Fuori dall’assedio, come allora
L’età media di chi ha vissuto fisicamente il 25 aprile 1945, come il sottoscritto, è ormai piuttosto avanzata. Si può dire che sta per finire quella generazione e un’altra si afferma nella vita e nella società. Agli interrogativi di sempre oggi ci si pone anche il problema se è giusto e opportuno ricordare e celebrare il 25 aprile di fronte all’apparente egualitarismo imposto dal coronavirus che azzera le diversità del genere umano.
Ebbene sì, perché le avversità sanitarie, se attenuano i conflitti in nome di una esigenza di comune protezione fisica, non annullano differenze di visioni, di modi di vista, di classi. Soprattutto nel momento in cui ci si pone il problema di come tornare alla normalità una volta che fosse passata l’attuale fase devastatrice, ripensare alle origini della nostra democrazia diventa la via maestra per recuperare il senso di una comunità civile fuori dall’assedio dell’imponderabile.
Se io penso al mio 25 aprile del 1945 l’ho vissuto in un osservatorio privilegiato dove l’avvicendarsi in un paio di giorni di partigiani e partigiane jugoslave e soldati neozelandesi simboleggiava in una la coalizione che aveva sconfitto fascismo e nazismo e insieme il germe potenziale della guerra fredda.…
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