Bugie di guerra

Le vostre bugiedi Renato Sacco

Quante bugie! Si sa, in tempo di guerra se ne dicono tante, e la prima vittima di ogni guerra e proprio la verità. E di bugie ne sentiamo tante anche in questi giorni. Ma una in particolare mi ha colpito, profondamente! Certo, ci sono le bugie dei responsabili giapponesi della centrale nucleare di Fukushima, e di tanti altri sul nucleare. Le bugie nella prima guerra del Golfo con il famoso cormorano ricoperto di petrolio. Bugie sulle bombe ritrovate in Adriatico dopo i bombardamenti del 1999 sulla Serbia e Kosovo. I responsabili dissero che erano della seconda mondiale, ma i pescatori nelle loro reti hanno potuto leggere da vicino che la data scritta su quelle bombe era inequivocabile. Le bugie sulle armi di Saddam per poter scatenare la seconda guerra contro l’Iraq, nel 2003, proprio in questi giorni. Lo hanno ammesso poi anche i responsabili. Bugie sugli obiettivi colpiti, sui missili intelligenti, sugli effetti collaterali, sulle ‘missioni’: parola sempre più usata per parlare di guerra.…

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Italia travicello

Death of a surrealist soldierdi Raniero La Valle

La prima cosa da dire è che il termine “umanitario” applicato a una politica, è fuorviante, se non addirittura espressione di un’ideologia perversa. Esso suppone infatti che la qualità umanitaria rappresenti una eccezione o una sospensione o una particolarità della politica, che di per sé avrebbe tutt’altre finalità. Nella nostra concezione, al contrario, la politica deve sempre essere umanitaria, cioè ordinata al bene degli uomini e delle donne in quanto cittadini, non importa se del proprio o degli altri Stati; e basta leggere l’art. 3 della nostra Costituzione, allargato poi nell’articolo 11, per vedere come a questo punto dell’incivilimento umano la politica non può che essere pensata come rivolta alla piena realizzazione delle persone umane e a un ordine di giustizia e di pace tra le nazioni. Se ciò vale per la politica, tanto più vale per la guerra, che non può essere umanitaria nemmeno come eccezione. E infatti, a questo stadio della civiltà, essa è bandita, oggetto di ripudio all’interno e bollata come flagello sul piano internazionale.…

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Entusiasmo e fanatismo: il fascino dei Catari

di Armando Torno

I catari devono il loro nome al greco kátharoi, che significa puri. Nel XII secolo si cominciarono così a chiamare alcune tendenze religiose che praticavano un forte ascetismo e credevano in una concezione dualistica, fondata su due principi originari: il Bene e il Male. E questo anche se il termine kátharoi circolava dai primi tempi del cristianesimo, giacché in tale modo si autodefinirono nel III secolo i seguaci del vescovo Novaziano, tanto che si trovano citati in un documento del Concilio di Nicea del 325. Nel medioevo si diffusero nell’Italia settentrionale (ma anche in Toscana), in Svizzera, nelle Fiandre, in Germania e nella Francia meridionale, dove si chiamarono albigesi, perché nella città di Albi – capoluogo del dipartimento del Tarn – ebbero il loro riferimento. La dottrina praticata, che tra l’altro considerava Cristo come un angelo dalle sembianze umane adottato da Dio, scatenò contro di essi predicatori quali Domenico di Guzmán e una crociata. La repressione fu dura e l’Inquisizione colpì senza particolari indulgenze gli ultimi cenacoli dopo la loro sconfitta.…

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Dobbiamo desiderare il futuro

di Mario Calabresi

Un secolo e mezzo ci appare come un tempo lunghissimo: il 1861 sembra appartenere soltanto ai libri di scuola, eppure 150 anni altro non sono che sei generazioni. Se guardo alla data di nascita di mia nonna sono già nel 1915 – alla vigilia della Prima guerra mondiale -, e se lei si voltava indietro a ricordare il suo di nonno allora era subito il tempo di Cavour. Questa storia ci appartiene, dovrebbe rassicurarci, eppure oggi prevale un senso di smarrimento e molti si chiedono cosa ci sia da festeggiare: dobbiamo forse fare i fuochi d’artificio per la speranza e i desideri che abbiamo perduto? Forse c’è da essere contenti per un Paese che anno dopo anno rallenta il suo slancio e si mangia i suoi risparmi? Un’Italia affaticata per quale motivo deve fermarsi a celebrare, perché dovrebbe mettere la bandiera alla finestra?

Dovrebbe metterla per ritrovare se stessa, dovrebbe fermarsi perché potrebbe ricordare che i desideri, la realizzazione personale e gli slanci individuali sono capaci di fare la storia se navigano insieme a quelli di milioni d’altri, se fanno parte di un progetto collettivo, se sentono di appartenere ad un’idea forte capace di far dimenticare le paure, di dare coraggio davanti alle difficoltà.…

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Il dolore segue l’errore

Woody in difesa della CostituzioneUntil the enddi Enrico Peyretti

Quando le bombe tuonano, tace la ragione, tace la parola, l’umanità si eclissa. E’ vero che la violenza delle armi era già in atto, in Libia e altrove, da parte di governi e (non dappertutto) di ribelli. Proprio per questo, alle armi va sostituita strenuamente la parola, l’ascolto delle diverse attese, la trattativa. Se esistono istituzioni internazionali, se c’è una politica tra le nazioni, tra gli stati, se c’è equità di giudizio (cioè se interessa la pace, la vita dei popoli più del petrolio) deve esserci il parlare, il “parlamentarizzare” ogni conflitto; si deve chiamare chi spara – in questo caso Gheddafi e i ribelli – a render conto in conferenze che confrontino le parti avverse, in presenza di terzi attivi mediatori, portatori del sentimento universale della comunità umana. La via delle armi diventa l’unica visibile quando, per carenza morale e razionale delle politiche, si sono escluse le vie della razionalità politica. Quando è tardi perché si è già sbagliato nel non capire e non agire bene tempestivamente, non c’è più riparo al danno e al dolore.…

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Dialogare senza temere l’anima integralista dell’Islam

di Miguel Gotor

Mosaic d´Orfeu, Museu de TrípoliLe prossime ore potranno segnare l’inizio di un’azione militare dalle imprevedibili conseguenze ed evoluzioni nel Mediterraneo, a poche centinaia di chilometri dall’Italia. Dopo tanto esitare il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato a favore della no-fly zone sulla Libia per impedire agli aerei di Gheddafi di bombardare i civili. Resta il rammarico per una decisione giusta, ma tardiva, che avviene quando il dittatore ha rafforzato le sue postazioni riducendo gli insorti ai minimi termini. Per questa ragione, rendere effettiva la risoluzione dell’Onu si rivelerà più complicato e rischioso di quanto sarebbe potuto avvenire se essa fosse stata presa all’indomani dello scoppio della rivoluzione del 17 febbraio, nei giorni in cui Gheddafi era sulla difensiva.

È sempre gravoso adottare simili provvedimenti, ma le coscienze democratiche, come ha ricordato il presidente della Repubblica Napolitano, non potevano continuare a rimanere indifferenti «rispetto alla sistematica repressione di fondamentali libertà e diritti» avvenuta in Libia. Non è possibile pensare che le incertezze che hanno accompagnato la decisione dell’Onu scompaiano all’improvviso così come gli interessi che le hanno motivate ma, sul piano politico, è fondamentale il sostegno della Lega Araba e, su quello militare, sarà necessario il coordinamento della Nato.…

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Fratelli d’Italia. Un Paese in cerca dell’età adulta

Italia 150°di Eugenio Scalfari

Anzitutto i personaggi e gli obiettivi che si proponevano. Mettendo in chiaro questi due elementi sapremo che cosa è stato il Risorgimento, se sia un fenomeno storico da tempo concluso e archiviato oppure ancora vitale per i sentimenti che lo suscitarono e che sono tuttora operanti. Il grosso della popolazione che abitava l´Italia di allora era composto da contadini. Dovunque, dalle Alpi alla grande pianura dove scorrono il Po e i suoi affluenti, alla dorsuta catena degli Appennini fino al tacco delle Puglie e alla punta delle Calabrie, alle isole di Sicilia e Sardegna.

Contadini braccianti che lavoravano novanta giorni l´anno e si sfamavano con un tozzo di pane, cipolle, fagioli, polenta, cetrioli e peperoni. Il resto dell´anno vivevano in tuguri e borghi arrampicati, spesso malarici, dispersi nei latifondi dei padroni.

Parlavano i loro dialetti, lingue incomprensibili al di fuori del loro circondario. «Una d´arme, di lingua, di altare» scrisse Manzoni, ma non era vero né per le armi (salvo il coltello) né per la lingua.…

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Se la data fa politica

Giuseppe Garibaldidi Massimo L. Salvadori

Presentando una bella ricerca da lui curata e pubblicata dalla Laterza in due volumi nel 1997 su “I luoghi della memoria ovvero personaggi, date, strutture ed eventi dell´Italia unita”, Mario Isnenghi iniziava scrivendo parole ironiche nella forma ma quanto mai serie nella sostanza. «Avete presente – una volta si chiamava tapis roulant – il nastro trasportatore dei bagagli all´aeroporto? Mi figuro il viaggio delle memorie molto simile a quello. Proprio come valigie e borse, le memorie di un popolo vengono caricate dagli addetti, messe in movimento e poi spariscono per tunnel misteriosi, ricompaiono, compiono tratti diritti, traiettorie e curve visibili o segrete…». Isnenghi aggiunge che «non c´è memoria senza oblio» e che «la cifra della memoria non è solo l´idillio. Un Paese vive anche delle sue lacerazioni». Queste osservazioni costituiscono una premessa puntuale e stimolante al ragionare oggi sulla prossima ricorrenza del Centocinquantesimo dell´unità d´Italia e sull´andare e venire dello spirito con cui in un paese si considerano alternativamente e diversamente date ed eventi importanti della sua storia: che gli uni vogliono al centro della memoria collettiva e gli altri mal sopportano o addirittura non sopportano affatto.…

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Italia unita alle radici della nostra democrazia

150°di Pier Luigi Bersani

L’anniversario è di tutti, o dovrebbe esserlo. Cominciamo col dire questo. Lo si capirà bene oggi pomeriggio, nell’Aula della Camera, quando il Parlamento in seduta comune ascolterà le parole solenni di Giorgio Napolitano, capo dello Stato e mai come oggi vero garante del patto costituzionale e repubblicano. Ma gli anniversari parlano. Raccontano sempre del clima del paese e dello spirito di un popolo. Fu così un secolo fa, quando i primi cinquant’anni del Regno scontarono la polemica di cattolici, socialisti e repubblicani. E mezzo secolo dopo, a ridosso del boom, con una retorica soppiantata dalla celebrazione di un’epopea diversa, tutta interna al carattere bloccato della nostra democrazia. Erano, quelle di allora, contrapposizioni profonde, ideologiche e per fortuna archiviate. Ma oggi? Su cosa si fonda oggi la celebrazione di una unità che tutti dovrebbero avere compreso e assimilato? Nel bene e nel male l’Italia liberale, e ancora di più quella repubblicana, hanno inteso la patria come coscienza di un passato vissuto, ma soprattutto come la proiezione di un futuro comune.…

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Come si crea la memoria

Madrid 11 Mdi Benedetta Tobagi

Fondamentalmente, sono vacanze. Se andate fuori da una scuola per sondare gli umori studenteschi sul tema delle feste nazionali nel 2011, gli adolescenti lamenteranno depressi che il 25 aprile è Pasquetta e il 1° maggio è domenica (sospetto reazioni analoghe presso uffici pubblici e affini). Altro che 17 marzo. Dobbiamo avviare le solite geremiadi sulla “mancanza di memoria” e la crisi dell´identità nazionale, con annessi sondaggi allarmanti? se i giovani non sanno cosa è finito nel ´45 e che si è votato nel ´46, a cosa servono le feste nazionali? A rifletterci, però, sono proprio questi vuoti a dare loro un senso, se li guardiamo non come cavalieri dell´Apocalisse culturale, ma spazi da riempire. Le feste nazionali, con il loro armamentario – a volte kitsch, spesso discutibile – di cerimonie, articoli, discorsi, programmi tv, lezioni ad hoc, racconti di nonni nostalgici eccetera, sono, banalmente, il momento in cui molti ragazzi familiarizzano la prima volta con gli eventi fondativi della vita del Paese.…

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