Europa e Africa così vicine così lontane

di David Sassoli

C’è un mondo che esplode e un altro che guarda l’incendio con occhi increduli e pieni di stupore. Un’Europa che non riesce a mettere al riparo i suoi paesi dagli effetti della crisi finanziaria si è accorta all’improvviso che una grande questione sociale sta facendo saltare gli assetti istituzionali di paesi che fino a ieri erano considerati affidabili contro le degenerazioni dell’integralismo. I paesi esplodono e salta agli occhi quanto il nostro destino s’incroci con quello dei paesi nordafricani.
E lo stupore diventa paura, timore che il vento dei cambiamenti travolga le nostre certezze. Ci si accorge quanto miope sia stato abbandonare una politica per il Mediterraneo; di quanta grossolanità vi sia nel ritenersi autosufficienti nelle politiche sull’immigrazione; di come non sia più possibile far camminare l’Europa senza una politica estera comune. Grandi questioni di prospettiva battono alla nostra porta, e non basta far finta di non sentire.
Il governo italiano in questi anni ha cercato di accreditare l’immagine dell’immigrazione zero e per questo sono stati smantellati il centro di Lampedusa e le altre strutture capaci di rispondere a questa nuova emergenza. Televisione e mass media hanno fatto il resto. È stata una corsa a esorcizzare ciò che non può essere evitato, facendo credere che è possibile riproporre un piccolo mondo antico, sicuro e impermeabile. I dati a disposizione della Commissione europea raccontano un’altra storia e riferiscono di un flusso migratorio dal Sud al Nord che coinvolgerà entro il 2050 ben 40 milioni di persone. L’Europa, inoltre, invecchia a ritmi mai conosciuti: il 95% della crescita globale della popolazione riguarderà i paesi in via di sviluppo, mentre la percentuale della popolazione mondiale rappresentata dai 27 stati membri della Ue diminuirà sensibilmente.
In questi anni, modelli culturali rassicuranti e politiche autarchiche dei singoli Stati non hanno sviluppato un approccio europeo a fenomeni globali. Di conseguenza, si è privilegiato il fai-da-te, e il marketing berlusconiano in Italia ha avuto il sopravvento. Il Mediterraneo si riempie di barconi e non resta che gridare al fallimento dell’Europa. Ma cos’è questa Europa, se non l’insieme di governi che procedono in ordine sparso pensando di farcela da soli? Quattro paesi nordafricani bruciano e ci ritroviamo senza politica, visione e quella pedagogia civile che consente di affrontare sfide nuove. Non basta dire, come sentiamo ripetere da giorni a Strasburgo, che la ricetta consiste nel dirottare risorse dai fondi per l’Europa Orientale e trasferirli nell’area mediterranea. Anche potenziare gli accordi bilaterali fra paese e paese servirebbe solo ad alimentare quel neocolonialismo di ritorno tipico delle politiche estere nazionali. Servono, invece, leggi europee per governare flussi, controllare frontiere, combattere la clandestinità e regolare l’ingresso legale. Insomma, più Europa.
Gli strumenti legislativi ci sono, ma la politica non sente la necessità di usarli. I governi – 17 di centro-destra, 9 di centro-sinistra e uno tecnico – non sembrano intenzionati a trasferire altra sovranità nazionale all’Unione Europea. Più conveniente, invece, urlare contro la burocrazia europea, tecnocratica e distante. Ma è come prendersela con se stessi, evitando di rispondere all’appello rivolto all’Italia dal presidente del Niger, Salou Djibo: «Aiutateci a non far partire i nostri giovani». Non ci saranno governi adulti, consapevoli del XXI secolo, senza risposte alle sfide del mondo plurale.

(“Il sole 24 ore”, 19 febbraio 2011, pag.12)

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