Il lungo percorso della P2
Manca ancora una storia della P2 che faccia tesoro della copiosa documentazione pubblicata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta e delle carte attinenti ai processi relativi a quel sodalizio massonico.
Una lettura attenta di questa documentazione aiuterebbe a superare l’interpretazione prevalentemente complottistica del piduismo e a ricostruire le origini di quello che appare essere stato un corpo vivo e reattivo che evolse all’interno di una crisi politica interna e internazionale, in grado di cogliere e interpretare i sintomi di irrigidimento
del sistema politico che aveva costruito la democrazia in Italia
e di ideare una strategia per la fuoruscita da quell’ambito politico.
La stessa ascesa di Gelli all’interno del Grande Oriente nella
prima metà degli anni Settanta mostra una serie di situazioni conflittuali
(in molti tentarono, senza riuscirvi, di bloccarne l’ascesa); il
fatto che egli conseguì nel 1975 il grado di maestro venerabile della
Loggia coperta P2 (un successo ragionevolmente insperabile) si deve
probabilmente anche ad attività solo in parte interne al sodalizio
massonico, non ultima la vicinanza a quel movimento che va sotto il
nome generico di strategia della tensione.
Militano in favore di questa ipotesi la considerazione dei legami
di Gelli con ambienti dell’eversione di destra (egli compare, pur
marginalmente, negli atti giudiziari di vicende quali il golpe Borghese
del 1970, la strage dell’Italicus del 1974 e l’omicidio del giudice
Occorsio del 1976) e, ancor più, la presenza nelle liste gelliane
dei dirigenti dei servizi segreti civili e militari italiani degli anni Settanta.
Nella P2, cioè, si rinviene la più elevata consapevolezza delle
tecniche «devianti», dei successi conseguiti e degli errori commessi;
in breve, la memoria storica della strategia della tensione.
Ma ancor più significativo è che attraverso la P2 si compia, negli
ambienti dell’intelligence, il superamento della strategia della tensione.
Il Piano di rinascita democratica (fine 1975) escludeva infatti
che si potessero ancora utilizzare le bombe nere dipinte di rosso,
strumento rivelatosi del tutto inefficace, se non controproducente,
dopo le stragi di Brescia e dell’Italicus (maggio e agosto 1974).
Ora, una pur sommaria ricognizione delle iniziative che, a partire
all’incirca dalla metà degli anni Settanta, ricadono più o meno direttamente
nell’ambito della P2 mostra che il sodalizio massonico
ebbe vitalità e ramificazioni tali da rappresentare un nuovo punto di
vista per il superamento degli equilibri politici e di potere vigenti
nel paese.
Il sostegno a Michele Sindona e la mobilitazione piduista in difesa
del suo sistema finanziario; la produzione e l’esportazione clandestina
di oli lavorati tra il 1974 e il 1979 rese possibili dalla complicità
di settori dell’imprenditoria petrolifera, dei vertici della
Guardia di finanza, degli apparati ministeriali e del mondo politico
(il cosiddetto scandalo dei petroli, manifestatosi con l’inchiesta giudiziaria
del 1979); la ripresa e il rilancio del «metodo Sindona» da
parte di Roberto Calvi, direttore del Banco ambrosiano, in collegamento
con lo IOR, fino alla bancarotta dello stesso Banco ambrosiano;
la capacità di pervadere ambienti della magistratura al punto
di sferrare l’attacco contro Baffi, Sarcinelli e la Banca d’Italia (1979);
la penetrazione finanziaria e politico-ideologica nel gruppo Rizzoli-
Corriere della Sera; la penetrazione nei partiti, nel Parlamento, nel
governo e nelle alte burocrazie ministeriali. Questo elenco delinea
solo alcuni aspetti di un percorso che attraversò per intero gli anni
Settanta determinando spostamenti di ingenti risorse, che coinvolse
migliaia di persone e che, per la sua ampiezza, incise anche sulla
qualità della classe dirigente e sul tessuto sociale del paese, nel senso
che se è difficile trovare un filo unitario o una strategia che tenga
insieme tutte queste operazioni, esse hanno però contribuito a ridisegnare
il quadro della finanza italiana, creato nuove ricchezze e
nuovi disastri e, soprattutto, hanno esteso ad ambiti diversi una rete
di comunicazione in modo da rendere funzionalmente omogenee
aree di potere tra loro distanti per ragioni istituzionali o storiche.
Questo sistema – che potremmo chiamare delle «reti comunicanti»
– fu esteso a settori trasgressivi della società difficilmente riconducibili
a comuni radici: non solo all’eversione nera, ma anche ad am111
bienti importanti del crimine organizzato quale, soprattutto, Cosa
nostra. Per quanto riguarda quest’ultima, sembrano ricadere in ambiti
convergenti con la sfera d’attività della P2 i due maggiori passaggi
delle vicende della mafia negli anni Settanta, cioè la confluenza
dei capitali provenienti dal narcotraffico nel circuito finanziario legale
(il riciclaggio del denaro sporco e la mondializzazione del sistema
finanziario mafioso, operati da Sindona agli inizi degli anni Settanta)
e la crescita «politica» di Cosa nostra, che alla fine di quel decennio,
con l’egemonia dei corleonesi, intraprese, parallelamente
alla guerra interna di mafia, un inedito attacco allo Stato di straordinaria
violenza che, nato come difesa armata della gestione politicoaffaristica
del territorio (omicidio di Boris Giuliano, luglio 1979, poi
omicidi Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa ecc.), era destinato a influire
sugli equilibri nazionali e a concludersi solo negli anni Novanta.
L’inizio di questa fase, impensabile senza la compiacenza di settori
politici e statali e senza una corposa solidarietà di ambienti sociali
non assimilabili alla cultura e all’ambito territoriale della mafia, non
solo coincide cronologicamente con la massima espansione della P2
ma sembra anche mediato da un consapevole gioco di sponda che
ruota attorno a figure come Gelli, Sindona, Pippo Calò.
Se è ancora difficile approssimare quanto, nel breve e nel lungo
periodo, le scelte della mafia incisero su quelle della P2 e viceversa,
non paiono invece esservi dubbi sul significato del rapporto. Sembrerebbe
cioè che alla base del sodalizio vi fosse qualcosa di più rispetto
al tradizionale uso che le classi dirigenti hanno talora fatto
delle forze marginali, quasi un «democratico» riconoscimento del
diritto all’eversione. Si tratta di un fenomeno complesso, forse unico
nella storia dell’Occidente contemporaneo, che andrebbe indagato
con chiavi interpretative specifiche e nuove, poiché ne derivò un
concentrato di violenza antiistituzionale la cui estensione e potenza
non erano date solo dalla somma dei singoli frammenti che lo componevano
ma anche da un elemento paralizzante costituito proprio
dalla trasversalità, cioè dall’originale combinazione di elementi trasgressivi
e poteri tradizionali.
La P2 si presenta cioè come la maggiore aggregazione di Stato
(deviato quanto si vuole, ma pur sempre Stato) e antistato mai conosciuta;
la sua originalità era nella capacità di fornire una strategia –
e talora una tattica – a settori politici e sociali che stentavano da soli
a trovare una collocazione diretta nei confronti del potere, metten112
do a disposizione di frammentarie energie «devianti» (i servizi deviati,
il terrorismo nero, le organizzazioni criminali) un lucido disegno
di potere.
I tre maggiori ambiti della P2 (servizi segreti ed eversione, finanza
e corruzione, uso e potenziamento del crimine organizzato) appaiono
tra loro strettamente intrecciati e disegnano un panorama
che indica nella P2 un segmento qualificato della classe dirigente
nazionale con un’evidente aspirazione egemonica; soprattutto questo
aspetto ci convince che il fenomeno non vada interpretato solo o
tanto sub specie di attività deviante e criminosa, ma che sia da leggere
prevalentemente in chiave storico-politico-sociale, cioè che vada
riconosciuta alla P2 la dignità di un importante movimento di trasformazione:
quello che, in modo inatteso, si era creato nell’ambito
della massoneria era in nuce la riaggregazione di strati sociali e
d’interessi corporati sulla prospettiva di una radicale deregulation
delle relazioni industriali e finanziarie che lasciasse anche mano libera
ai soggetti militanti di un nuovo ordine privato da costruire
sulla crisi della democrazia antifascista che aveva retto le sorti del
paese. Insomma, tanto nel Piano di rinascita democratica quanto
nelle attività riconducibili alla P2 è riconoscibile con chiarezza il
progetto di superamento della «prima Repubblica».
Con la P2 veniva cioè fatalmente alla luce quell’Italia profonda
che le maglie del sistema dei partiti avevano contenuto ma non dissolto,
quell’immensa area a-partecipativa che aveva subito la Costituzione
senza intimamente accoglierla, refrattaria e sostanzialmente
indifferente alla democrazia; la stessa P2 emergeva, cioè, come l’avanguardia
di una modernizzazione e di una forza politico-sociale
non più marginalizzabile anche perché radicata in alcune trasformazioni
fondamentali della realtà socio-economica e politica nazionale:
da un lato, l’evoluzione del sistema produttivo, che spostava
enormi risorse verso il settore terziario – con il conseguente indebolimento
di quel formidabile presidio civile e democratico costituito
dalla classe operaia organizzata –, e, da un altro lato, la percezione
dell’impasse del sistema politico italiano, stretto tra una grave crisi
di assetto civile (evidenziata soprattutto dalla corruzione, allora
detta questione morale, e dalla violenza politica diffusa) e la necessità
di allargare l’alleanza di governo al PCI, eventualità foriera di ulteriori
tensioni poiché comportava il rischio di violare le colonne
d’Ercole imposte dalla guerra fredda.
E, a questo proposito, non si può non richiamare un dubbio che
più volte ha attraversato la ricerca su questi temi: siamo poi certi
che fu un puro caso che i servizi di intelligence durante il sequestro
Moro fossero diretti da ufficiali poi risultati nelle liste della P2 e che
la loro adesione alla Loggia fu, in quel frangente, priva di conseguenze?
Insomma, se non possediamo ancora elementi di giudizio che ci
indichino con apprezzabile precisione quale sia stato il peso della
P2 nel lungo processo di dissoluzione della «Repubblica dei partiti»,
è però difficile non rinvenire nel Piano di rinascita democratica e
nella pratica militante piduista un disegno di potere realistico e di
ampio respiro.
Ma la P2 è stata anche altro e non possiamo leggere quell’iniziativa
se non in un percorso di lungo periodo, che giunge fino a noi
con effetti ancora vivi e operanti. Il sodalizio infatti non fu annientato
dai fieri colpi inferti dalla magistratura e dal Parlamento nei
primi anni Ottanta: la stessa biografia di Berlusconi mostra come
proprio nel periodo della sua milizia piduista, a partire dal 1978,
egli pose mano alla costruzione del suo impero televisivo (del resto,
lo stesso Piano di rinascita sosteneva si dovesse arrivare a coordinare
un certo numero di emittenti private con l’obiettivo di «dissolvere la
RAI-TV in nome della libertà di antenna ex art. 21 Cost.»). Se si riconosce
appena in questi primi passi il disegno politico ed egemonico
che avremmo visto dispiegarsi a partire dal 1994, la coincidenza
tra l’adesione alla loggia massonica e l’inizio dell’edificazione del
sistema televisivo sembra comunque imprescindibile. Semmai, viene
da pensare che proprio il fatto che nel 1981 la trama piduista venisse
scoperta (e quindi neutralizzata nelle sue infiltrazioni istituzionali)
pose Berlusconi in una situazione per qualche verso favorita, sia
per la scarsa attenzione che allora la politica prestava al settore dell’emittenza
privata, sia perché egli poté verosimilmente giovarsi
delle solidarietà sopravvissute alla dispersione del sodalizio massonico.
L’edificazione del sistema televisivo e la successiva «discesa in
campo» permettono dunque, senza forzature sostanziali, di riconoscere
nel tempo lungo della P2 l’unica solida e coerente linea politica
della destra italiana dell’ultimo quarantennio. Del resto, se non
tutto il berlusconismo è riconducibile alla tradizione piduista (oltre
all’uso delle televisioni, egli ha introdotto se stesso come figura cari114
smatica in grado di mediare senza i consueti e necessari passaggi
istituzionali tra il «popolo» e le leve dello Stato), la biografia di Silvio
Berlusconi non appare comprensibile se non a partire da quella
fondamentale esperienza.
Non si è trattato, però, della destra occidentale liberista e anticomunista
conosciuta a partire dagli anni Ottanta negli Stati Uniti e nel
Regno Unito, ma di un fenomeno tipicamente italiano – ancorché
abbia tentato di «fare scuola» all’estero – compenetrato con l’illegalismo
diffuso derivante dalle tare ereditarie di un processo liberale incompiuto
(la mancata rivoluzione democratico-borghese, si diceva
nella scorsa generazione) e con quello che ho altrove definito come il
«sommerso della Repubblica». Da questo punto di vista, la P2 è stata
il maggior fenomeno eversivo della storia repubblicana (a prescindere
dalle ricadute giudiziarie che l’hanno investita) e nel complesso –
se tentiamo di ricondurre a un progetto unitario il variegato insieme
delle sue attività – essa ha avuto l’obiettivo di travolgere il sistema
democratico dando una diversa forma e un diverso significato alle
istituzioni e alla prassi istituzionale, in particolare sostituendo la cultura
democratica costituzionale-repubblicana con una pratica politica
che dava luogo a un conflitto aspro, irresolubile e senza esclusione di
colpi, tra forze nemiche reciprocamente delegittimanti, con la conseguenza
di uno sfregio permanente e progressivo al sistema democratico.
Questa traiettoria solipsistica, peraltro legata all’anomala sovraesposizione
di una leadership carismatica, se da un lato creava una
situazione di sostanziale ingovernabilità del paese, suscitava infine un
crescente allarme in Europa, e più in generale nell’Occidente, per
una deriva – politica, istituzionale, ma, forse, soprattutto morale – di
un paese che, in una condizione di gravi tensioni economiche,
avrebbe potuto contribuire allo smottamento complessivo dell’intero
quadro politico-istituzionale europeo.
Se tentassimo di approssimare un bilancio, necessariamente provvisorio,
della parabola piduista, potremmo dire che essa ha avuto
successo nella pars destruens del suo progetto, senza però riuscire,
com’era prevedibile, a fondare il nuovo Stato che era nei suoi voti e
nelle sue aspirazioni e che qui e là s’è intravisto in alcuni progetti di
riforma costituzionale.
Oggi, la fuoruscita di Berlusconi dal quadro dirigente del paese
apre di fatto una fase «costituente» per il riassetto degli ingranaggi
della democrazia logorati da molti anni di pratiche improprie che
hanno devastato il costume civile e il terreno istituzionale. La fase
che si è aperta con le dimissioni di Berlusconi è affascinante e benefica,
anche se non possiamo nasconderci che la cultura democratica,
che ha subìto il ciclone piduista fornendo solo risposte frammentarie,
dando a volte l’impressione di non comprenderne l’essenza
profonda, si trovi oggi non del tutto preparata a quegli enormi
impegni che le stanno dinanzi sul piano istituzionale e civile.
Bibliografia
Si veda la documentazione pubblicata dalla Commissione parlamentare
d’inchiesta contenente sei relazioni, 16 tomi degli atti dei lavori, 4 tomi
sulle carte sequestrate a Castiglion Fibocchi, 9 tomi sui riscontri sull’attendibilità
delle liste, 25 tomi di documenti allegati alle relazioni, 2 tomi sulle
logge massoniche coperte, 20 tomi di documentazione su Loggia P2 e massoneria, 22 tomi su eversione e criminalità organizzata, 10 tomi su affari ed
editoria (in Atti parlamentari, IX legislatura, doc. XXIII, n. 2; per la consultazione
vedi gli Indici degli atti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla
loggia massonica P2, pubblicati nel 1995 dall’Archivio storico della Camera).
Biscione Francesco M., Il sommerso della Repubblica. La democrazia italiana e la
crisi dell’antifascismo, Bollati Boringhieri, Torino 2003.
Cesqui Elisabetta, La P2. 1979: un servizio di informazione nella gestione della
transizione, in Studi storici, 1998, a. XXXIX, n. 4, pp. 999-1029.
Comitato parlamentare per i Servizi di informazione e sicurezza e per il segreto
di Stato, Primo rapporto sul sistema di informazione e sicurezza (approvato
il 22 marzo 1995), Laterza, Roma-Bari 1995.
Flamigni Sergio, Trame atlantiche. Storia della loggia massonica segreta P2,
Kaos, Milano 1996.
Guarino Mario, Raugei Fedora, Gli anni del disonore, Dedalo, Bari 2006.
In difesa dello Stato, al servizio del paese, a cura di Giuseppe Amari, Ediesse,
Roma 2010.
Mola Aldo A., Gelli e la P2 fra cronaca e storia, Bastogi, Foggia 2006.
Stille Alexander, Il cavalier Miracolo. Citizen Berlusconi. La vita, le imprese, la
politica, Garzanti, Milano 2010.
(Il saggio è pubblicato nel volume “Le notti della democrazia.Tina Anselmi e Aung San Sun Kyi, due donne per la libertà”, a cura di G.Amari e A.Vinci, Ediesse, Roma, 2012, 109 sgg.)