Le donne, la cronaca, la società italiana dal fascismo alla Resistenza

di Silvana Mazzocchi

Ricostruire per ricordare, ma anche per riempire i tanti vuoti nei fatti, ricongiungere fili dispersi, approfondire. Riappropriarsi della storia e raccontare il passato per evitare quel “terreno sdrucciolevole” che rischia di condizionare (in peggio) il presente. Parla ai giovani e ai meno giovani il saggio di Patrizia Zangla, giovane storica, professoressa ordinaria di storia e Filosofia, già autrice di Racconto nero (Albatros 2013) e abituata alla divulgazione, 1943-1945: l’Italia in camicia nera, una storia del costume dall’Italia fascista alla Resistenza (Leone editore) che spazia tra i grandi eventi del passato e i contesti nei quali vivevano le donne e gli uomini dell’epoca. La dittatura fascista, le persecuzioni contro gli ebrei e contro i dissidenti, le limitazioni dei diritti, il ruolo delle donne ridotte a casalinghe e fattrici di figli; ma anche la resistenza quotidiana tra umiliazioni e ribellioni, la mistica fascista che mira a omologare tutti e tutto, il mussolinismo e il mito del macho potente. E le leggi del Ventennio, da quelle tragiche contro gli ebrei a quelle che oggi ispirano il sorriso come l’italianizzazione coatta dei termini stranieri, forse episodio minore eppure segnale inconfutabile di un pensiero unico, tetro e pericoloso. E poi la guerra, la confusione, la miseria, la Resistenza militare. Le stragi naziste con migliaia di morti innocenti trucidati, la guerriglia in montagna,la lotta per la libertà, i sacrifici e le speranze.

Dopo tanti testi storici, tante testimonianze, diari e saggi, Patrizia Zangla ha dedicato agli stessi anni, ha scelto di tornare su quei decenni della nostra Storia, perché “si sbaglia a ritenerlo un capitolo chiuso”, in quanto “il Novecento rivela la presenza di tanti fili sottili che si snodano da quegli anni.” E , dunque, tentare di riannodarli serve ad andare avanti nella comprensione e contribuisce al “recupero identitario “ di un popolo e di una Nazione. Un obiettivo ambizioso, ma Patrizia Zangla riesce nella sfida di catturare l’attenzione con un racconto-collage che si fa leggere come un romanzo. Un intreccio di microstorie che si snoda dentro la grande Storia, che mette in risalto aspetti poco conosciuti mentre ne descrive minutamente altri, importanti più per il costume che per la cronaca ma, forse proprio per questo, più significativi di quel periodo e di “ciò che eravamo”. Interessanti i riferimenti al ruolo delle donne, da una parte e dall’altra. Da coloro che entrarono a vario titolo nella vita del duce, a coloro che presero le armi o svolsero soltanto ruoli da staffetta durante la resistenza, fino a quelle donne che vennero costrette dalla dittatura a pagare prezzi altissimi per il solo fatto di essere donne in quegli anni, bui e tormentati. Da non dimenticare.

La sua storia riguarda il 1943-1945. Perché solo gli anni dell’epilogo?
Il saggio si divide in due parti fondanti: l’8 settembre ’43 e il 25 aprile ’45, ma come in un gioco di cerchi concentrici dall’epilogo si estende all’intero Ventennio, idealmente scorrono tre passaggi: la dittatura, la Shoah – che comprende la politica razziale fascista e le stragi nazifasciste – e la Resistenza. Dalla fine si ricostruisce l’inizio per sciogliere i nodi interpretativi del triennio, per colmare vuoti storici, ripercorrere alcuni misteri e raggiungere una mappatura diversa dei fatti già noti, esaminati con rigore critico ma pacato. Negli anni si è decostruito questo processo storico, si è costruita l’immagine edulcorata di un ‘fascismo buono’ o ‘buono fino a un certo punto, quindi, supportati da una coscienza auto-assolutoria, si sono negate le colpe nazionali mantenendo saldo il mito degli “italiani brava gente”. Non bisogna temere di riappropriarsi di questa storia, è un recupero identitario, si sbaglia a ritenerla un capitolo chiuso, il Novecento rivela la presenza di tanti fili sottili che da qui si snodano, appena uno, la strage di Piazza Fontana del ‘69. Il saggio indaga su cosa sia stata la dittatura e sulle conseguenze rimaste nel Paese, nel contempo ragiona sulla Resistenza e non si ritrae nell’esaminare anche i fatti obliati, non teme la comparazione ma si oppone all’indistinzione, chiarendo che essa non è stata un evento aspecifico, ma una lotta civile che ha messo in campo valori contrapposti, perché il fine, come le motivazioni pregresse della lotta, erano opposti. La distorsione crea un terreno sdrucciolevole in cui s’incammina chi propende verso l’intolleranza e la xenofobia.

Il suo è un approccio puntato sul costume, lei parla di mussolinismo….
E’ un saggio scientifico in cui s’incontrano la storia solenne e la storia minuta, le grandi personalità e la gente comune, per questo è centrale il costume. Il lettore entra nella vita reale di quegli anni di dittatura, di guerra e di Resistenza, fra miseria materiale, spirituale ed etica e tanti sogni, risente l’eco delle canzonette alla radio, il rumore sordo delle marce miliari, ritrova i fascisti che enfatizzano l’impero, gli italiani che aspirano alle Mille lire al mese, le italiane che mettono in pratica i principi autarchici nella vita domestica e per acquistare il belletto, i bambini che a scuola studiano sul Testo unico di Stato, rivive la Moda e i modi, il cinema, il teatro e il tempo libero. Se si vuole raccontare la storia servono i documenti e la collana di perle, certo il mio essere studiosa donna aiuta. Si tratteggia il melodramma italiano: l’opera di indottrinamento ideologico e culturale e di omologazione sociale e generazionale del Paese, la mistica fascista che usa il consenso insieme a efficaci interventi di politica sociale per inebetire le masse e reprimere il dissenso, la creazione della paideia totalitaria e di un nuovo ethos. Una costruzione segnata dal mussolinismo, dal culto del capo magnificato dal potere. Lui, con il suo sguardo onniveggente, con la sua maschia figura, eternamente giovane e forte cui i ras devono devozione, casto nonostante gli amori e i passatempi profumati, che dà alla massa grandi emozioni. E ancora la teatralità della mimica del volto e la gestualità delle mani, le trasformazioni, da violinista a trebbiatore, alcune forzate e caricaturali, tutto utile a rassicurare gli italiani, a stemperare il ricordo delle squadre fasciste, la violenza, il sistema di governo non privo di privilegi e corruzione.

Qual è stato il ruolo delle donne in quegli ultimi anni della Resistenza?
Prezioso, ma timidamente riconosciuto dalla storiografia. La società è irreggimentata e misogina, le donne sono educate alla pazienza e al sacrificio, ricevono un’educazione modesta, il lavoro femminile è osteggiato e la politica pronatalista del regime le vuole spose e madri, già durante la guerra sono mobilitate per necessità ma dal ’43, quando l’Italia è divisa fra conniventi col regime di Salò e attendisti, prendono parte a una lotta che per forza di cose è maschile. Considerevole è l’adesione delle donne in entrambi i fronti della lotta civile, come partigiane e come saloine. Molte diventano staffette, rischiano di essere catturate, torturate e uccise, ma intanto si preparano a una nuova autonomia politico-sociale raggiunta solo con la Liberazione. Gli appelli provenienti dal fronte resistente, si pensi ai volantini delle appartenenti al Movimento Giustizia e Libertà, le invitano a opporsi alla violenza nazifascista. Si appellano al loro ruolo di madri costrette ad accettare inermi la perdita di figli e mariti, al loro ruolo di operaie oppresse dagli occupanti. Esse devono divenire esempio per gli uomini, padri, mariti e figli. Si raccomanda la diffusione dei volantini e si precisa che non si richiede loro un contributo eroico ma necessario. Nel saggio tratteggio tanti volti, molti noti come Claretta, Rachele, Edda, Eva Braun e tanti altri meno conosciuti come Luisa Ferida, Geli Raubal, Magda Rietschel, Lída Baarová, ma dedico un capitolo alle violenze subite dalle sfollate e alle storie di disperazione e di rassegnazione di cui sono protagoniste donne rimaste sole che trovano nella prostituzione il rimedio per sopravvivere. La Liberazione ha un costo che pagano soprattutto le donne.

Patrizia Zangla, 1943-1945: L’Italia in camicia nera, Leone editore

(www.larepubblica.it , 4 dicembre 2014)

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