 agosto 2010, pagg.1 e 6)

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