Israele-Hamas-La guerra si allargherà? L’ombra dell’Iran e il rischio contagio

di Giorgio Ferrari

Sono ore cruciali. Mentre si attende la risposta israeliana sul campo, febbrili colloqui sono in corso tra l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti e il Consiglio di cooperazione del Golfo, che oltre a Riad include gli Emirati Arabi, Qatar, Kuwait, Bahrein e Oman.

L’intento è quello di fermare l’escalation tra Gaza e Israele.

Ma la domanda che rimbalza da una cancelleria all’altra è sempre una sola: quale futuro attende la polveriera mediorientale? Per tentare di capirlo e soprattutto per capire se l’incendio è destinato a propagarsi nel mondo arabo dobbiamo ripartire dall’Iran, ovvero da quella teocrazia sciita che formalmente si è dichiarata estranea al blitz di Shabbat dei falchi di Hamas sebbene fin dalle prime ore il presidente iraniano Ebrahim Raisi abbia espresso il pieno sostegno ai leader di Gaza, il jihadista Zyiad al Nakalah e il premier Ismail Haniyeh. Un chiaro appoggio al movimento che dal 2007 ha preso il controllo della Striscia esautorando Al Fatah.

Il sostegno iraniano tuttavia non è nato ieri. Negli anni caldi del conflitto civile in Siria, gli ayatollah hanno dato vita a una longa manus, un braccio politico-militare che si allungava da Teheran al Mar Mediterraneo passando per Baghdad, Deir Ezzor, Palmira, Damasco, Latakia garantendo all’Iran una fascia di controllo che tagliava in due la vecchia carta geografica del Medio Oriente. Una mezzaluna sciita che penetrava nel cuore del mondo sunnita dislocandovi ben tre eserciti: 100mila miliziani in Iraq, 10mila Hezbollah e 50mila fra iracheni e afghani nell’altro bastione sciita, la Siria di Bashar al-Assad e altre migliaia con Hamas a Gaza, cui si aggiungevano gli Houti dello Yemen.

Uno schieramento cui non è mai mancato il supporto logistico della Federazione Russa (non è certamente un caso che Teheran si sia schierata contro l’Ucraina rifornendo sistematicamente la Russia di armi, droni soprattutto, ma non solo).

In altre parole, un laccio stretto attorno a Israele: a nord con gli sciiti Hezbollah dello sceicco Nasrallah, che da una ventina d’anni premono dai confini libanesi con l’Alta Galilea (uno è stato ucciso oggi); a est dalle alture del Golan e dalla pianura sottostante con i pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, la più pericolosa unità paramilitare iraniana che per anni ha puntigliosamente addestrato le milizie di Damasco; in Palestina con Hamas, che non è sciita, ma che da Teheran riceve da sempre armamentifondi, logistica, addestramento e consigli strategici.

E se cambiano gli strateghi (il potente e temuto generale Qassem Soleimani, dal 1998 alla guida della Forza Quds, la “Brigata Santa”, ucciso nel gennaio 2020 a Baghdad insieme al leader iracheno di Katib Hezbollah Abu Mahdi al Muhandis), non cambia la “dottrina” iraniana, identica a quella di Hamas: distruggere l’»entità sionista».

In compenso è cambiato il vento in Medio Oriente con il perfezionarsi dell’intesa fra Israele e Arabia Saudita, conseguenza politica di quegli Accordi di Abramo che Benjamin Netanyahu siglò tre anni or sono con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, cui si sono aggiunti strada facendo il Marocco e il Sudan. Insieme a Egitto e Giordania, a tutti gli effetti un solido cordone sanitario anti-iraniano. Ed è esattamente questo che Teheran non è in grado di sopportare: la messa in mora della sua potenza regionale, il contro-abbraccio arabo-israeliano studiato da Washington.

Riportare strumentalmente a galla la questione palestinese ha avuto il preciso scopo di gettare nell’imbarazzo i sauditi: come allearsi politicamente ed economicamente – così pensano a Teheran – a un’entità sionista che non è stata in grado di difendere i propri territori, che bombarda Gaza senza riguardi, che tiene sotto schiaffo oltre due milioni di palestinesi nel più grande carcere a cielo aperto del mondo?

La domanda d’inizio ritorna: il conflitto è dunque destinato ad allargarsi, a incendiare l’intera regione? La consumata abilità con cui Hamas riscuote da sempre la simpatia mondiale (seconda in questo solo agli Hezbollah libanesi) presentandosi regolarmente come l’araldo di un popolo indifeso e monetizzando le vittime incolpevoli della Striscia non basta tuttavia a frantumare alla base il disegno degli Accordi di Abramo. Soprattutto perché al mondo arabo non conviene.

Allearsi (e fare affari) con Israele, spiega il quotidiano Haretz, per svariate nazioni arabe ormai non è più un tabù. In visita a Pechino, il leader della maggioranza al Senato americano Chuck Schumer ha criticato Xi Jinping dopo che il ministro degli Esteri cinese aveva reso pubblica la sua scarsa simpatia nei confronti di Israele.

Chiarissimo il messaggio fra le righe: caro Xi, tieni a freno l’Iran e la sua smania nucleare come tieni a freno le ogive russe, altrimenti Riad farà altrettanto e la vecchia deterrenza atomica fra i grandi blocchi della Guerra Fredda si trasferirà in Medio Oriente. Ovvero, in una polveriera nella quale basta una sola scintilla per dare fuoco a tutta la regione.

/avvenire.it , 9 ottobre 2023)

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