Morto George Steiner. L’intervista dell’aprile 2019: “la mia Europa sotto assedio”

di Nuccio Ordine

A Cambridge, tra libri e ricordi, un maestro della critica rompe un lungo silenzio:L’Italia («una delle mie patrie»), il tempo che passa, il vento xenofobo sul continente

«Ho un pensiero particolarmente affettuoso per i miei lettori italiani: la mia età non mi consente più di viaggiare, né di uscire di casa. Però il ricordo dei miei soggiorni a Roma, a Torino, a Bologna, a Venezia, a Firenze, a Palermo, a Cosenza, a Napoli è ancora vivo. Come dimenticare il profumo del gelsomino in Calabria e in Sicilia, i sapori dei cibi italiani, i vini piemontesi delle Langhe. E poi le Chiese, i palazzi e i monumenti, i preziosi musei, le opere d’arte di inestimabile valore. Qui ho vissuto in una delle mie tantissime patrie…»: George Steiner, uno dei critici letterari più influenti del Novecento, ha compiuto il 23 aprile novant’anni e decide di rompere il suo lungo silenzio per i lettori del «Corriere della Sera».

Ormai da molto tempo vive ritirato nella sua casa di Cambridge, nel Regno Unito. E ha rinunciato finanche a percorrere pochi metri per raggiungere il suo studio ottagonale nel giardino, dove per numerosi decenni ha pensato e elaborato i suoi preziosi libri. «Sento la fatica degli anni — ci confessa Steiner — e molti dei miei amici non ci sono più. Però i ricordi mi mantengono vivo. E nell’album dei miei momenti felici, l’Italia occupa un posto di primo piano. Non potrò mai dimenticare la cerimonia della laurea honoris causa nell’Università di Bologna e le serate passate con Umberto Eco. Così come è ancora forte l’emozione dell’inaugurazione del Salone del Libro di Torino o delle lezioni tenute in molti licei meridionali, tra tanti studenti appassionati».

Il salone-biblioteca, con ampie vetrate sul prato inglese, si è trasformato negli ultimi anni nel suo quartier generale: «Adesso passo le mie giornate in poltrona — aggiunge Steiner — leggendo soprattutto libri di storia, di filosofia e di politica. Non posso farlo per molte ore, perché mi stanco facilmente. Ma è un appuntamento a cui non rinuncio. E mi delizio anche con la musica classica. Proprio ieri, mentre ascoltavo i madrigali di Gesualdo, ho ripensato all’emozionante viaggio a Venosa, sulle tracce dello straordinario musicista e del suo sublime conterraneo, Orazio…».

All’inevitabile domanda sulla scrittura Steiner risponde con un eloquente silenzio. «L’età e i malanni — afferma dopo una lunga pausa — non mi permettono di concentrarmi e di creare facilmente». Ma già nel febbraio del 2008, all’indomani della traduzione francese presso Gallimard de I libri che non ho scritto, aveva rivelato al «Corriere della Sera» la presa d’atto di «un’impossibilità»: «Ho avvertito il bisogno di dire addio: un quasi ottantenne non ha più il tempo per scrivere ciò che vorrebbe scrivere». Un congedo poi smentito dai fatti e dai nuovi saggi pubblicati.

Da allora, però, sono passati dieci anni. E Steiner sa bene che il successo e i premi, le cattedre prestigiose e i riconoscimenti più importanti non impediscono di conoscere la tristezza dell’«impossibilità». Autobiografia e riflessione critica in un intellettuale di razza come lui si intrecciano a tal punto che un saggio non scritto «è come un’ombra attiva che accompagna, con ironia e tristezza, le opere realizzate. Si tratta di una vita che avremmo potuto vivere e non abbiamo vissuto, di un viaggio che avremmo potuto compiere e non abbiamo compiuto».

L’impossibile talvolta può diventare possibile. E nel conversare con Steiner su questo delicato tema non ho potuto fare a meno di ripensare allo scambio di battute tra Don Chisciotte e lo scrittore-galeotto Ginesio di Passamonte: «E come s’intitola il libro — chiese Don Chisciotte. La vita di Ginesio di Passamonte — rispose lo stesso [Ginesio]. Ed è finito? — domandò Don Chisciotte. Come può esser finito — rispose lui — se ancora non è finita la mia vita?».

Per un critico come Steiner l’esercizio della scrittura, in effetti, coincide con la vita stessa e, certamente, non può finire se non finisce la vita. E anche se lui sembra escluderlo categoricamente, chissà se i suoi numerosi e affezionati lettori non riceveranno ancora in regalo un breve saggio o un nuovo sorprendente intervento.

Adesso non sembra essere questa, in verità, la sua preoccupazione più importante. Prima di congedarsi, Steiner esprime la sua inquietudine per la deriva dell’Europa: «Ora si respira un’aria pericolosa nel nostro continente. Sono molto in apprensione per il vento xenofobo e antisemita che sta soffiando in molti Paesi europei. L’odio per lo straniero, la caccia all’ebreo, l’apologia dell’autodifesa e delle armi sono i pericolosi segni di una terribile regressione, un preludio alla violenza». E con un filo di voce conclude: «Continuando su questa strada della barbarie cosa resterà dell’Europa dei caffè, dell’Europa del pensiero e della cultura?».

La vita
George Steiner è nato a Parigi il 23 aprile 1929 da padre ceco e madre austriaca. Emigrato negli Usa con la famiglia nel 1940 per sfuggire all’antisemitismo nazista, nel 1944 è stato naturalizzato americano. Critico e storico della cultura di primo piano, lui stesso autore di alcune opere in versi e in prosa e di un romanzo (Il processo di San Cristobal, Rizzoli, 1982), ha insegnato letteratura comparata in diverse università tra cui Princeton, Stanford, Chicago, Cambridge, Oxford e Ginevra. Ha scritto su giornali e riviste come l’«Economist», il «New Yorker» e il «Times literary supplement». Tra i suoi saggi, Tolstoj o Dostoevskij, La morte della tragedia, Dopo Babele, Errata, Una certa idea di Europa, I libri che non ho scritto, tutti editi in Italia da Garzanti.

(www.corriere.it , 26 aprile 2019 , modifica il 3 febbraio 2020)

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