Una coerenza fuori tempo massimo
di Paolo Di Stefano
Il tormentato percorso dei rapporti tra gli autori Mondadori antiberlusconiani e il premier, proprietario della casa editrice di Segrate, ha vissuto ieri una nuova tappa. L’ intervento su «la Repubblica» di Vito Mancuso, autore di ottimi saggi teologici come Il dolore innocente, si presenta essenzialmente come un caso di coscienza, dopo le rivelazioni sulla legge «ad aziendam». Un caso di coscienza e, insieme, un caso di riconoscenza per una casa editrice che – dice Mancuso – rappresenta il meglio sul piano della qualità (l’ indiscutibile prestigio del catalogo) e sul piano delle relazioni umane. In realtà la questione è vecchia, e venne fuori in tutta la sua flagranza nel 1994, quando l’ Einaudi entrò nell’ orbita berlusconiana. Come poteva una gloriosa istituzione della cultura di sinistra sottostare al leader della destra (anzi, a quel leader)? E come potevano autori decisamente schierati sul fronte opposto continuare a pubblicare per lo Struzzo del Cavaliere? Allora, gli unici intellettuali a fuggire furono Corrado Stajano («piuttosto che pubblicare per l’ Einaudi di Berlusconi preferisco scrivere sui muri», disse) e lo storico Carlo Ginzburg, che si dimise con una dura lettera («la casa editrice fondata da mio padre Leone non esiste più»). Da allora, periodicamente, la vexata quaestio si ripropone in varie forme: denunce di censura, come quelle a proposito dei libri di Giovanni Raboni, Franco Cordelli, Marco Belpoliti, José Saramago, tutti respinti dall’ Einaudi perché colpevoli di offendere la figura di Berlusconi (che il Nobel portoghese definiva un «delinquente»). Ma anche «imbarazzi» su alcune discutibili prese di posizione del premier. Come quando si scagliò contro la pubblicistica «a senso unico» che dipinge l’ Italia come un Paese di mafia. Fu allora Roberto Saviano a indignarsi, scrivendo una lettera aperta in cui l’ autore di Gomorra replicava mettendo in dubbio la propria permanenza a Segrate. Non se ne fece nulla, Saviano restò. E fu fin troppo facile per Marina Berlusconi, presidente del gruppo, rispondere che la casa editrice ha sempre garantito «il rispetto delle opinioni di tutti gli autori e della loro libertà di espressione. A cominciare, in una collaborazione che mi è parsa reciprocamente proficua, da Roberto Saviano». E a questo proposito si potrebbero aggiungere gli stessi nomi che Mancuso ieri chiamava a riflettere sul suo «caso di coscienza»: Corrado Augias, Pietro Citati, Federico Rampini, Nadia Fusini, Piergiorgio Odifreddi, Michela Marzano, oltre a Eugenio Scalfari, Gustavo Zagrebelsky e Adriano Prosperi, tutte firme illustri de «la Repubblica». (Ma perché dimenticare gli avversari politici di Berlusconi, da D’ Alema a Rossanda, a Ingrao, che non hanno nessun problema di coscienza a pubblicare per Mondadori e dintorni?). Avranno riflettuto, nelle ultime ventiquattr’ ore, messi alla corda dal conflitto interiore di Mancuso? E che conclusioni ne avranno tratto? Lasceranno Segrate ritenendo eticamente insostenibile la contraddizione o continueranno a onorare i loro contratti con la casa editrice che ha aggirato il fisco grazie a un conflitto di interessi? Forse avranno bisogno di altre ventiquattr’ ore. Poi, forse, potranno tranquillamente soprassedere e dissociarsi dall’ appello pubblicato sul loro stesso giornale, ritenendo, d’ accordo con Marina Berlusconi, che la Mondadori e l’ Einaudi garantiscono pur sempre libertà e qualità a dispetto del proprietario. Va detto che di ventiquattr’ ore in ventiquattr’ ore, non abbiamo visto nessun autore alzare il dito per annunciare il suo esodo durante la minacciata legge bavaglio, allorché Mondadori e Einaudi si dissociarono dall’ appello collettivo del mondo editoriale. E di ventiquattr’ ore in ventiquattr’ ore sono passati molti anni da quando la giustizia ha stabilito in via definitiva che il passaggio della Mondadori al gruppo di Berlusconi è avvenuto grazie alla corruzione di un giudice. Il che avrà sicuramente turbato gli intellettuali mondadoriani-einaudiani di sinistra, ma curiosamente non al punto da far nascere in loro un «caso di coscienza» come quello su cui ora il teologo Mancuso invita a riflettere. Eppure si trattava di un’ evidenza penale molto più grave dell’ attuale leggina «ad aziendam», certo architettata dal governo per favorire Berlusconi, ma senza dimenticare che i primi due gradi di giudizio erano favorevoli alla Mondadori. Adesso non ci resta che aspettare. Vedremo se qualcuno dei tanti nemici del Caimano evocati da Mancuso troverà uno slancio di orgoglio capace di mettere in discussione la propria coerenza civile.
(Articolo tratto da “Il Corriere della sera”, 22 agosto 2010, p.13)