Amazzonia in fiamme: Bolsonaro nega e il Parlamento europeo pensa di deferirlo alla Corte penale internazionale

di Elettra Cucuzza

L’Amazzonia è di nuovo in fiamme. Secondo il sistema di monitoraggio dell’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (Inpe), ad agosto sono stati registrati 29.308 focolai nell’Amazzonia e la regione del Pará è la prima nella classifica con 10.865 incendi.

La Nasa sottolinea che gli incendi sono frutto della deforestazione, ma il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, leggiamo il 14 settembre sul sito Osservatorio Diritti, dichiara che «questa storia che l’Amazzonia sta bruciando è una menzogna». Otto giorni dopo, il suo vice, il generale Hamilton Mourão, in un articolo intitolato “Vamos falar de queimadas” (Parliamo dei roghi) e pubblicato sul sito del governo, «è arrivato all’apice del negazionismo – commenta l’Ossrvatorio – attribuendo cause naturali agli incendi senza citare la deforestazione come fattore propulsore». Nel testo Mourão «contraddice anche i dati dell’Inpe quando afferma che tra il 1° maggio e il 31 luglio di quest’anno gli incendi sono diminuiti del 7,6 per cento. Secondo l’ente, durante questo periodo si è registrato un aumento del 23% rispetto agli stessi mesi dello scorso anno».

Per evitare le proteste del 2019 – preda di terribili e vastissimi incendi che hanno dimostrato l’incapacità, oltre che l’indifferenza, di Bolsonaro nel proteggere la foresta, chiosa l’Osservatorio –, nel 2020 il presidente ha imposto un divieto di 4 mesi agli incendi per facilitare il disboscamento e ha inviato l’esercito per combattere i roghi in Amazzonia, ma senza alcun successo, come ha rilevato l’Osservatorio del Clima, una rete di cui fanno parte 52 ong legate alle cause ambientali, come Greenpeace). In nota pubblicata sul loro sito, Marcio Astrini, segretario esecutivo dell’organizzazione, ha dichiarato che «il teatro militare istituito dal generale Hamilton Mourão in Amazzonia per ingannare gli investitori non è riuscito a ingannare i satelliti».

«Anche il Parlamento europeo ha fatto una prima mossa», aggiunge Osservatorio Diritti: «Ha commissionato uno studio in cui viene suggerita la possibilità di allertare la Corte penale internazionale su un possibile crimine contro l’umanità in assenza di protezione nell’Amazzonia brasiliana». Lo rivelail giornalista Jamil Chade in un articolo pubblicato il 2 settembre nel sito brasiliano UOL. «Nel tentativo di stabilire – vi si legge – una maggiore protezione giuridica dell’ambiente, l’analisi propone che il Parlamento europeo consideri la fattibilità e le implicazioni legali di allertare la Corte penale internazionale (Cpi) su un possibile crimine contro l’umanità nell’Amazzonia brasiliana che colpisce l’integrità del bioma amazzonico, provocando l’espropriazione illegale delle terre dei popoli indigeni e minacciando la vita delle popolazioni indigene in isolamento volontario».

Redatto nel giugno scorso dalla Direzione generale della politica estera del Parlamento, il documento indica che «l’attuale governo (Bolsonaro) sta potenzialmente minacciando la vita degli abitanti indigeni, in particolare quelli in isolamento volontario o senza contatto». Esistono già diverse denunce contro il governo Bolsonaro, ricorda Osservatorio Diritti, ma questa è la prima che potrebbe arrivare da un’organizzazione non brasiliana.

«Nonostante non esista ancora nel diritto internazionale il crimine di “ecocidio”, la pressione per la sua creazione è sempre più forte», afferma Osservatorio Diritti, che ricorda che, a giugno scorso il presidente della Francia, Emmanuel Macron, ha espresso sostegno alla sua creazione per giudicare coloro che non proteggono gli ecosistemi, facendo un chiaro riferimento alla situazione in Amazzonia.

(https://www.adista.it/articolo/64142 , 15 settembre 2020)

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