La crisi è in crisi se è permanente
“Crisi economica”, “crisi di governo”, “crisi di valori”, “crisi di identità”. Pochi concetti appaiono oggi più inflazionati di quello di crisi.
Al punto da far pensare che esso stesso sia entrato in crisi – se tutto è in crisi, il termine finisce per perdere di significato. Contratto o dilatato, generalizzato ed enfatizzato, esso è in continuo transito da un ambito all’altro della vita contemporanea.
Una mappa decisiva di tale fenomenologia è adesso fornita da Alessandro Colombo nel saggio, edito da Feltrinelli, Tempi decisivi. Natura e retorica delle crisi internazionali. L’autore muove da una palese contraddizione. Dalla finanza globale alle istituzioni democratiche, dalle relazioni internazionali a quelle familiari, il vento della crisi soffia in maniera convulsa su tutta l’esperienza contemporanea. Eppure, sul piano etimologico il termine “crisi” richiama proprio l’opposto di qualcosa di indeterminato. In greco “krisis” deriva dal verbo “krino”, che significa scegliere, dividere, decidere in maniera netta. Sia in medicina che nella politica e nell’economia, dove il concetto è transitato tra Sei e Settecento, la crisi segnala una situazione di estrema difficoltà da cui si può uscire solo con un’opzione radicale. Alle situazioni di emergenza, occorre rispondere con rimedi eccezionali. Tutto sta a capire quando si può parlare di emergenza, quando si determina il caso di eccezione. Non sempre la percezione che si ha di una data condizione corrisponde al reale stato delle cose. Tanto più oggi, quando la crisi sembra essersi fatta permanente. Si pensi non solo al succedersi dei rovesci economici, ma anche alla crisi internazionale determinata dall’attacco terroristico del 2001, che ha provocato a sua volta una guerra “infinita”. Tipici portati delle crisi attuali sono da un lato la tendenza a protrarsi nel tempo — passando dal piano circostanziato dell’evento a quello, prolungato, del processo. Dall’altro il contagio che le porta ad espandersi su terreni circostanti, come è recentemente accaduto nel nord Africa. In un quadro complesso, segnato dalla inadeguatezza sia dell’ordine unipolare, gestito militarmente dagli Stati Uniti, sia dell’ordine multipolare, l’unica scelta non regressiva appare quella di “non sprecare la crisi”. Evitando ogni facile rimozione — in Italia ne sappiamo qualcosa — e cercando di capire cosa non ha funzionato. Ma senza immaginare di poter tornare alla situazione precedente, cosa impossibile sul piano economico come su quello politico. Nella società del rischio in cui oggi viviamo — come spiega egregiamente Simona Morini in Il rischio. Da Pascal a Fukushima, Bollati — piuttosto che rintanarci nelle nostre paure, non resta che attrezzarci ad assumere decisioni responsabili anche in stato di protratta vulnerabilità.
Alessandro Colombo, Tempi decisivi, Feltrinelli, 2014
(“La Repubblica”, 11 maggio 2014, pag.45)