Mimmo Lucano: il reato di solidarietà alla sbarra

di Luigi Ferraioli

C’è una nuova figura penalistica creata in questi anni dalla demagogia populista: quella dei reati di solidarietà. Le persone che salvano migranti in mare, coloro che danno lavoro a un clandestino, oppure una casa in locazione dove poter vivere umanamente, sono i nuovi delinquenti creati dalla legislazione d’emergenza. È un capovolgimento della logica del vecchio populismo penale: non più gli inasprimenti di pena, inutili e tuttavia giuridicamente legittimi, nei confronti di reati di sussistenza provocati dalla povertà e tuttavia pur sempre illeciti. Il nuovo populismo penalizza comportamenti virtuosi con misure insensate, quando non esse stesse illegittime, come la chiusura dei porti, l’omissione di soccorso e i respingimenti collettivi.

L’imputato simbolo di questa nuova figura penalistica è Mimmo Lucano, contro il quale riprende, oggi, il giudizio d’appello contro la condanna inflittagli in primo grado, il 30 settembre 2021, a 13 anni e due mesi di reclusione. Le colpe imputategli, come è noto, consistono nel fatto che Lucano, come sindaco di Riace, ha ridato vita a questo piccolo comune, ha costruito un frantoio pubblico e una scuola, ha trasformato due orrende discariche in un teatro all’aperto, in un giardino di giochi per bambini e in una serie di piccole fattorie e, soprattutto, ha realizzato – questa la colpa più grave – un modello di integrazione e di accoglienza di centinaia di migranti.…

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Giorgio Napolitano, il comunista che salì due volte al colle e divenne un re

di Andrea Colombo

Fu il primo del Pci a ottenere un visto per gli Usa. Avversario del Berlinguer della questione morale, a disagio per il boom 5S. Le forze politiche lo supplicarono di accettare il bis. Lui le umiliò in parlamento.

Quando si affacciò sulla scena pubblica, ad appena 17 anni, si faceva chiamare Tommaso Pignatelli, lo pseudonimo con cui firmò un volume di sonetti e che usava sul palcoscenico. Era appassionato di teatro, amico di Patroni Griffi e La Capria, attore. Era il 1942 e Giorgio Napolitano, come tutti nella sua generazione, faceva parte dei Guf, i Gruppi Universitari Fascisti. Già l’anno seguente li aveva abbandonati per avvicinarsi alla sinistra. Avrebbe preso la tessera del Pci nel 1945, per essere eletto deputato nel 1953. Al momento dell’uscita di scena, nel 2015, lo chiamavano re Giorgio: era stato in effetti più un monarca che un presidente.

NAPOLITANO È STATO «il primo» una quantità di volte. Il primo comunista a ottenere il visto per una serie di conferenze negli Usa, nel 1978: Kissinger lo definiva «il mio comunista preferito».…

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Giorgio Napolitano è morto: se ne va il primo Presidente della Repubblica eletto due volte

di Concetto Vecchio

Se ne è andato anche Giorgio Napolitano. Aveva 98 anni. È stato il primo presidente della Repubblica eletto due volte, nel 2006 e poi nel 2013 per due anni. In Parlamento dal 1953, era anche uno degli ultimi dirigenti della vecchia guardia ancora in vita del Partito comunista, insieme ad Achille Occhetto, Aldo Tortorella, Gianni Cervetti. Una vita a sinistra. Convinto europeista. Da tempo malato, era ricoverato nella clinica Salvator Mundi al Gianicolo, a Roma.

La stagione dei miglioristi

Ma come ricordare un’esistenza lunga quasi un secolo? È stato tra i pochi a svolgere un ruolo di rilievo sia nella Prima che nella Seconda Repubblica.

Negli anni Ottanta, dopo la morte di Giorgio Amendola, era diventato il capo dei miglioristi nel Pci, la corrente dei riformisti del partito. Riformismo, nella sinistra di allora, era ritenuta quasi una malaparola. I miglioristi –  Napolitano, Macaluso, Iotti, Lama, Chiaromonte, Bufalini –  erano quelli che dialogavano con il Psi, con l’odiato Craxi.…

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Don Puglisi, ucciso dalla mafia e da «mandanti inconsapevoli». Un libro a 30 anni dall’omicidio

di Luca Kocci

«Sono passati trent’anni dalla sera del 15 settembre 1993, quando il caro don Pino Puglisi, sacerdote buono e testimone misericordioso del Padre, concluse tragicamente la sua esistenza terrena proprio in quel luogo dove aveva deciso di essere “operatore di pace”, spargendo il seme della Parola che salva, che annuncia amore e perdono in un territorio per molti “arido e sassoso”, eppure lì il Signore ha fatto crescere assieme il “grano buono e la zizzania”». Comincia con queste parole la lettera che papa Francesco – in cui, in maniera piuttosto sorprendente, non vengono mai usate le parole «mafia» o «Cosa nostra» – ha inviato a mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, in occasione del trentesimo anniversario dell’omicidio di don Pino Puglisi, il parroco palermitano che annunciava il Vangelo dal pulpito della sua chiesa e per le strade del suo quartiere, lavorando perché Brancaccio diventasse più vivibile – le lotte insieme ai cittadini per la scuola, i servizi sociosanitari, le fognature – e i suoi abitanti potessero liberarsi dal dominio mafioso.…

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Cile, i 50 anni di un golpe

di Federico Bonadonna

L’11 settembre del 1973 un golpe militare sostenuto e finanziato dagli Stati Uniti d’America abbatté il governo di Salvador Allende, il primo presidente socialista democraticamente eletto della storia. Accadde in Cile, dove il generale Augusto Pinochet instaurò una dittatura del libero mercato seguendo le ricette monetariste di Milton Friedman e la sua scuola di Chicago frequentata da alcuni cileni dell’alta borghesia fin dai primi anni Sessanta.

Fino al golpe Pinochet era un personaggio secondario nella storia cilena. Allende non saprà mai che il generale che aveva nominato appena venti giorni prima comandante delle forze armate sarà il traditore principale: “Pinochet non risponde, poverino, lo avranno imprigionato” dirà Allende a uno dei suoi collaboratori in quelle ultime, drammatiche ore, mentre i quattro caccia Hawker Hunter dell’aeronautica bombardano il palazzo presidenziale La Moneda. In quelle stesse ore, con la sua voce stridula, Pinochet dice all’ammiraglio Patricio Carvajal di proporre alla famiglia Allende di lasciare il Cile su un aereo per poi simulare un incidente in volo: “Se mata la perra se acaba la leva”, uccidere la cagna per eliminare la cucciolata.…

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Guzmán : “Il Cile deve ancora guarire dal golpe dell’11 settembre”

di Lucia Capuzzi

«Ho perduto molte cose nella vita ma non l’entusiasmo. Come ho fatto? Ho imparato che ciascuno di noi è chiamato a ricostruirlo dopo ogni delusione. È l’unico modo per non smettere di vivere». A 82 anni, la voce di Patricio Guzmán è flebile. Ma dentro ogni sillaba risuona lo slancio del trentenne rientrato in Cile dalla prestigiosa Scuola ufficiale di cinematografia di Madrid proprio quando, per la prima volta, un socialista aveva conquistato il potere con le schede elettorali. E quell’uomo, Salvador Allende, si accingeva a fare la rivoluzione all’interno dell’ordine costituzionale. Un esperimento inedito nel mondo spezzato in due blocchi contrapposti e, per questo, destinato a plasmare l’immaginario della sinistra ben oltre le Ande. «L’intero Paese era uno straordinario documentario. Svoltavi l’angolo e c’era una manifestazione, due strade dopo un collettivo artistico improvvisava un laboratorio. Avevo gli occhi pieni di immagini, dovevo solo prendere una telecamera e filmare. E l’ho fatto».

Per oltre un anno, Guzmán ha girato nelle fabbriche occupate di Santiago, nelle campagne in fermento, nelle piazze teatro di comizi e dimostrazioni di segno opposto.…

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Perchè l’11 settembre cileno ci riguarda ancora

di Tommaso Di Francesco

Il golpe orchestrato dagli Stati uniti sconvolse il mondo, e non bisogna dimenticare che dopo i consiglieri della Cia e gli istruttori militari del Pentagono arrivarono a Santiago, chiamati da Pinochet, i Chicago Boys, i campioni della scuola economica iperliberista di Milton Friedman

Il primo 11 settembre che stravolse le sorti del mondo non fu quello del 2001, pur epocale che, con l’abbattimento delle Torri Gemelle, colpì al cuore gli Stati uniti, rimasta l’unica super potenza dopo l’implosione dell’Urss.

Fu quello del 1973 in Cile con il golpe militare orchestrato dalla Cia e dal generale Augusto Pinochet contro il governo legittimo di Unidad Popular guidato dal presidente Salvador Allende in carica dal 1970.

Non proponiamo una lettura da “nemesi”, ma accadde prima delle Twin Towers e continuare a sottovalutarne la portata mondiale vuol dire relegare in un angolo uno stravolgimento violento e sanguinoso che segnò una ferita profonda, che apparve irreversibile nei rapporti internazionali. Non solo nell’intero continente latinoamericano – con lo sviluppo violento e militare elaborato dal Plan Condor con i golpe che seguirono in Argentina, Uruguay e Bolivia – ma anche in occidente, in Europa e segnatamente in Italia, condizionando pesantemente le strategie della sinistra.…

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Chiamamola privatocrazia sanitaria, una cancrena

di Nicoletta Dentico

Avevamo il secondo sistema sanitario più bello del mondo, per l’Oms, fino al 2000. Oggi almeno il 60% dei fondi pubblici finisce in mano ai privati; più del 50% delle strutture che si occupano di malattie croniche sono private. I tagli della prossima legge di bilancio assecondano questa metastasi.

Parecchi anni fa, in taxi per le strade di Nairobi, ricordo lo sbalordimento quando il taxista dichiarò en passant, ma con sarcastico sollievo, che nell’eventualità di un incidente con la macchina, la mia presenza a bordo avrebbe garantito la disponibilità di una carta di credito per accedere al pronto soccorso anche per lui. Già la privatizzazione della salute in Kenya rivelava le sue aberranti manifestazioni, incluso il fatto che – come raccontava il taxista con angoscia – anche partorire in ospedale comportava un costo che la maggior parte della popolazione non poteva permettersi. I parti difficili finivano male, perlopiù, era accaduto anche a sua figlia.

Oggi, nel paese che nel 2000 si collocava al secondo posto al mondo (dopo la Francia) per la qualità del servizio sanitario nazionale secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), ci stiamo dirigendo – un passo alla volta, neppure tanto lentamente – nella stessa paradossale direzione.…

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