Siamo pettegoli, ma in solitudine
Parlar male degli altri ha svolto per secoli un’utile funzione di coesione sociale. Si faceva nelle strade di paese o in famiglia, davanti al focolare. Oggi invece il gossip si fruisce solo attraverso i media. E così è diventato un vizio che ci isola dagli altri.
Ho letto che gli ascolti dell'”Isola dei Famosi” stanno aumentando. Di primo acchito, e a lume di buon senso, me ne ero stupito: pensavo che la mitica “audience” si fosse stancata di un programma evidentemente (come oggi si suol dire) taroccato, dove nulla è spontaneo e gli stessi comportamenti che i partecipanti credono genuini sono stimolati a programma; dove inoltre gli attori non sono persone comuni ma in maggioranza o aspiranti divi o ex divi sul viale del tramonto che cercano disperatamente di siliconarsi il destino. Ma poi ho pensato che, sin dai tempi in cui le folle romane abbandonavano la commedia di Terenzio per correre a vedere gli orsi, i circenses sono i circenses; e che la gente adora varie forme di lotta selvaggia anche se sa benissimo che i lottatori fanno finta e cercano di non farsi troppo male.
D’altra parte per apprezzare “l’Isola dei Famosi” non è necessario credere che quello che si vede sia vero. Conosco tante signore che adorano quelle riviste di “gossip” dove si rivelano nuove e scandalose “affettuose amicizie” e, vergognandosi di comperarle all’edicola, vanno a leggerle dal parrucchiere; e quando le si prende in giro sorridono e dicono: “Ma lo so che per la maggior parte sono montature, però sono così divertenti…”. A essere onesto spesso leggo anch’io queste riviste, salvo che, essendo persona di buona condizione economica, anziché dal barbiere le leggo dal dentista. E, ciò che è peggio, lo faccio anche se delle tempeste passionali di tutti quei divi non me ne importa un accidente.
Tutte queste forme di spettacolo e di pubblicistica soddisfano un sentimento ancestrale, presente in tutte le culture (credo) che è il gusto del pettegolezzo. Il pettegolezzo a sua volta soddisfa il voyeurismo latente in ciascuno di noi per cui, sia pure per interposta maldicenza, cerchiamo di spiare quello che accade in camera da letto del macellaio o nella cucina dove costui litiga con la moglie. Le comunità di una volta vivevano sul sussurro quotidiano circa le marachelle o le disgrazie altrui, e di bocca in bocca le comari si passavano la notizia che il farmacista era cornuto, che la figlia del droghiere non era sparita in campagna per curare la zia malata bensì per celare il fatto che era gravida del figlio della colpa o che il sindaco non lo diceva ma aveva un brutto male.
Talora queste mormorazioni potevano rovinare la vita di una persona (si pensi a “La patente” di Pirandello) ma in genere rispondevano anche a un interesse quasi benevolo per la vita del nostro prossimo e in definitiva costituivano una forma di cemento sociale – anche quando il pettegolezzo da partecipazione dolente si trasformava in pubblica sanzione – così che quando lo spettegolato apprendeva di essere tale o si deprimeva o faceva una piazzata.
Ora, in città, dove la gente non si conosce più, neppure i condomini, il pettegolezzo è ormai impossibile e sopravvive al massimo nei piccolissimi centri. Ma sempre meno, perché anche lì tende a sostituirlo il pettegolezzo mediatico, che non si riferisce più alla vita del droghiere o del parroco ma a quella di personaggi che intendono diventare famosi (voglio dire “noti”, ciò che lo spettegolato di un tempo tentava a tutti i costi di evitare) offrendosi al pettegolezzo, e divorziano o si risposano non per trasporto sentimentale ma per ordine dell’agente.
Gli ottimisti direbbero che per fortuna esistono il “Grande Fratello” o “l’Isola dei Famosi”, altrimenti alle folle sarebbe sottratto il piacere del pettegolezzo. Salvo che il pettegolezzo classico si svolgeva coralmente sui gradini fuori casa o davanti al focolare, mentre il pettegolezzo televisivo non ha sostituito lo schermo col focolare. Lo schermo non è il luogo intorno al quale esseri umani socializzano per parlare o sparlare degli altri, ma prende il posto dell’Altro, quello che parla a noi e a cui in un certo modo parliamo. Il pettegolezzo si svolge tra il singolo e lo schermo, e ci taglia fuori (come direbbero gli assessori regionali) dal rapporto col territorio. Quella che era una consuetudine collettiva diventa vizio solitario.
(http.espresso.repubblica.it ,19 marzo 2012)