Una storia “contropelo”: la spiritualità della gente semplice e le colpe della religione ufficiale
di Claudia Fanti
Un omaggio alla «religiosità intima, radicata, profondamente vera» racchiusa nelle preghiere del popolo semplice: è questo il senso del libro di Carmela Dacchille La spiritualità dei nostri avi nelle orazioni popolari dialettali, pubblicato dalla casa editrice Gelsorosso con il sostegno del Consiglio Regionale della Puglia. Ma, accanto alla salvaguardia di un importante patrimonio culturale e spirituale, il volume offre, nel lungo saggio di analisi e commento di Dino Tarantino, una preziosa occasione per riflettere sulla spiritualità di ieri e di oggi, sul senso della preghiera e sul pensiero magico che spesso l’accompagna, oggi non meno che in passato.
Con una precisazione importante: è vero che le preghiere dei semplici riportate nel volume «contengono anche sedimenti magici ed esprimono atteggiamenti superstiziosi, ma non di più di chi prega Dio di “fermare la pandemia”, di chi lo invoca di “liberarci dal maligno”, di chi bacia il piede del crocifisso miracoloso, di chi si reca in pellegrinaggio presso il santuario mariano», come pure «di chi carica la liturgia eucaristica di una dimensione sacrificale e di un valore indebito, di chi recita l’esorcismo contro Satana e gli angeli ribelli, di chi ritiene imprescindibili e risolutivi i riti liturgici, celebrati magari secondo il canone tridentino». E se c’è un esempio che dimostra alla perfezione come pensiero magico e superstizione non siano «prerogative dei semplici», questo è proprio l’atteggiamento di sacerdoti e alti prelati durante l’emergenza sanitaria, su cui non a caso si sofferma a lungo Tarantino, facendo propria la lezione di Dietrich Bonhoeffer – «Il Dio che ci fa vivere nel mondo senza l’ipotesi di lavoro Dio è il Dio davanti al quale permanentemente stiamo. Davanti e con Dio viviamo senza Dio» – e quella di Ernesto Balducci, il quale vedeva nel grido di Gesù sulla croce – «mio Dio perché mi hai abbandonato?» – «l’evento più irreligioso della storia, perché smonta l’immagine religiosa di Dio che salva l’uomo innocente, che è dalla parte dei buoni. Dio c’era e noi affermiamo che Dio era lì sub specie absentiae (sotto forma di assenza)».
È per questo, prosegue Tarantino, che si dovrebbe smettere di «chiamare in causa Dio per ogni cosa ritenuta ingiusta, per ogni disastro inspiegabile, per ogni assurdo inammissibile»; di «attribuire a Dio il ruolo di tappabuchi» quando, al contrario, è la nostra «capacità d’amore» a essere chiamata a smuovere le montagne.
Ma c’è anche una seconda precisazione, non meno importante. È indubbio che le preghiere raccolte da Carmela Dacchille, permeate di aspetti magici e superstiziosi, siano rivolte proprio a quel Dio tappabuchi, ma quello, sottolinea Tarantino, era l’unico Dio che era stato proposto con pellegrinaggi, santuari e devozioni. I poveri, semplicemente, «pregavano con le parole e le formule di cui disponevano», usando la lingua di chi li aveva resi poveri: frutto dell’opera di inculturazione di un apparato clericale che, insieme alle preghiere, «ha trasmesso ai semplici anche il loro uso devozionalistico e precettistico e la foro funzione magica e superstiziosa». E, soprattutto, ha inculcato in loro il terrore dell’inferno nell’aldilà, condannandoli a sopportare pazientemente «una vita d’inferno nell’aldiquà», a rassegnarsi al loro destino «nella speranza di evitare un castigo incredibilmente più atroce come quello minacciato di un tormento senza fine».
Non c’è da stupirsi, allora, che i «poveri, non trovando alcuna pietà nei signori della terra che li sfruttavano», si affidassero «al Signore del cielo, invocandolo con le parole loro insegnate proprio da una casta sacerdotale organica alla classe dominante e culturalmente egemone». Dietro quelle parole, «sommesse quanto accorate suppliche di un popolo orante nella situazione del bisogno», c’è, in realtà – evidenzia Tarantino – «l’«eroica (r)esistenza» quotidiana della gente semplice, una vita di sofferenze, di preoccupazioni, di paure e di instancabile lavoro nei campi, nelle botteghe, nei tuguri, ma anche di solidarietà, empatia, cura, accoglienza, condivisione, capacità di aiuto reciproco: «La loro esistenza è una preghiera vivente. Bisogna saperla decodificare, oltre l’autoconfessione di peccatori e l’auto-colpevolizzazione per il martirio di Cristo. Il massimo risultato dell’azione del potere dominante è indurre le vittime ad identificarsi con l’ideologia dei loro carnefici, o addirittura a convincerle che sono loro i carnefici».
(Adista documenti, n.10 del 18 marzo 2023)