Fuori luogo e fuori tempo

di Cristina Simonelli

Quasi inutili queste ulteriori parole su Querida Amazonia, mentre già da molte parti si sono levati commenti e considerazioni sull’esortazione postsinodale. Quasi inutili eppure doverose, proprio perché l’antico adagio «quello che riguarda tutti, da tutti deve essere trattato» è stato indicato anche di recente come orizzonte di esigente sinodalità. Dunque non ci sottraiamo a questo che è un compito, da svolgere con rigore e senza opportunismi, anche quando è sgradevole: e in questo caso senza dubbio lo è.

È certo che il sogno – come non ricordare I have a dream del pastore battista Martin Luther King? – sociale, culturale ed ecologico che occupa buona parte del documento risponde a un’urgenza epocale e riprende una parte importante del dibattito sinodale e del lungo cammino di popolo che l’ha preceduto. Meglio tardi che mai, si può dire ed è sicuro che sia così. Tuttavia per tardi è tardi e alla devastazione dell’Amazzonia replicano i roghi dell’Australia, per limitarsi agli eventi più eclatanti, connessi anche se distanti: la giovane Greta Thunberg sa che comunque ci muoviamo, arriviamo ormai tardi e ne chiede ragione. Mentre mettiamo più che tiepidamente in atto risposte minime e del tutto insufficienti, troviamo magari pure che lei sia insistente, ossessiva, fuori luogo. Mentre noi siamo intanto comunque fuori tempo.

Paragonato a queste sfide, il sogno ecclesiale che occupa il 4o capitolo dell’esortazione risulta qualcosa di marginale, di settoriale, di clericale. Pure, come già c’è stato modo di osservare rispetto al Documento finale, un certo estrattivismo teologico ha portato a focalizzare tutte le reazioni almeno occidentali proprio su quella parte, cui veniva demandato quel sogno di sinodalità – piramide rovesciata si diceva… Chiesa e sinodo sono sinonimi… si ribadiva – che sembra così remoto nella pratica ecclesiale.

Poteva sembrare effettivamente una posizione di comodo, ma aveva una sua plausibilità, perché la comunità cattolica di quell’enorme territorio mostra in grande tutte le contraddizioni che si vivono a scala ridotta nel vecchio mondo. Così reclutamento, formazione e disciplina del clero e questione dei compiti riconosciuti (e non solo svolti) dalle donne sono punti nevralgici in tutti quei contesti dove sia rimasta una plausibile esperienza ecclesiale cattolica. Non unici, ma significativi.

Bene, proprio su questi aspetti Querida Amazonia non è solo lenta, di quella lentezza che può far sperare un profondo processo di discernimento. Non è lenta, è immobile, riproponendo, tra l’altro, per evitare il dibattito sull’ordinazione delle donne, il fantasma del clericalismo! Ma nella Lettera al popolo di Dio il clericalismo era una delle questioni più gravi della Chiesa, cattivo funzionamento e asimmetria espressi soprattutto da uomini della sua struttura: assurdo agitarlo come spauracchio di fronte alla ministerialità delle donne. Si è già scritto molto su tutto questo, sembra di sprecare energie a farlo nuovamente: è fuori luogo e fuori tempo.

Non è cosa grave come la distruzione del pianeta, ovvio, ma è atteggiamento ancora più miope, dal momento che si tratterebbe di una questione ben più facilmente risolvibile che non lo stravolgimento dell’ecosistema.

C’è tuttavia un peso, un freno, una zavorra che trattiene, se anche questioni documentate nella tradizione e attestate nella Scrittura sembrano montagne insormontabili: valga il caso delle diacone (per tacere di profetesse e apostole), valga il caso di vescovi per bene, sposati una sola volta e bravi padri di famiglia (cf. 1Tm 3,2).

Perché i fantasmi evocati per le donne e il femminile sono gravi, ma il dibattito sul celibato del clero latino che ha accompagnato Querida Amazonia è quasi più rocambolesco, dopo che il Concilio ha chiaramente affermato che «la perfetta e perpetua continenza per il regno dei cieli (…) non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva e alla tradizione delle Chiese orientali» (Presbiterorum ordinis, n. 16).

Certo, come argutamente osserva Stefano Sodaro, «Roma non locuta, causa non finita» e molte volte proprio in questi spazi di non locuzione si sono inseriti cambiamenti. Sempre tardivi, ovviamente, timidamente fuori tempo, quando ormai la frontiera del dibattito si è già spostata.

Vi sono infatti dimensioni del reale che, come la fede, spostano anche le montagne, come sostiene la versione del tutto sovversiva che Slavoj Zizek (In difesa delle cause perse) dà dell’antico brocardo: Causa locuta, Roma finita. Ma del resto la realtà non è forse superiore all’idea?

Galleggiano ombre di me, legni morti.

Ma la stella nasce senza rimprovero

sopra le mani di questo bambino, esperte,

che conquistano le acque e la notte.

Mi basti conoscere

che Tu mi conosci interamente,

prima dei miei giorni.

Pedro Casaldáliga, Carta de navegar (Por el Tocantins amazónico).

(“Il Regno”, 13 febbraio 2020)

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