Mi rivolto dunque siamo

Giovanni Bianco

La casa editrice “Elèuthera” ha pubblicato, da poche settimane, gli scritti politici di Albert Camus (“Mi rivolto dunque siamo”), editi, tra gli anni cinquanta e sessanta, dalle “edition Gallimard” (la quarta ed ultima edizione è risalente al 1965). Camus torna a scuoterci ed a sollecitarci. Come osserva Vittorio Giacopini, nella breve e densa introduzione al libro, oggigiorno la sfida del teorico dell’ “assurdo” quale condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo, dello scrittore esistenzialista che “a volte sembrava combattere contro i mulini a vento o contro un’ombra”(p.9), “ritorna in primo piano con un’impellenza diversa e sconcertante”, perchè nell’età di “pensiero unico, globalizzazione, trionfo del capitalismo” “l’intera esperienza politica e sociale dell’occidente presuppone la rinuncia a qualsiasi immagine di trasformazione complessiva e un’adesione…agli schemi del presente e alle sue leggi”. Che significa “rivoltarsi”? Significa “non volersi rassegnare a lasciar cadere l’istinto di una ribellione immaginifica”, “persino in un mondo tramortito dal conformismo”. Camus si dichiarava “nemico di ogni ideologia” ed “allergico a tutte le religioni”, pensava alla necessità di azioni collettive: “visto che non viviamo più i tempi della rivoluzione, impariamo a vivere almeno il tempo della rivolta”(p.10), che significa anzitutto impegno storicamente situato, che non si arrende all’individualismo, che cerca i “no” che “bisogna inventarsi” nel “secolo della paura” (“Nè vittime nè carnefici”, p.17).…

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Il PD e la questione meridionale

di Giovanni Bianco

I venti di bufera dell’estate politica, il recentissimo scandalo abruzzese ed una mai sopita “questione morale”, impongono un’analisi attenta della crisi di credibilità del sistema politico italiano ed, in modo specifico, di quello del mezzogiorno, senza con ciò voler sottovalutare il settentrione. E’ una “vexata quaestio”, uno dei plessi tematici più preminenti della “questione meridionale”, su cui si soffermarono meridionalisti di prim’ordine: quella della formazione della classe politica e della classe dirigente e della gestione del potere politico-amministrativo nelle regioni meridionali.

Un tema del passato ma attuale, che riguarda il notabilato e l’aristocrazia post-unitaria, la conservatrice ed, a suo modo, clientelare classe dirigente liberale del sud; il regime fascista, che rafforzò i ceti possidenti e guadagnò consenso anche per l’incultura delle masse; il nuovo “partito-Stato” che fu la D.C., con alcune correnti (specie quella andreottiana) conniventi con il malaffare e la mafia e sempre appoggiato da settori consistenti di un clero in taluni frangenti sonnolento e poco incisivo nella critica sociale e politica, anche utilizzato come “pedina” del clientelismo democristiano.…

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Un cattolico a modo suo

di Giovanni Bianco

“Un cattolico a modo suo” è il testamento spirituale che ci ha lasciato Pietro Scoppola. Ma è anche qualcosa di più e di diverso: come scrive Giuseppe Tognon nella premessa si tratta di “un libro novecentesco, problematico e folgorante”, un libro di un uomo “convinto che il prepararsi a morire non dovesse essere un esercizio privato, ma l’occasione di fare i conti con sè stessi”(p.6); “non è un libro di memorie, non è l’ultima lezione di un professore universitario e nemmeno l’appello finale di un grande intellettuale”, “ha il gusto della verità misto a rimpianto per la vita che sta terminando, ma è anche il programma per una generazione che verrà”.

Dunque, un testo semplice ed al contempo impegnativo, che si chiude in modo “aperto”, con “pensieri aperti”, che indicano la ricerca intellettuale inevitabilmente incompiuta sui temi più ardui del vivere e del conoscere.

Quindi la lettura è per forza di cose necessariamente coinvolgente.

Nel leggerlo ho ripensato alle volte che mi è capitato di incontrare Scoppola, anche talora dissentendo dalle sue posizioni (come, ad esempio, accadde in una lontana assemblea federale della f.u.c.i.…

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