Nel vortice Wikileaks
di Giorgio Ruffolo
Qualche breve considerazione sul caso WikiLeaks. Anzitutto sulla reazione dei governi, di quello americano e, in particolare di quello italiano, alla falla informatica di WikiLeaks. È unanime il coro delle esecrazioni contro quello che viene definito un proditorio attacco terroristico alla stabilità mondiale. E si invoca la pronta punizione dei colpevoli. Che i fatti denunciati che traboccano dalla falla siano veri o no e quale giudizio se ne debba trarre, neppure se ne parla.
E soprattutto non vengono affrontate due questioni fondamentali che emergono da questo scandalo: l´ormai evidente insufficienza dei normali codici di riservatezza rispetto alla dilagante potenza dell´informazione; e soprattutto, i limiti della riservatezza quando essa diventa copertura intollerabile di interessi, privilegi, macchinazioni private.
Riguardo alla prima mi pare ingenuo addebitare a pura malvagità l´inevitabile violazione di segreti ormai insostenibili di fronte alla pressione raggiunta dall´informazione mediatica. La saggezza convenzionale ci ammonisce spesso sull´inutilità di opporre divieti politici e burocratici alla forza del mercato. La stessa saggezza dovrebbe essere applicata al controllo dell´informazione. Nell´età dell´informazione quest´ultimo dovrebbe consistere molto più nello spiegare che nel nascondere o nel distorcere, come risulta essere stato fatto in molti dei casi denunciati da WickiLeaks.
È indubbio che la riservatezza debba essere tutelata per le informazioni che possono mettere in pericolo la sicurezza nazionale. È molto dubbio che debba essere penalmente sanzionata la violazione di quelle che creano imbarazzo per governi e governanti. È anche vero che un certo grado di riservatezza è necessario per garantire il valore dell´informazione: fare luce su tutto significa annullarla. Ma quel che conta è la misura, e soprattutto la garanzia che i controlli servano ad assicurare il valore dell´informazione e non il suo occultamento.
Questo è il secondo punto, decisivo.
Nel nostro tempo, accanto alla dilagante potenza dell´informazione, si è sviluppato un altro processo, altrettanto incisivo: lo sviluppo della complessità delle decisioni. Le decisioni non vengono più prese da uno o da pochi capi, ma da gruppi di comando organizzati nei quali diventa facile per alcuni esercitare poteri senza sottostare a controlli.
Ciò è particolarmente evidente nel mondo della finanza. Si moltiplicano i conflitti di interesse (concentrazioni di potere nella stessa persona) le possibilità di acquisire informazioni privilegiate (insider trading) quelle di influire sul valore delle imprese senza risponderne (agenzie di rating). Il fenomeno del potere senza controllo, poi, è ingigantito dalla libertà di movimento dei capitali, che facilita l´evasione fiscale e l´evasione criminale, soprattutto in quelle enormi piazze di affari incontrollati che sono costituite dai “paradisi fiscali”.
Insomma, mentre si denunciano le pretese dell´informazione di violare una riservatezza necessaria per tutelare l´informazione, si moltiplicano strumenti e pratiche che la annebbiano e la inquinano: strumenti di offuscamento dell´informazione, che hanno avuto larga parte di responsabilità nella genesi della recentissima crisi finanziaria. Non deve stupire che cresca l´insoddisfazione e la richiesta di illuminare le zone sempre più recondite della politica e dell´economia, e che esse abbiano generato un´offensiva diretta a scardinare gli strumenti della manipolazione, utilizzando in pieno le nuove immense possibilità offerte dalla “grande rete” informatica. È significativo che quell´offensiva si stia rivolgendo ora al mondo delle grandi istituzioni finanziarie.
In conclusione: i grandi della politica e della finanza non hanno forse capito che siamo entrati in una epoca nuova, nella quale l´informazione è diventata un bene pubblico. E che le denunce della sua privatizzazione devono essere affrontate guardando ai fenomeni che esse indicano e non al dito che li indica.
(articolo tratto da “La Repubblica” del 17 dicembre 2010)