Poco meno che gli angeli. Lettere sull’ineguaglianza dei sessi
Uno degli aspetti più interessanti che emergono con maggiore evidenza dalla lettura di questo testo così intenso e anche così fortemente militante dell’autrice statunitense Sarah Moore Grimké (1792-1873) è la radice solidamente “religiosa” di una organica rivendicazione dei diritti delle donne.
Grimké, infatti, risale a quel nucleo fondamentale di rispetto verso l’esistenza e la libertà (e il diritto alla felicità) di ogni individuo che ha basi (anche) evangeliche. La rivendicazione “religiosa” da lei qui articolata, peraltro, ben si accorda con una qualsiasi posizione di laica etica della responsabilità, che ha già per sua stessa costituzione filosofica – verrebbe da dire ontologica –
nell’egualitarismo e nel riconoscimento della parità dei sessi due pilastri fondamentali.
Quacchera come l’altrettanto energica sorella Angelina (1805-1879), Sarah Moore Grimké incarna dunque la lotta per l’affermazione di una parità dei diritti che, al contempo, fa da perno per la promozione di una sensibilità che sia finalmente capace di accordare abolizionismo e femminismo (cfr. pp. 59, 63, 66). E lo fa lavorando su due registri paralleli: confrontandosi con l’ambiente particolarmente ostile quale quello della Carolina del Sud da cui proviene e, più in generale, affrontando a testa alta gli esponenti più coriacei della mentalità chiusa del clero sudista del suo tempo (cfr. pp. 29-37).
I due grandi muri, quello della schiavitù e quello della discriminazione sessuale, le appaiono un tutt’uno, essendo la loro edificazione riconducibile alla logica di fondo del dominio, della sopraffazione e dello sfruttamento. Alienato è lo schiavo, alienata è la donna privata dell’accesso al ‘sacrosanto’ suffragio universale, privata del diritto di partecipazione alla cosa pubblica (e di parlare in pubblico) e, come nel caso biografico dell’autrice stessa, privata dell’opportunità di conseguire studi accademici. Gli schiavi e le donne, insomma, in questo contesto sono visti come compagni di alienazione già in quanto repressi nella loro aspirazione ad avere una voce.
C’è una sorta di amara confessione nel cuore di queste Letters on the Equality of the Sexes and the Condition of Woman del 1838 e dà molto da pensare sulla condizione della donna ma, in senso lato, anche sulla condizione della vittima all’interno di una prassi reiterata, e quasi normalizzata, di violenza. Scrivendo all’amata sorella nel settembre del ’37, Sarah ammette: «A volte sono stata sorpresa e addolorata a causa della servitù involontaria delle donne e della modesta idea che tante di esse sembrano avere della loro propria esistenza morale e delle loro responsabilità» (p. 70). Grimké sembra cogliere quasi il peso enorme che può avere la disistima della vittima nella dinamica di affermazione del carnefice (prefigurando alcune delle traiettorie degli studi del filosofo e antropologo francese René Girard).
Ma la rivendicazione di Grimké del diritto per tutti e tutte di espressione e di voto – come pure di libertà di coscienza, di partecipazione politica e di cooperazione alla ricostruzione di un’autentica giustizia sociale – rimanda di fatto ad una interpretazione limpidamente alternativa e diversa delle sacre scritture. Non a caso Thomas Casadei, nella sua Nota introduttiva (pp. 5-15), sottolinea le radici bibliche del femminismo di Grimké. A partire da questo elemento di sostanziale importanza egli insiste opportunamente sull’elemento della dignità femminile nei termini non di una rivendicazione astratta di diritti naturali e di giustizia, ma in quelli più forti e netti di una sua natura morale (cfr. p. 9). Si potrebbe in tal senso parlare di un orizzonte etico-religioso dei diritti umani, che orienta quello più strettamente giuridico.
Recensione a Sarah Moore Grimké, Poco meno che gli angeli. Lettere sull’eguaglianza dei sessi a cura di Thomas Casadei, trad. it. di Ingrid Heindorf, con una nota bibliografica di Serena Vantin, Roma, Castelvecchi, 2016, pp. 126
(www.recensionifilosofiche.info/2017)