Chiuso il caso Le Pen ci vuole una Schengen mondiale

di Raniero La Valle

Madame Le Pen non ha vinto le elezioni francesi, e non vincerà nemmeno nel ballottaggio. La buona notizia è questa, non è una notizia esaltante invece che Macron sarà il presidente francese; ma ciò dipende dal fatto, confermato dal risultato del voto del 23 aprile, che il popolo c’è, mancano i leaders, e i partiti sono ormai senza visione e cultura. Passata ora la grande paura di un trionfo della destra xenofoba, si evidenzia però che il vero problema è quello della posizione da prendere riguardo alla grande migrazione divenuta ormai strutturale e permanente nella nuova realtà della globalizzazione. Ma se le elezioni si decidono sui migranti, ciò vuol dire che tale questione è diventata il nodo centrale della politica, e sulla risposta che si dà a tale questione sta o cade la democrazia. Lo Stato moderno, cioè lo Stato di diritto, muore o sopravvive in questo passaggio cruciale. Infatti ci sono solo due risposte possibile a questo problema: una è quella della destra, il rifiuto, i muri, la blindatura dei confini, i patti leonini stabiliti con la Turchia o con la Libia per ricacciare i profughi al di là del mare, o il muro che spezza a metà l’America, tra gli Stati Uniti ed il Messico; ed è su questo crinale che monta l’intolleranza e finisce la democrazia e lo Stato di diritto; oppure la soluzione è una Schengen mondiale, le frontiere che si aprono non solo ai capitali, ai beni materiali, al commercio, ma alle persone, alle famiglie, alle religioni e alle culture; e la gente che può andare a vivere dove vuole, senza tratta senza torture e senza scafisti, in nave, in aereo o per via di terra, con un semplice visto.…

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L’eredità di quella liberazione

di Enzo Collotti

Stando alla cronaca dei festeggiamenti di questo 25 aprile dovremmo concludere che l’anniversario della Liberazione è una festa e un’occasione che divide il nostro popolo? È stato già detto e ridetto che nessuno può essere escluso da una festa di popolo. Così come a nessuno si deve consentire di monopolizzare la festa per fare prevalere le proprie ragioni. La realtà dimostra che è più facile dirlo che farlo. Si tratti della Brigata ebraica o delle rappresentanze palestinesi, il pretesto per rompere l’unità dei festeggiamenti si trova facilmente. Ma chi opera la divisione dimentica almeno due cose.

La prima, la distanza di tempo che ci separa dalla lotta di liberazione (siamo al 72esimo anno!). La seconda, la complessità della situazione nella quale ci troviamo oggi (altrettanto complessa ma al tempo stesso diversa da quella di 72 anni fa). Tutto questo per dire che cosa? Che nulla può essere come 72 anni fa: ci sono ricambi generazionali e ogni generazione ha il diritto di dare al 25 aprile il senso che ritiene più appropriato una volta esclusi i fascisti.…

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25 aprile, chi boccia “Bella ciao” a scuola non capisce a cosa serve insegnare

di Alex Corlazzoli

Il fatto che il Partito Democratico dell’era Renzi a Roma non partecipi alla manifestazione del 25 aprile non mi stupisce; sarebbe come se un vegano partecipasse alla sagra della salamella. Ma che in una scuola le famiglie arrivino a contestare agli insegnanti l’iniziativa di far cantare “Bella Ciao” all’interno di uno spettacolo sulla Costituzione è preoccupante. A denunciare questa situazione è una collega, Rosaria Valente che ha scritto una lettera pubblicata oggi su Repubblica: “Insegno in una scuola primaria, stiamo allestendo uno spettacolo sulla Costituzione, ripercorrendo la storia d’Italia. Le famiglie hanno contestato la presenza di “Bella Ciao”, sostenendo che è un canto “rosso” e che, per par condicio, avremmo dovuto inserire anche “Faccetta nera”. Nulla può fermare l’ignoranza in questo Paese.

Intanto a questi genitori ma anche a quei maestri che a differenza della maestra Rosaria, non parlano di “Bella ciao” per lo stesso timore, andrebbe suggerita la lettura del bel libro Bella ciao (Add editore) di Carlo Pestelli.…

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Perchè oggi è la festa della liberazione

di redazione www.ilpost.it

Il 25 aprile è il giorno della Liberazione, giornata di festa nazionale dedicata al ricordo e ai festeggiamenti per la fine del nazifascismo, che avvenne nel 1945 nelle ultime fasi della Seconda guerra mondiale. L’occupazione tedesca e fascista non terminò in un solo giorno, ma il 25 aprile è considerata una data simbolo perché coincise con l’inizio della ritirata da parte dei soldati della Germania nazista e di quelli fascisti della repubblica di Salò, dalle città di Torino e di Milano, dopo che la popolazione si era ribellata e i partigiani avevano organizzato un piano coordinato per riprendere le città.

La scelta della data del 25 aprile come “festa della Liberazione” (o come “anniversario della Liberazione d’Italia”) fu fatta poco meno di un anno dopo, il 22 aprile del 1946, quando il governo italiano provvisorio – il primo guidato da Alcide De Gasperi e l’ultimo del Regno d’Italia – stabilì con un decreto che il 25 aprile dovesse essere “festa nazionale”.…

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Deutsche Bank, il crollo del mito tedesco

di Mauro Maggiolaro

La più grande banca tedesca sta precipitando verso un abisso dal quale potrebbe riuscire a salvarla solo il governo di Berlino e quindi i contribuenti tedeschi Avidità, provincialismo, codardia, immaturità, menzogna, incompetenza, arroganza. Sono solo alcuni degli aggettivi che un memorabile servizio del settimanale tedesco Der Spiegel, pubblicato pochi mesi fa, ha dedicato a Deutsche Bank (https://goo.gl/P5SOQP). La più grande banca tedesca, quella che per buona parte dei suoi 146 anni di storia è stata l’incarnazione stessa dell’etica protestante nel sistema bancario, sta ora precipitando verso un abisso dal quale, alla fine, potrebbe riuscire a salvarla solo il governo di Berlino e quindi i contribuenti tedeschi.

A Francoforte i due grattacieli di vetro di 155 metri nei quali ha sede la banca sono chiamati “Soll” e “Haben” (dare e avere). Nella visione ideale, architettonica e finanziaria, della banca il dare e l’avere dovrebbero essere in equilibrio. Ma da tempo non lo sono più. Il 2 febbraio scorso sono stati resi noti i risultati del quarto ed ultimo trimestre del 2016: 1,9 miliardi di perdite nette.…

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Lo stato dell’unione (bancaria)

di Vincenzo Comito

Il progetto di unione era nato a suo tempo per rafforzare il sistema finanziario europeo ma fino ad ora non ha affrontato nessuna delle lezioni scaturite dalla crisi economica

La storia dell’unione bancaria europea, pur nella sua brevità, è ricca di vicende, in particolare per quanto riguarda le sue propaggini italiane; essa appare emblematica, quasi come il temporalmente quasi parallelo caso greco, di quanti ostacoli si frappongano sul cammino della (eventuale) costruzione dell’unità politica ed economica del nostro continente, costruzione che rispetti comunque alcune regole di equità e di ragionevolezza.

Gli obiettivi dell’unione bancaria e la posizione tedesca

Il progetto di unione era stato a suo tempo stimolato dal desiderio di rafforzare il sistema finanziario europeo – le cui debolezze erano state sottolineate dalla crisi del 2008 -, nonché dalla volontà dichiarata di spezzare il legame tra debito pubblico dei vari stati e difficoltà bancarie. A lungo termine si intravedeva anche un’integrazione complessiva dei mercati finanziari.

Il progetto presentava tre obiettivi di fondo: 1) portare la sorveglianza e la regolamentazione del sistema finanziario a livello europeo, togliendola dalle mani delle autorità nazionali, di frequente troppo compiacenti verso le imprese nazionali e comunque rinnovando un sistema che era portatore di regole anche molto differenti da paese a paese; 2) prevedere, sempre a livello unitario, delle norme di intervento risolutivo (salvataggio, chiusura) nei confronti delle banche in crisi, avviando parallelamente la creazione di un fondo di risoluzione comune per i salvataggi; 3) mettere a punto, infine, un sistema comune di assicurazione sui depositi dei clienti.…

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I guelfi e i ghibellini e le colpe del declino

di Carlo Clericetti

Festa grande alla fine del Carnevale. Razzi, scoppi e mortaretti per la clamorosa notizia: il Pil del 2016 è cresciuto non dello 0,8%, secondo le ultime previsioni del governo (dopo varie revisioni al ribasso), ma addirittura dello 0,9%. Un trionfo. E per quest’anno forse si potrebbe persino raggiungere l’1%, un altro decimale in più (ma mica è scontato). Avanti così, e forse tra un’altra decina d’anni riusciremo a tornare dove eravamo prima del 2008, sempre se non arrivano altre crisi. Insomma, un futuro luminoso.

Ma anche sul breve termine il governo non ha tanto da stare allegro. Non tanto per i 3,4 miliardi che la Commissione Ue ci ha imposto di trovare subito come condizione per approvare i conti di quest’anno: quello è solo l’antipasto, perché per il 2018 c’è da coprire un’altra di quelle clausole di salvaguardia che vengono dalle manovre passate, e lì son dolori, perché si tratta di quasi 20 miliardi. Per la precisione – secondo i calcoli di Nens – sono 19,571 miliardi, e per coprirli, se non si provvede altrimenti, aumenterà l’Iva di tre punti – dal 10 al 13 e dal 22 al 25% – diventando la più alta in Europa.…

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Daniel Cohen : « La France est fondamentalement inégalitaire »

di Antoine d’Abbundo et Marie Dancer

Pour l’économiste Daniel Cohen, il faut mettre fin au système élitiste à la française.

Avant la présidentielle, « La Croix » explore durant trois semaines les inégalités économiques, les ruptures sociétales, les fractures culturelles qui traversent la France.

Selon Daniel Cohen, directeur du département d’économie de l’École normale supérieure et cofondateur de l’École d’économie de Paris, la France est une société fondamentalement inégalitaire.

La Croix : La France a fait de l’égalité un élément du triptyque républicain. Mais tient-elle ses promesses ?

Daniel Cohen : L’hypocrisie est totale sur ce sujet car, en réalité, la France n’a jamais réussi à réconcilier deux systèmes de valeurs opposés : l’aristocratique, qui fonde une société hiérarchique, et l’ecclésiastique où tout le monde est égal devant Dieu. Aujourd’hui, elle est arrivée au point limite de sa capacité à prétendre qu’elle est un pays d’égalité alors que ce qui structure la société, c’est toujours ce vieil ordre aristocratique. Voilà la « maladie française ».…

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