“La sovranità appartiene al popolo, non al mercato”.Proposte alternative per uscire dalla crisi
di Claudia Fanti
A furia di sentirsi ripetere che l’unica via per uscire dalla crisi passa per manovre di lacrime e sangue (sulla pelle di chi è già stato abbondantemente dissanguato), in tanti finiscono davvero per crederci. Ma per i promotori della Campagna per il congelamento del debito (tra gli altri, Francesco Gesualdi, Aldo Zanchetta, Alex Zanotelli, Bruno Amoroso, Michele Boato, Gianni Novelli, Achille Rossi, Paolo Cacciari, Enrico Peyretti) le cose non stanno affatto così: «La politica delle manovre sulle spalle dei deboli – si legge sul manifesto della Campagna – è voluta dalle autorità monetarie europee come risultato della speculazione. Ma è intollerabile che lo Stato si adegui ai ricatti del mercato: la sovranità appartiene al popolo, non al mercato!». Da qui la proposta di un’immediata sospensione del pagamento del debito, accompagnata dalla creazione di un’autorevole commissione d’inchiesta che faccia luce su come tale debito si sia formato e sulla sua legittimità, nella convinzione che «il popolo ha l’obbligo di restituire solo quella parte che è stata utilizzata per il bene comune e solo se sono stati pagati tassi di interesse accettabili. Tutto il resto, dovuto a ruberie, sprechi, corruzione, è illegittimo e immorale».
La strada, del resto, è già stata tracciata da altri Paesi, come indica il caso della storica Auditoria sul debito estero dell’Ecuador, il lungo lavoro di indagine sul processo di indebitamento del Paese andino condotto da una commissione costituita da Rafael Correa nel 2007 e ampiamente integrata dai movimenti sociali. Un lavoro complesso e difficile il cui rapporto finale ha riconosciuto l’illegalità e illegittimità del debito contratto dall’Ecuador, consentendo la sospensione del pagamento alle banche private internazionali (v. Adista n. 89/08 e 20/09).
Un esempio più prossimo viene invece dall’Islanda, che, finita in bancarotta alla fine del 2008, ha scelto di seguire una strada completamente diversa da quella indicata dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e dalla Banca Centrale Europea (Bce), che chiedevano al Paese di farsi carico del debito insoluto delle banche (le quali avevano dissennatamente offerto rendimenti altissimi a investitori stranieri) facendone ricadere il peso sulla popolazione. Sono stati i cittadini, tramite referendum, a decidere che quel debito, contratto da privati, non spettava a loro pagarlo, costringendo il governo a indagare le responsabilità civili e penali del crollo finanziario e avviando un originalissimo processo costituente (che ciascuno ha avuto modo di seguire in Internet, presentando commenti e proposte) per dare una nuova magna charta al Paese (la cui economia, nel frattempo, si è ripresa, e senza gravare sui servizi sociali). E se l’esperienza islandese non è immediatamente esportabile in altre realtà (sia per il numero di abitanti – appena 320mila – che per ammontare del debito – neppure 4 miliardi di euro, a fronte di un debito italiano arrivato quasi a 2mila miliardi), una cosa però può sicuramente insegnarla a tutti: la via d’uscita dalla crisi deve passare attraverso la riappropriazione da parte dei cittadini dei loro diritti e del loro potere decisionale. Proprio quello che i movimenti hanno evidenziando durante le giornate di Genova dello scorso luglio, chiedendo una commissione pubblica di auditing del debito italiano come primo passo per costruire una soluzione politica alla crisi e ponendo l’accento sulla necessità di un rilancio di quel progetto politico dell’Unione Europea che è rimasto largamente incompiuto e che può essere realizzato solo «attraverso maggior partecipazione e coinvolgimento diretto dei cittadini e cittadine d’Europa». Una richiesta che, il prossimo 15 ottobre, risuonerà nelle piazze d’Europa e di molte altre regioni del mondo, nella grande giornata di mobilitazione “United for global change” «contro la distruzione dei diritti, dei beni comuni, del lavoro e della democrazia causata dalle politiche anticrisi» imposte dalla Commissione Europea, dalla Bce, dai governi e dal Fmi.
(Adista documenti, n.77 del 22 ottobre 2011)
condivido l’analisi di questo articolo, molto interessante
facciamoci sentire,siamo un popolo che si sta troppo zitto e lascia stare su tutto…ora basta,bisogna che noi ci facciamo valere,ogni generazione deve fare la sua guerra,noi siamo qui impotenti….io ho 30 anni amici e mi sono rotto di lavorare risparmiare ed essere sempre alla goccia,se vogliamo ce la faremo guardate il nucleare……con tutti noi,pacificamente anche se ce’ gente veramente incazzata…bisogna che ognuno di noi si incazzi xche hanno rotto…tirate fuori tutta la merda che hanno coperto e che adesso puzza