Habemus Papam rivoluzionario
E così sono trascorsi tre anni da quando il cardinale Bergoglio, appena eletto papa ci stupiva con un “buona sera”, pronunciato con naturalezza dalla solenne loggia di S.Pietro.
Come se fossimo improvvisamente finiti dentro un remake del film di Nanni Moretti Habemus papam.
Un film che sarebbe stato di gran lunga superato dai tanti, inediti gesti di quel papa che come il pontefice del film di Moretti, avrebbe amato mangiare una bella pizza in mezzo alla gente.
Tre anni pieni di gesti sorprendenti che, nella loro spontaneità, sembrano studiati. Gesti più che simbolici: non abitare nella solitudine degli appartamenti pontifici, mangiare alla mensa con gli altri perché da soli è triste, portare la borsa di lavoro con sé perché è più pratico, sicuro e perché così facciamo tutti. Così ha conquistato molti, stanchi di figure ieratiche e lontane e ha infastidito altri che vi leggevano un’ eccessiva indulgenza allo spirito populista dei tempi. In realtà i suoi comportamenti sono stati “segni”, non estrinseci, non demagogici ma testimonianze di un’ unità di vita: di un comportamento che non è in contrasto con le convinzioni che si proclamano.
Una richiesta, questa, che si era fatta sempre più impellente negli anni che hanno preceduto il suo pontificato, quando non solo nella chiesa ma nella società e nella politica italiane erano diventati intollerabili il discredito del potere e delle classi dirigenti. E la loro distanza siderale dalla vita delle persone. Perché Francesco Tre anni fa aveva subito spiegato di volersi chiamare Francesco, per essere come lui, il più santo dei santi, per vicinanza ed empatia con tutto il creato, le donne e gli uomini, gli animali e la natura.
Nell’ Enciclica Laudato sì promulgata il 24 maggio 2015 scrive cha ha scelto quel nome perché per lui san Francesco è stato «una sorta di dichiarazione di intenti e una fonte di ispirazione…, credo che Francesco sia l’ esempio per eccellenza per l’ attenzione ai deboli e per una felice e autenticamente vissuta ecologia olistica». E questa enciclica diventa rapidamente un testo cult, un simbolo di denuncia e impegno, addirittura un manifesto politico perché «attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, l’ uomo rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione». E vede dunque «l’ urgenza e la necessita di un mutamento radicale nella condotta dell’ umanità…, per eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’ economia mondiale e per correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ ambiente». l’ Unità Lunedì, 14 Marzo 2016 Severo eppure allegro Papa Francesco non è indulgente con i nostri tempi, è severo eppure allegro.
Come l’ altro Francesco. Questo è il papa del buon umore, contro la scontentezza e la lamentazione. Nella sua prima esortazione apostolica la Evangelii Gaudium, del 24 novembre del 2013, la parola gioia ricorre 59 volte. Mai un messaggio dolorista e triste, mai un cedimento al pessimismo e alla scontentezza. Non nel senso facilone e sempliciotto. Ma nel senso di non sposare quella cupezza e scoraggiamento tipici di un’ epoca come la nostra che si rifugia nel lamento compiaciuto per autoassolversi e chiudersi. Un mondo spaventato dall’ altro, dal diverso. Il cristiano, invece, è allegro. Consapevole della gravità delle situazioni ma pieno di speranza fattiva. «Gli evangelizzatori non dovrebbero avere costantemente una faccia da funerale…, non dovrebbero essere tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi».
Le sue parole chiave: la Tenerezza e la Misericordia. Nella vita delle persone significano ricerca di relazioni e non autosufficienza dell’ individuo, nelle convivenze tra le popolazioni costruiscono ponti e non muri. Russia, Siria e Cuba Teologia del cuore che si trasforma in una diplomazia del dialogo come l’ attenzione a non isolare la Russia, fondamentale alleato contro il terrorismo e per gli stessi equilibri europei, o una versione sapiente e non moralistica delle strategie di pace come fece il primo anno sulla Siria, per finire con la vicenda di Cuba che chiude tutto un percorso novecentesco. Un grande consenso, un bilancio positivo su tanti piani che, secondo molti, si appanna quando si valuta la governance: a rilento la riforma della curia, errori nella scelta di collaboratori. Ma anche qui credo ci sia una scelta precisa, quella di non dare priorità all’ efficienza manageriale del decisionismo. La chiesa del resto come diceva anche il suo predecessore non è un’ azienda. La scelta è piuttosto quella di convertire i cuori di credenti e no, senza distinzioni.
E la radicalità di questa scelta così spirituale e, insieme, così concreta disturba i vecchi assetti curiali più di tante plateali epurazioni. Concilio vaticano II Del resto si parla di resistenze e di opposizioni al nuovo corso bergogliano ben saldo sui binari tracciati dal Concilio vaticano II. Pensiamo alla collegialità sinodale nelle scelte, alla povertà come vocazione della chiesa, alla realtà come luogo di lettura dei segni dei tempi. Tutte caratteristiche che si sono espresse nel Sinodo sulla famiglia, poco capito. Importante per quello che non ha detto, come le affermazioni apodittiche e giudicanti che i conservatori avrebbero preteso. Un Sinodo di cui vedremo i frutti, che è partito dalla realtà di oggi, quella delle relazioni affettive fragili e difficili ma fondamentali nelle loro diversità e nei loro cambiamenti, come centro di un nuovo, comune umanesimo.
(“L’Unità”, 14 marzo 2016)