Giustizia, i “referendum sbagliati”

di Antonio Cantaro

Di come far sì che il funzionamento dell’ordinamento giudiziario torni ad essere conforme all’idea di giustizia contenuta nella costituzione non si parla affatto in questi giorni che precedono il voto del 12 giugno. Ancora una volta assistiamo all’umiliazione del più importante istituto di democrazia diretta.

Alcuni italiani, forse una minoranza, si stanno chiedendo in questi giorni per cosa saranno veramente chiamati il prossimo 12 giugno a dire un sì o un no ai referendum promossi da radicali e Lega sul tema apparentemente omogeneo della “giustizia”, ma che in realtà investono profili assai diversi. Al momento in cui scriviamo misure cautelari, separazione delle funzioni dei magistrati, elezione del Csm, consigli giudiziari, incandidabilità dei politici condannati (salvo gli effetti dell’entrata in vigore, prima del voto, della riforma Cartabia).
Altri italiani, forse la maggioranza, pensano si tratti di affari di “lor signori” e probabilmente decideranno di non rispondere a nessuno dei quesiti loro proposti. Non riusciamo a biasimarli, non si riesce davvero a capire a cosa dovrebbero dire sì o no, se si escludono – ma sarebbe necessario un dibattito vero di cui non c’è traccia nei media – la questione delle misure cautelari e dell’incandidabilitità.

La terzietà del giudice

Anche coloro che non conoscono nel dettaglio cosa c’è scritto nella Carta fondamentale della Repubblica, sanno bene che questa postula che “la giustizia sia amministrata in nome del popolo” (art.101). Esige, cioè, che mai sia dimenticata la “consonanza” del giudice con la Repubblica, quell’“accordo fondamentale” con i cittadini del quale parlava alla fine degli anni novanta un grande magistrato e scrittore, Salvatore Mannuzzu, (Il fantasma della giustizia, Il Mulino, Bologna,1998, p. 48) Quella imparzialità e terzietà nell’esercizio della funzione giurisdizionale senza la quale la sacrosanta indipendenza della magistratura dagli altri poteri scivola nell’irresponsabilità, nell’autocrazia, nel corporativismo e, infine, nel correntismo deteriore privo di qualsivoglia aggancio con la storia e la cultura del proprio Paese.
Di come garantire che tutto questo non accada, che la costituzione materiale sia conforme allo spirito della costituzione formale, non si parlerà affatto nei prossimi giorni. Tutto sarà avvolto nella nebbia, per non parlare del tema vero: la giustizia vive in Italia il suo momento più buio. Da un lato, la crisi di immagine dei magistrati portata in scena dal caso Palamara (la punta dell’iceberg), dall’altro, i mali storici di un sistema processuale lento, formalistico, appesantito da un eccesso di normazione e da una litigiosità sfrenata. Mali che, negli anni passati, si è pensato di risolvere in termini impropri, aumentando, ad esempio, le competenze dei giudici di pace ben oltre il tollerabile (come ha, peraltro, ricordato la Corte costituzionale).

L’ennesima fuga all’indietro

I quesiti referendari, si è chiesto Gaetano Azzariti, sono in grado di risolvere qualcosa di tutto ciò? La risposta a questo cruciale interrogativo è che non li risolveranno affatto. Sarebbe necessaria una discussione pubblica,
trasparente, non avvolta nelle nebbie, sulla riforma organica dell’ordinamento giudiziario in Italia, discussione che l’uso improprio dell’istituto referendario allontana ulteriormente (finendo per oscurare anche quello che di buono c’è nell’introduzione del processo telematico e negli incentivi alla mediazione diretti a diminuire il contenzioso).
L’ennesima fuga dalla democrazia, dalla politica, dalla Costituzione alla quale non intendiamo contribuire con alcuna strumentale e ed estemporanea  indicazione di voto. Dei referendum “sbagliati”, qualsiasi parola diciamo, restano dei referendum “sbagliati”. È necessario, invece, a partire da subito e immediatamente dopo il 12 giugno iniziare a fare un bilancio storico, critico, problematico del rapporto tra giustizia e politica nell’ultimo trentennio, se si vuole veramente il bene della Repubblica. Governo, Partiti, se ci sono ancora, battano un colpo.

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