Una desolante divisione della sinistra in Europa
di Luciana Castellina
Solo in Italia e Spagna c’è un largo consenso su una posizione netta sulla guerra. Fondato un nuovo partito a livello europeo, ma la rottura non si è trasferita nel gruppo europeo The Left. La novità positiva di Ines Schwendtner della Linke tedesca.
Il mio articolo questa volta non è un editoriale ma la cronaca di una conferenza promossa dalla Fondazione Rosa Luxemburg, autorevole istituzione tedesca che in questi decenni ha aiutato tutti noi a conoscere meglio la sinistra del mondo grazie alla grande rete delle sue sedi. Si è tenuta a Berlino sabato 31 agosto e ne scrivo io perché, come avrete visto sul giornale dell’indomani, il nostro corrispondente dalla Germania Sebastiano Canetta quel giorno ha scritto ben tre articoli per darci conto del contesto in cui si sarebbero tenute le catastrofiche elezioni in due Land dell’ex Germania dell’est. Non poteva dunque seguire l’evento, cui invece io ho partecipato essendo stata invitata a tenere una delle relazioni. E persino a leggere il documento che ha concluso l’incontro, rilanciando la proposta di una iniziativa diplomatica dell’Europa – che fino ad oggi non ne ha presa nessuna, limitandosi ad accodarsi alla Nato – per arrivare a un negoziato che ponga fine ai massacri in atto.
La targhetta che indicava chi rappresentavo portava scritto Sinistra Italiana, ed era in effetti così, ma abbiamo parlato e presentato il documento finale come «attivisti politici, cittadini e intellettuali», non impegnando i rispettivi partiti. Sulla pace le posizioni della sinistra europea sono infatti piuttosto differenziate, mentre solo in Italia e in Spagna c’è un largo consenso su una posizione più netta in merito alla guerra: cessare l’invio di armi ai paesi belligeranti. Una proposta – e non è certo un dettaglio – che non compare nel testo che si è votato a Berlino che, tenendo conto delle posizioni in merito meno chiare di non pochi partiti nordici della sinistra, si limita ad invocare una iniziativa diplomatica dell’Europa.
Nel documento finale si denuncia l’assurda discussione che si svolge a livello istituzionale su quali e quante armi debbano esser utilizzate dagli ucraini, senza che si assuma alcuna iniziativa per attivare un vero negoziato inteso a por fine alla guerra come è stato invece fatto dalla Cina, dal Brasile e da alcuni paesi africani. È desolante che mentre il mondo è sull’orlo della catastrofe – si parla disinvoltamente di armi nucleari – la sinistra europea sia riuscita a dividersi. Proprio lo stesso giorno in cui una sua parte era a Berlino, infatti, un’altra consistente parte annunciava la creazione di un nuovo partito europeo, chiamato European Left Alliance for the People and the Planet (ne ha scritto Giuliano Santoro sul manifesto del 1 settembre).
Cos’è accaduto e perché? Se si guarda alla composizione del nuovo soggetto politico non è facile capirlo. I soggetti fondatori sono sette: France Insoumise, Podemos, Bloco, Red green alliance danese, sinistra svedese, sinistra finlandese e Razem (Polonia). Di questi France Insoumise era membro osservatore del partito della Sinistra Europea, portoghesi finlandesi e danesi ne sono usciti con tempistiche diverse, Podemos, svedesi e Razem non ne hanno mai fatto parte. Il varo di questo nuovo partito non nasce da una spaccatura in merito alla posizione da assumere sulla guerra su cui, tra gli stessi partiti fondatori, permangono importanti divergenze. Covava invece da tempo un disagio acuto rispetto al Partito europeo, alla sua effettiva rappresentatività di una sinistra europea divenuta più variegata nelle sue metodologie di lavoro e di decisione.
Visto che spesso si fa grande confusione tra il partito (ora i partiti) europei e il gruppo The Left (storicamente Gue) che opera nel parlamento di Bruxelles, è bene chiarire che quest’ultimo non subirà variazioni, rimanendo uno spazio unitario, ampio e plurale. Certo il prospettarsi di questa divisione tra i partiti ha prodotto ad inizio legislatura discussioni non semplici sull’assetto, le modalità di lavoro e gli equilibri interni, ma il tutto senza mai mettere in discussione quello spazio comune, nato ormai quasi mezzo secolo fa per iniziativa dei partiti comunisti e che è stato progressivamente arricchito anche da formazioni molto nuove. Sarebbe certo stato meglio mantenere questo stesso spirito unitario, anche partendo da profondi e necessari cambiamenti. Spero ci si impegni tutti.
Sono comunque molto contenta di aver partecipato a questa conferenza di Berlino perché mi ha dato l’occasione di discutere anche con i non europei, i giapponesi (era presente il segretario del Pc e anche Kohei Saito, autore di un libro di enorme successo su Marx e l’ecologia che mi è spesso capitato di citare in questi ultimi tempi), cinesi, sudamericani, un giovane americano David Wiesler, in rappresentanza di una “rete progressista internazionale” (molto bravo), il partito dei lavoratori belga che contava pochissimo ma esce adesso da una straordinario successo elettorale come del resto il partito comunista austriaco, cui appartiene Walter Baier, presidente del partito europeo della sinistra.
C’era anche Jeremy Corbyn, e sono felice di avere adesso, spillato sulla giacca, il distintivo del suo movimento in appoggio alla Palestina che gli è costato addirittura l’espulsione dal partito laburista di cui era leader per, nientemeno, che «antisemitismo». È intervenuto anche un autorevole (non solo per parentela) Peter Brandt, tutt’ora Spd, ma firmatario di un bell’appello che abbiamo sostenuto anche in Italia. C’era anche qualche russo, uno ormai residente in Germania, allontanato dal partito comunista per aver cercato di impedire il proseguimento della guerra.
Il dibattito è stato interessante e anche ricco di riflessioni sul passato. Il primo intervento, quello che mi ha emozionato di più, di una vecchia compagna del Cdn britannico, che fu embrione dell’End, il movimento per cui lo storico Edward Thompson aveva coniato lo slogan che per tutti gli anni 80 abbiamo in tantissimi rilanciato: «Per un’Europa senza missili dall’Atlantico agli Urali», un obiettivo che con la caduta del muro abbiamo smesso di perseguire con la forza necessaria, colpevoli di disattenzione mentre l’Occidente apriva la strada a Putin e al suo cieco revanscismo.
A gestire il dibattito della conferenza, oltre al suo nuovo presidente ex segretario del partito della sinistra europea, Heinz Bierbaum, Ines Schwendtner, bravissima e aperta (viene dalla Germania dell’est e ha curato l’edizione tedesca della rivista americana Jacobin), attualmente candidata alla co-presidenza della Linke come sapete in preda a una seria crisi. Voterei subito per lei.
(ilmanifesto.it , 3 settembre 2024)