“Io temo che la Presidente Dilma rinunci”, dice Frei Betto

di Ricardo Mendonça

Amico della presidente Dilma Rousseff e dell’ ex-presidente Lula, del quale è stato consigliere speciale all’inizio del mandato, Carlos Alberto Libânio Christo, Frei Betto, ammette di temere non l’impeachment ma una rinuncia della presidente che oggi ha raggiunto il record negativo del 71% di non gradimento (datafolha). “O dà una sterzata (…) o prende la penna e scrive ‘vado a casa perché non ce la faccio”. Nonostante valuti i governi a guida PT come i migliori della storia repubblicana, frei Betto fa severe critiche al partito – “ha scambiato il progetto del Brasile per un progetto di potere” e sull’attuale mandato di Dilma: “Io non so cosa di positivo abbia fatto Dilma da gennaio ad oggi”. Frei Betto dice che sta ancora aspettando che il PT si esprima sulla esistenza o meno del mensalão. Elogia l’operazione “Lava Jato” pur manifestando perplessità sull’uso politico che ne viene fatto…….

Folha – Stanno organizzando un’altra manifestazione contro Dilma per il giorno 16. La richiesta principale, o una delle principali, è l’impeachment di Dilma. Che ne pensa?


Frei Betto – Io penso che una manifestazione è segno di democrazia. E’ un peccato che la sinistra impari dalla destra alcune cose negative che la destra fa abitualmente. Dovrebbe imparare le cose buone – le poche cose buone – che fa la destra. Come convocare manifestazioni di domenica, non durante la settimana, come ha fatto la sinistra (un’altra manifestazione di appoggio al PT sarà il giorno 20, un giovedì). Durante la settimana? Una sciocchezza. Si provocano problemi di traffico, come in quella canzone di Chico Buarque. Non ha senso, no? Si fa di domenica quando non c’è scuola e le persone possono uscire di casa, sono libere. Peccato che la sinistra non impari dalla destra le cose buone.

D- E l’impeachment?


Guardi la mia preoccupazione oggi non è l’impeachment. Penso che la democrazia brasiliana sia consolidata, non ci sono motivi per l’ impeachment. La mia preoccupazione è un’altra. E’ se Dilma, personalmente, può affrontare i prossimi tre anni. Ho paura che rinunci.

D-Ha qualche segnale in questo senso?

No, è un’impressione soggettiva, ma ho paura che rinunci. O cambia rotta o mi domando se sopporterà la pressione psicologica dei tre anni e mezzo (che ha di fronte) con meno del 10% di consenso, con il 71% che va dicendo che il governo è cattivo o pessimo. Questo è un segnale che non stai piacendo a nessuno. Non serve far finta di niente. Qualcosa va fatto. O lei dà una svolta, cambia il programma di aggiustamento ecc. o prende la penna e scrive “vado a casa, non ce la faccio”. Ho questo timore…

D-C’è un documento, pubblicato anni fa dal giornale “Valor”, sul fatto che al culmine della crisi del mensalão, nel 2005, Dilma, capo di gabinetto della presidenza, avrebbe suggerito a Lula di rinunciare.

Non ci credo. Anche perchè Lula ha terminato con l’87% di consenso.

D-Più tardi, no? In quel momento, quando Duda Mendonça andò alla CPI a dire che era stato pagato all’estero con denaro della cassa due del PT, nessuno poteva immaginare che Lula avrebbe recuperato la popolarità nel modo in cui l’ha recuperata.


É… Se questo è vero (il consiglio di Dilma a Lula di rinunciare) rafforza il mio timore.

D-Nello scenario attuale, che vede insieme crisi politica e stagnazione economica, denunce di corruzione e bassa popolarità di Dilma, che cosa la preoccupa di più?

Il Brasile sta vivendo un momento di forte insoddisfazione, non solo nei confronti del governo. Insoddisfazione per la mancanza di utopie, di prospettive storiche, di ideologie di liberazione. Dal 2013 (giugno 2013), quando ci fu quella grande manifestazione atipica, non c’è stato nessun partito, nessuna dirigenza, nessun discorso. E fu una manifestazione enorme, in cui le persone protestavano. C’era la protesta, ma non c’erano proposte. Questo ha attirato molto la mia attenzione. E quando – questo è noto in campo terapeutico – si entra in uno stato di amarezza e non si vedono soluzioni, vie d’uscita, non si riesce a valutare razionalmente quel che si sta vivendo, non si riescono a vedere cause e prospettive. Tutto resta a livello di emozioni. Ho detto ad alcuni amici che la mia generazione ha vissuto grandi divergenze politiche durante la dittatura, anche all’interno della sinistra, divisioni profonde. Ma il dibattito era a un livello razionale. Si discuteva di progetti, programmi e prospettive storiche. Oggi, la discussione è emotiva. E’ come una lite dentro una coppia in cui è finito l’amore. E’ come premere l’acceleratore di una macchina finita in un pantano: quanto più si accelera più si affonda nel fango. E stiamo vivendo questo.

D-E il governo?


Il governo, che io considero il migliore della nostra storia repubblicana – i due di Lula e il primo governo Dilma – ha avuto grandi meriti, con l’inclusione economica di 45 milioni di brasiliani; e creato grandi equivoci come la non inclusione politica. Al contrario di quello che ha fatto l’Europa all’inizio del XX secolo, il governo del PT ha favorito l’accesso dell’insieme della popolazione brasiliana a beni personali, quando avrebbe dovuto iniziare con l’accesso ai beni sociali. La metafora che utilizzo è la baracca della favela. Lì dentro la famiglia ha computer, cellulare, elettrodomestici come cucina a gas, frigorifero, micro-onde, e ai piedi della favela una macchinetta, grazie alla facilità del credito. Ma la famiglia vive nella favela. E non ha fogne, non ha una vera casa, non ha mezzi di trasporto, non ha buona sanità, educazione, sicurezza. Risultato: è stata creata una nazione di consumatori, non di cittadini.

D- Lei ha parlato dei migliori governi della storia repubblicana e ha citato i due mandati di Lula e il primo di Dilma. E il secondo mandato di Dilma?

Su questo secondo mandato di Dilma, fino a ora, non ho buone notizie da dare. Non so cosa abbia fatto di positivo Dilma, da gennaio in qua. Mi piacerebbe che qualcuno lo dicesse. L’aggiustamento è necessario? E’ necessario. Ma il peso è solo sulle spalle dei lavoratori. E resta il dubbio se funzionerà. Il nostro è un paese con un mercato interno fantastico, ma che mantiene la sindrome coloniale che bisogna essere esportatori di materie prime, che oggi si chiamano commodity. Equivoci. E il governo ha terziarizzato la politica, affidandola alla troica del PMDB –Temer, Cunha e Renan– e ha terziarizzato l’economia, affidandola nelle mani di un economista, Joaquim Levy, notoriamente elettore di Aécio Neves. Realmente è difficile credere che questo sia un progetto del PT. Non sono mai stato militante del partito, devo dirlo. E non ne sono neanche un fondatore, come dicono alcuni. Sono stato sempre un elettore. Ma nelle ultime elezioni ho diviso il mio voto tra PT e PSOL.

D- Il governo Lula è stato uno dei più popolari della storia e Dilma è stata rieletta meno di un anno fa. Perchè il clima è cambiato?

Ora la gente è molto arrabbiata. Non possono più viaggiare in aereo come stavano facendo; comprare o affittare una casa migliore, come stavano facendo; avere prestiti senza interessi alti; andare al mercato con 20 reais e tornare con la borsa piena. Quindi, chi ha sbagliato? Secondo me l’errore è stato del governo che aveva tutte le possibilità in mano per poter realizzare quel progetto originale del PT che era organizzare la classe lavoratrice. Cioè: dare una consistenza politica alla nazione brasiliana, soprattutto alle nuove generazioni. Questo non è successo.

D-Perché secondo lei, le cose, sotto il PT si sono sviluppate in questo modo, cioè c’è stata l’opzione per la promozione del consumo e non l’altra?

Perchè il PT ha perso il suo orizzonte storico. L’orizzonte che aveva nei documenti delle origini. Di trasformazione, di realizzazione di riforme rilevanti.

D-Ma in che momento l’ha perso?

Ah, quando è arrivato al potere. E’ stato quando ha scambiato un progetto di Brasile per un progetto di potere. Restare al potere è diventato più importante che realizzare riforme importanti e necessarie per il paese, come la riforma agraria, tributaria, dell’educazione, sanitaria ecc. In 12 anni, l’unica riforma che abbiamo è l’anti-riforma politica di Eduardo Cunha (attuale presidente della Camera).

D-Perchè il PT non ha fatto queste riforme?

Perchè aveva paura di perdere alleati e non si è saputo assicurare la governabilità dal basso. Ha cercato di assicurarsela dall’alto. Non ha seguito l’esempio di Evo Morales (presidente della Bolivia), che oggi ha l’80% di consenso, è il secondo presidente – per consenso – dell’America Latina, dopo il presidente della Repubblica Dominicana. All’inizio non aveva l’appoggio né del mercato né del Congresso; ha cercato di assicurare la governabilità attraverso i movimenti sociali e oggi ha il consenso di tutti.

D-Il PT ha avuto paura di abbracciare questa strada?

E’ stata una strategia sbagliata per restare al potere. “Facciamo alleanze con chi ha il potere, noi stiamo al governo”. Una cosa è stare al governo e un’altra stare al potere. Questo è andato bene per un po’. Solo che c’è una questione di classe che è radicata nella struttura sociale brasiliana. E improvvisamente i settori conservatori, vedendo che non c’erano proposte, e prospettive storiche hanno deciso di procedere. É il momento che stiamo vivendo. Anche Lula è diventato vittima ora. Non di un attentato politico. Ma di un attentato terroristico. Questo (una bomba lanciata contro l’Istituto Lula, giorni fa) è un attentato terroristico. Lanciare una bomba su un edificio che ha assunto una simbologia politica è un attentato terroristico. Se fosse successo nella sede del Partito Democratico USA o nell’ufficio di Bill Clinton – un buon paragone – il giorno dopo il mondo intero avrebbe detto: “Bill Clinton ha subito un attentato terroristico”. E’ evidente che la stampa brasiliana non ha voluto dare spazio alla cosa, una certa stampa. Da una parte alcuni sono arrivati a insinuare che lo stesso PT avrebbe preparato questa bomba per cercare di vittimizzare Lula e il partito. Ma la cosa più grave è che non è stato dato lo spazio dovuto alla cosa, forse perché non interessa. Interessa solo che Lula appaia come accusato per il ‘Lava Jato’ non come vittima di un attentato terroristico.

D- Lei è amico di Lula, ha questa relazione storica con lui. Se la prendono anche con lei?

Una coincidenza. Ho fatto due presentazioni di un libro nell’ultima settimana, lunedi a Rio e martedi a Belo Horizonte. C’è stata gente di destra che ha cercato di disturbare in entrambe le occasioni.

D-Che hanno fatto?

A Rio c’era un ufficiale di corvetta della Marina che ha detto che mi stava portando un abbraccio da Olavo de Carvalho. Io ho detto: “Un abbraccio mortale, lo può restituire”. Olavo de Carvalho considera la Rede Globo comunista; papa Francesco, quindi, non è solo comunista per lui, è l’incarnazione del diavolo. E alla fine quel tipo stava dicendo: “ah, lei è un frate finto”. A questo punto ho detto che non ammettevo il suo comportamento, ho detto:”vada fuori”. Quindi soprattutto gli amici e le amiche, l’hanno messo in fuga.
A Belo Horizonte c’era gente del movimento patriota, con cartelli anti-comunisti e un grosso libro chiamato “Il libro nero del comunismo”. Sono venuti per organizzare qualcosa, ma anche lì la gente, i miei amici di là, sono intervenuti e quelli non sono riusciti nel loro intento..

D- Ci sono stati anche ex-ministri insultati nei ristoranti …..

Esattamente. Stiamo vivendo un’onda di rabbia. E per mancanza di coscienza politica della nazione, di coscientizzazione. I partiti sono diventati, “partiti in affitto”, la política è diventata mediocre e “Lava Jato” sta mostrando come si muove il potere in Brasile tra favori politici e conquiste economiche.

D-Lei dice che il PT, arrivando al potere, non ha seguito quel che era scritto nei documenti delle origini. Ritiene che si possa parlare di tradimento?

No, non di tradimento.

D-No?


No. Lo considera una deviazione dal proprio percorso.

D-Lei ha detto che non ha messo in pratica i propri documenti delle origini.

Si, ho detto questo. Ma tradimento per me è un’altra cosa, è una parola con un peso molto grande, non si sposa a quel che sto dicendo, al mio discorso. Quel che penso è che c’è stato un cambiamento di rotta. Si è abbandonato il progetto per il Brasile, che prevedeva un cambiamento di strutture. Si è abbandonata la riforma agraria e le altre riforme, che erano considerate prioritarie, in cambio di un progetto di conservazione del potere. E’ arrivato a dirlo perfino Lula, in una riunione con religiosi (io non ero a quella riunione). Ha detto: “Il PT pensa solo alle cariche”. Ha detto la stessa cosa che dico io con parole diverse. Tutto questo l’ho analizzato in due libri, “La mosca azzurra” e “Il calendario del potere”. E’ stato il mio bilancio.

D-E cos’è invece un tradimento?

Non so perché sta parlando di tradimento.

D- Lei ha detto che non si può parlare di tradimento. Quindi che cosa si può definire tradimento?

Tradimento sarebbe se il PT avesse…. chiamato il FMI ad amministrare il Brasile…Se avesse messo al primo posto le relazioni con gli USA… se non avesse costituito la Commissione della Verità.

D-Ho letto recentemente che lei ha avuto una lunga conversazione con Lula…


Sono amico di Lula e sono amico di Dilma.

D-Si, ma ha parlato loro in questi termini?

Certo, allo stesso modo in cui sto parlando ora. Io prendo posizione pubblicamente. Sono stato a parlare con Dilma il 26 novembre, con Leonardo Boff e altri. Le abbiamo consegnato un nostro testo. Siamo stati lì più di un’ora. Oltre a Dilma c’era Aloisio Mercadante, il capodigabinetto della Presidenza.

D-E come reagiscono a questo tipo di critiche?

Le accettano. Ci hanno ringraziato: “grazie per essere venuti, vediamo se ci possiamo vedere tra sei mesi per parlare di nuovo”. Ma è tutto qui. E poi fanno tutto in un altro modo. Cosa vuole che faccia? Mi metta a piangere? La conversazione è stata ottima. Dilma ha accettato tutto quello che abbiamo detto, sull’importanza della riforma agraria, dei quilombos, dei popoli indigeni, sul ruolo delle donne, dei programmi sociali, del fatto che non si possono fare tagli in settori come l’educazione e la sanità. E ci rispondevano: “è proprio così, lo sto pensando anch’io…”. Il testo sta là, ce l’ho molto chiaro nella testa. Io ho un buon rapporto con tutti e due [Dilma e Lula]. Io parlo liberamente. Loro mi stanno a sentire. Lula anche. A volte dice che la colpa non è sua, la colpa è di non si sa chi, è del partito, è di Dilma, è della congiuntura; e poi dice “ma abbiamo anche fatto…..”.

D-E tutto va avanti nello stesso modo?

Io ho un vantaggio che è questo: io sono un soggetto che ha scarso desiderio di ostentazione e, per esempio, ambizione zero. Una volta ho ricordato questo a Lula. Gli ho detto: “Lula, tu mi hai conosciuto nel 1979, il livello di vita che avevo allora è lo stesso che ho ora. Vivo nella stessa stanzetta in convento, che se vuoi ti mostro, vivo nello stesso posto, ho la stessa macchina Volkswagen, infine, non ho cambiato niente. Ora, io sono spaventato per i compagni che ho conosciuto allora e che oggi hanno un……lo sai?” C’è stato uno scollamento dalla base. Il PT ha perso i tre grandi capitali che aveva. Che erano, prima di tutto, essere il partito dei poveri organizzati – perchè oggi ha elettori non militanti, deve pagare ragazzi e ragazze disoccupati per sostenere le bandiere del partito, quando aveva una militanza volontaria agguerrita. Ha perso questo capitale. Il secondo capitale che ha perso era di essere il partito dell’etica. Non è vero? L’idea che “non saremo come gli altri”. E il terzo capitale era di essere il partito dei cambiamenti di struttura in Brasile. Non ha fatto nessun cambiamento strutturale. Ha fatto molte cose? Le ha fatte. Programmi sociali, come “Borsa Famiglia”, per esempio. Anche se non sono d’accordo con la sua impostazione. Il Programma “Fame Zero” era emancipatorio, è stato sostituito da “Borsa Famiglia” che è compensativo. Ha fatto programmi per l’educazione: quote, il Fies (fondo di finanziamento agli studenti della scuola superiore); una serie di cose eccellenti. Nella politica estera il voto è 10, secondo me, ma non è sostenibile.

D-E l’ambiente?

Ah, qui ci sono molte carenze. Qui il mio voto è ……6. Difesa dell’ Amazzonia, non ha lavorato abbastanza sulla questione ambientale.

D-Lei ha parlato del cambiamento degli ex-compagni come di una cosa che l’ha spaventata. Come vede in particolare il caso dell’ex- ministro José Dirceu?


Io credo che sia un abuso arrestare uno già arrestato. Era già stato arrestato, lo hanno mandato a prendere di nuovo. Non ce n’era bisogno. Tutta quella storia: trasferimento, Polizia Federale, televisione. Io penso che questo sia stato un abuso di autorità. Anche se ritengo che l’inchiesta “Lava Jato” sia estremamente positiva – era necessario un chiarimento della situazione della corruzione in Brasile, in qualsiasi modo – ci sono cose che non mi piacciono. Prima cosa: Il partito più coinvolto è il PP. Ma nell’opinione pubblica sembra che la cosa riguardi solo il PT. Secondo: perchè diffondono solo i contenuti relativi al PT e perchè li danno esclusivamente alla rivista “Veja”? É considerare la gente stupida. Ossia: c’è un’operazione politica dietro, di abuso di questo processo, che è un processo serio di verifica della corruzione in Brasile.

D-Ma e il caso specifico di José Dirceu?


Io non ho mai detto nulla, non troverete una mia parola in interviste, articoli, in cui dico se c’è stato o no il mensalão. Io aspetto che il PT prenda posizione. Se è successo o meno. E sono indignato perchè il partito non prende posizione. E non prende posizione di fronte a una figura così importante del partito come Dirceu. Non ho mezzi per giudicare. Che ci sia corruzione nella politica brasiliana, lo so. Ma non ho prove. E sono uscito dal governo senza accorgermi se ci fosse o meno il mensalão. Sono uscito nel dicembre del 2004, del mensalão si è cominciato a parlare nel maggio 2005. Molti mi hanno chiesto: Avevi un’idea su questo? Nessuna. Non ho avuto nessun indizio.

D-Un aspetto che ha richiamato l’attenzione è che José Dirceu ha fatturato R$ 39 milioni per le sue consulenze, in parte nello stesso periodo in cui era in arresto. E’ stato un elemento per il nuovo arresto, ma coincide anche con la colletta che è stata lanciata per pagare la multa relativa al mensalão.

E’ così. Sono indignato. Se è vero che ha tanti milioni nel conto, non capisco perchè ha promosso la colletta. Tra l’altro ci sono amici miei che hanno contribuito alla colletta: Sono indignati si sentono presi in giro.

D-L’ex-presidente Lula ha già parlato criticamente dell’allontanamento del PT dai movimenti sociali. Perchè è successo?

Avviene nel momento in cui il PT fa l’opzione della “Lettera al popolo brasiliano”, durante il primo governo Lula. Era una lettera ai banchieri e agli imprenditori. Era detto chiaramente: “vogliamo assicurare la governabilità attraverso l’elite, non attraverso legami con le nostre origini che sono i movimenti sociali”. E’ allora che viene creato il Gran Consiglio, al quale sono invitati leader dei movimenti sociali. Ma sono gli imprenditori che comandano lì dentro. E pian piano i dirigenti (dei movimenti sociali) se ne sono andati. E poi il Gran Consiglio, che era un consiglio di consultazione e discussione, è diventato un mero luogo di ascolto e di approvazione degli annunci della Presidenza. E oggi esiste appena. Ossia, questo dialogo minimo con la società civile ………oggi a malapena esiste. É quello che Dilma dovrebbe fare, creare un Consiglio Politico. Perché non sarebbe una forzatura. E’ previsto nella Costituzione del 1988, è una cosa normale, Lula lo ha fatto. Non come avrebbe dovuto. Avrebbe dovuto essere più democratico, la gente dei movimenti sociali avrebbe dovuto avere più spazio, ma lo ha fatto. Con questa crisi, non serve che Dilma sostenga Telmer. Deve ascoltare la società. Deve uscire dal palazzo, uscire dalla tana.

D-Perde contatto con la realtà?

Giorni fa ero a Irati, in Paraná, al 14º incontro di agroecologia. C’erano 4000 piccoli agricoltori del Brasile. Doveva venire Dilma, ma non c’è stata. Lei non ha idea di quello che ha perso. Quando sono arrivato là, si diceva che era per il maltempo. Non è vero, perché Patrus (Ananias) c’era. Quindi se il piccolo jet della FAB del ministro è atterrato, il grande jet della presidente sarebbe potuto atterrare, ma non importa. Non c’era. Quindi deve uscire dalla tana e tornare a galla. Sta nell’angolo. Non guarda al paese, non va dai movimenti sociali.

D-Paura di essere fischiata?

Non può avere paura. Una figura pubblica non deve avere paura di niente. Deve andare, esporsi. Non può fare così. E’ una persona pubblica. Lula ha promosso non so quanti consigli nazionali per la salute, l’educazione. Ora lo deve fare Dilma. C’è il PNE, il Piano Nazionale di Educazione. Ci voleva un dibattito sulla realizzazione del PNE. Nel frattempo la notizia che la gente riceve è di tagli all’educazione. E per di più usando lo slogan che lei ha coniato “patria educatrice”. Tutto questo spiega perché il consenso nei suoi confronti sia così basso.

D-Lei è religioso. Come valuta la crescita elettorale e, soprattutto, il comportamento del gruppo evangelico al Congresso?

Penso che si sta covando l’uovo del serpente. Una delle conquiste della modernità, importantissima, è stata la laicizzazione dello Stato e dei partiti. Questo gruppo vuole confessionalizzare la politica. Mi spiego: io sono padre o pastore di una chiesa che considera peccato le sigarette e le bevande alcoliche e pretendo che tutta la popolazione non beva bibite alcoliche e non fumi. Io ho due strade possibili. La prima è convertire tutta la popolazione alla mia religione; questo è impossibile. Ma la seconda è possibile: io vado al potere e trasformo il precetto della mia chiesa in legge dello stato. Come è successo negli USA negli anni 20. E io temo che il loro progetto sia questo, di confessionalizzazione della politica. Una forma di fondamentalismo brasiliano altamente pericoloso.

D-Per esempio?


Questo si manifesta ora nel dibattito sull’insegnamento religioso. Il mio atteggiamento è semplice: il collegio religioso deve insegnare la religione dell’entità che lo sostiene, che sia cattolica, ebraica o protestante. Bene, ci sono molti collegi religiosi che sono esclusivamente imprese scolastiche. D’altra parte i politici più corrotti del Brasile sono tutti usciti da collegi religiosi. E viene da pensare: che diavolo hanno fatto, che tipo di evangelizzazione era la loro? Ma tornando all’insegnamento pubblico e in particolare laico, ci deve essere l’insegnamento delle religioni. O si affida il compito al professore di storia, che è qualificato per fare questo, oppure si chiama il prete per parlare di cattolicesimo, il pastore per parlare di protestantesimo, il medium per parlare di spiritismo, il pai de santo per parlare del candomblé. Ma non si deve chiedere al prete di raccontare che cos’è lo spiritismo perché avrà dei preconcetti. Quello che stanno proponendo qui è trasformare i collegi in casse di risonanza delle predicazioni fondamentaliste, tipo creazionismo contro evoluzionismo. Questo è dannoso per la nostra cultura, la nostra storia, la nostra religiosità.

D-E, secondo lei, perché gli evangelici sono cresciuti elettoralmente?

Per capire questo dobbiamo ricorrere a un libro dell’inizio della modernità, fine del medio evo, chiamato “Discorso sulla Servitù Volontaria” (Etienne de la Boëtie, 1530-1536). Mostra com’è che la dirigenza di una associazione di persone è fatta in modo tale che queste perdano totalmente la coscienza, il libero arbitrio e diventino agnellini nei confronti di chiunque voglia manipolarli. Succede questo. Molte chiese trasformano i loro fedeli in agnellini che, minacciati dalla teologia della paura, finiscono per seguire la voce del pastore riguardo a ciò che lui ordina.

D-Negli ultimi decenni, le chiese evangeliche hanno effettivamente sottratto molti seguaci alla Chiesa Cattolica, basta vedere il censimento. Si può anche notare che oggi, in genere, l’evangelico sembra molto più militante del cattolico. E’ praticante. Qual è la sua spiegazione di questo fenomeno?

Ci sono due fattori. Gli studi stanno mostrando questo: quando c’erano le Comunità Cristiane di Base c’era meno fuga verso le chiese evangeliche. E’ successo che il papa Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI hanno indebolito le CEBs. E quindi oggi, il portiere dell’edificio qui all’angolo, la cuoca della vicina, la domestica non si sentono bene nella Chiesa Cattolica. Stavano bene nelle Comunità Ecclesiali di Base, ma sono state smobilitate dalla stessa chiesa per la paura che fossero legate alla Teologia della Liberazione, a influenze marxiste, progressiste. Ora, con papa Francesco, stanno rinascendo.

D-Davvero? Ha segnali in questo senso?

Si. C’è stato un segnale positivo nel 2014, in gennaio, quando c’è stato il 14° incontro delle CEBs a Juazeiro do Norte, io c’ero e il papa ha mandato un documento di saluto. E’ stato molto importante. E sono venuti 73 vescovi. Era da molto tempo che non se ne vedevano tanti. Perché nei confronti delle comunità c’era il semaforo giallo – non sono mai state condannate – ma c’era il semaforo giallo e ora è diventato verde. Ora, non c’è ancora la consistenza che c’era negli anni 70 e 80, vescovi che investano in questo. Ancora non c’è. I vescovi che abbiamo qui vengono tutti dai pontificati anteriori: 36 anni di Giovanni Paolo II e Ratzinger.
La seconda ragione è quel che papa Francesco ha denunciato nella Giornata Mondiale della Gioventù. C’è stata una burocratizzazione della fede. Uso questa immagine: se vai alle 3 di mattina in una chiesa evangelica vieni accolto, c’è qualcuno là che si occupa di te. Se vai alle 3 del mattino in una chiesa cattolica, è chiusa, c’è una grata, il prete non si trova e non c’è nessun laico autorizzato, come invece nelle chiese evangeliche, ad orientarti e accoglierti. Non c’è competizione. Riescono a fare un lavoro personalizzato. Basta vedere i cinema che si trasformano in templi. Sa come chiamo questo? La bocca cannibale di Dio. No? E’ li sul marciapiede; basta passare per essere risucchiato. Nelle chiese cattoliche non è così, sono distanti. Come partono le chiese evangeliche? Il pastore va là e affitta una stanzetta di un ufficio. Ci mette una dozzina di sedie e un tavolo e subito diventa un mini-tempio. E cresce perché entrano soldi. La chiesa Cattolica dovrebbe imparare molte cose buone dagli evangelici.

((Folha di Sao Paulo, 9 agosto 2015)

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