Il cuore cristiano d’Europa obiettivo della Jiahd

di Alberto Melloni

Il delitto di Saint-Etienne-du-Rouvray non è un “attentato al papa”, in senso tecnico. Ma ha lui come obiettivo ultimo.
La posizione di Francesco sulla guerra e sul rapporto islamo-cristiano è infatti davvero “insopportabile” per i jihadisti. Chi vuol convincere i musulmani che i cristiani sono “crociati” da sterminare, come può accettare che il pontefice apra l’ anno santo a Bangui chiedendo perdono della violenza dei cristiani? Chi con i suoi delitti vuol convincere l’ Occidente che ogni lettore del Corano costituisce in quanto tale una minaccia, come può tollerare che il vescovo di Roma compia il gesto messianico della lavanda baciando i piedi di un musulmano? Ecco dunque perché il Daesh sceglie un non-luogo della Seine Maritime, e proprio quando le migliaia di vescovi e di ragazzi della Gmg si preparano alla loro festa, entra in una chiesetta per la messa feriale dei santi Gioacchino ed Anna, tenta una strage, ammazza il parroco.

La vittima è un prete – come fu quando furono uccisi don Pino Puglisi, don Lazzaro Longobardi, don Renzo Beretta: ma il bersaglio è altro: lo scopo della tentata strage era far fermentare le accuse mute a Francesco, che trapelano qua è là: quella di aver sottovalutato i rischi, di aver aperto troppe porte, di aver troppo chiesto per i rifugiati, fino ai rimpianti per il discorso di Ratisbona… A Cracovia – nel cuore di quelle terre cattoliche dove crescono antieuropeismo, xenofobia, pulsione autoritaria e rigurgiti antisemiti – papa Bergoglio dovrà rispondere a queste recriminazioni: c’ è da credere che lo farà senza tatticismi irenici o senza legittimare la guerra purché “uccida senza odiare”.

Francesco infatti ha a disposizione un linguaggio che gli è consono e in questo caso segna il massimo del realismo possibile: è il linguaggio spirituale e “apocalittico”: quello che chiama alla preghiera e al digiuno, che nel nuovo testamento viene raccomandata insieme al digiuno per scacciare i demoni. E trae questo linguaggio dalla pratica liturgica, senza filtri. E nelle letture della messa del giorno di ieri – unico punto in comune fra la festa di Cracovia e il silenzio dimesso della chiesa di Saint-Etienne-du Rouvray – c’ era un invito a ricorrere senza paura a questo registro. Ieri infatti si leggeva un oracolo di Geremia 14: “Se esco in aperta campagna, ecco le vittime della spada; se entro nella città, ecco chi muore di fame.

Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere”. E poi Matteo 13, con la spiegazione allegorica della parabola della zizzania, secondo cui solo alla fine del mondo gli angeli “raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”. Due brani dedicati alla esigenza e alla difficoltà di comprendere l’ oggi come un tempo in attesa di redenzione, uno spazio intermedio nel quale la catastrofe e l’ iniquità sembrano ammutolire: che sembravano calzare a questi giorni di lutti. I “nichilisti islamici” (come li chiama Olivier Roy) che seminano paura in Europa non hanno nulla di religiosamente “radicale”: sono solo dei banali consumatori di pornografia religiosa e di Captagon. Mirano a distruggere la possibilità di convivenza fra la fedi e di pace fra le culture di cui l’ Europa – “l’ Europa dei diritti e delle libertà”, come l’ ha chiamata Francesco – è la prova. Scommettono sul fatto che presto o tardi tutti si piegheranno all’ idea che si deve scegliere fra sottomettersi e farsi sottomettere, fra limitare alcune libertà e perderle tutte.

Perseguono il loro disegno con atti schiettamente demoniaci come quello di Nizza – perché divorare i bambini è il sigillo della Bestia. O con atti insensati, come quelli che abbiamo visto in Germania, dove cercano di avere un ruolo nella campagna elettorale non meno rilevante di quello che si sono presi in Francia. Poi, con gesti come quello di oggi, dichiarano anche qualcuno dei loro nemici: e qui svelano il loro punto debole. Tanti devono fare qualcosa in più per battere il terrorismo: le polizie, i provider, i servizi, i governi; altri devono solo essere ciò che sono europei o cristiani o entrambe le cose.

(“La Repubblica”, 27 luglio 2016)

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