Raccontare la guerra
di Nello Scavo
Dagli altoparlanti che una volta diffondevano melodie classiche ora risuonano le sirene antiaeree. Ma avvicinandosi alle trincee che cingono il Teatro del Balletto, Odessa appare come il set di un kolossal dedicato alla Seconda guerra mondiale. Nessuno può credere che tanta bellezza possa essere sfregiata da un solo colpo di artiglieria. Invece, i colpi sparati dalle fregate russe e dalle basi in Crimea passano sulle cupole d’oro e le acrobazie architettoniche, in cerca di obiettivi militari.
Ma come sempre accade dal 24 febbraio, le cannonate sfondano abitazioni civili e infrastrutture. “Il nemico non è ancora alle porte”, dicono gli abitanti della città che le forze moscovite potrebbero voler conquistare anche solo per consegnare un trofeo di guerra a Putin, lo zar senza impero costretto a ripiegare dalle intenzioni conquistatrici della prima ora. I russi non sono ancora alle porte, ma bussano scaricando ordigni che hanno l’effetto di spingere i civili verso le uniche due opzioni: fuggire per mettersi al sicuro o restare per resistere.
C’è un effetto poco raccontato della guerra ucraina. Un conflitto che ha bisogno di un episodio scatenante, da poter manipolare per dare fiato alla menzogna che è alla radice di ogni guerra. In Ucraina non c’è una sola guerra. Se è vero che scontri e faide hanno trasformato le regioni separatiste nel campo di prova dell’invasione, l’effetto matrioska è platealmente sul campo. Da entrambi i lati, ceceni contro ceceni, islamisti contro islamisti, nazisti contro nazisti. Perfino estremisti postcomunisti filo-Kiev contro nostalgici dell’Urss.
Il regolamento di conti tutto interno ai neofascisti si svolge a colpi di lanciarazzi. All’inizio si facevano prigionieri. Ora non più. La propaganda russa accusa Kiev di aver dato mano libera ai neonazisti, alludendo in particolare al battaglione Azov che nel Donbass in questi anni non ha risparmiato i civili. Le due parti sul fronte si rinfacciano accuse e notizie difficili da verificare.
Ma quello che pochi sanno è che sempre nella regione separatista Putin, che accusa Kiev d’essere un regime di “nazisti e drogati”, può contare su una milizia nazifascista. Le immagini dei prigionieri russi, con i tatuaggi nazisti sulla schiena, circolano da giorni. Lo stesso fa l’esercito di Mosca con tutti gli uomini acciuffati nelle aree contese. Chi viene trovato con simboli fascisti viene catturato.
Alle elezioni politiche l’ultradestra ucraina non è mai andata oltre il due per cento. Ma la guerra, per sua natura brutale ed estrema, sta consolidando la narrazione autoreferenziale delle frange radicali. E quando il piombo tacerà, gli estremisti rivendicheranno un peso politico sia a Mosca sia a Kiev.
Oleksiy Kuzmenko, analista dell’Atlantic Council Usa, che a lungo ha seguito il battaglione Azov, ha scritto che l’estrema destra ha danneggiato la reputazione dell’Ucraina. E ogni tanto tra i prigionieri di entrambi i lati saltano fuori tatuaggi con falce e martello, altri con la stella rossa. Una sorta di internazionale reducista degli sconfitti dalla storia.
Anche i veterani dalla Siria, assadisti (arruolati da Mosca) contro l’ex Daesh (accorsi tra le fila ucraine), stanno affluendo sui campi di battaglia. Sarebbero poche decine. Abbastanza per terrorizzare i civili e trasformare l’invasione nel più sanguinario del “tutti contro tutti”.
“Scarpe buone e un quaderno d’appunti”, per dirla con Anton Cechov, resta la regola d’oro per chi di noi è sul campo. A patto di non dimenticare mai l’avvertenza di Erodoto, vero antesignano di ogni inviato speciale: “Questa è la più amara sofferenza per un uomo: avere molta conoscenza ma nessun potere”.
Noi possiamo andare, vedere, ascoltare, interrogare, infine raccontare. Ma non abbiamo il potere di cambiare per sempre le cose. Magari aggiustarle per un po’. Attraverso il nostro modo di ascoltare e vedere, però, possiamo far sì che domani nessuno abbia l’alibi del “non sapevamo”. È esattamente questa la sfida di ogni conflitto. Ed è quella che perdiamo più spesso. Unica consolazione, una domanda: “Cosa sarebbe stato di questa guerra senza i giornalisti che la raccontano?”.
(mosaicodipace.it , 28 luglio 2022)