Il conflitto che il Paese non può permettersi

di Pier Alberto Capotosti

Governo italiano - Presidenza del Consiglio dei Ministri (ovale)

Ancora una volta si è presentato un ennesimo conflitto interistituzionale: questa volta tra Governo e Parlamento in occasione dell’inaspettata approvazione da parte del Consiglio dei ministri del decreto sul federalismo fiscale. Il Governo infatti ha approvato il decreto con una sorta di colpo di mano, nonostante che il parere positivo su di esso espresso dalla maggioranza fosse stato bocciato dal voto della apposita Commissione bicamerale. Anche se tale parere non può vincolare le scelte governative in materia, tuttavia il Consiglio dei ministri, in caso di espressione negativa, deve seguire, per non incorrere in vizi di costituzionalità, prima dell’approvazione del decreto stesso, un’apposita procedura, come puntualmente ha rilevato il Presidente della Repubblica, dichiarando irricevibile il testo sottoposto alla sua firma .
Ma perché il Consiglio dei ministri ha preso questa scorciatoia così rischiosa? Non tanto per ragioni istituzionali, quanto soprattutto, a quanto pare evidente, per ragioni politiche. La maggioranza e, in particolare, la Lega, volevano cancellare immediatamente l’indubbio scacco subito in Commissione bicamerale, dove il parere positivo della maggioranza non aveva conseguito il consenso necessario. E soprattutto si voleva che l’elettorato leghista non rimanesse deluso da questo ennesimo stop al percorso per l’introduzione del federalismo.
Ma adesso che succederà? Il Governo dovrà presentare il testo del decreto alla votazione delle due Camere, comunicando le ragioni per le quali ha disatteso il parere negativo, poiché in questo senso lo obbliga la legge delega sul federalismo. I tempi quindi si allungano ed innegabilmente comporteranno un innalzamento della tensione politica, poiché questo episodio, al di là degli stretti profili giuridici, sul piano politico ha sollevato grande clamore, non solo per il clima di attesa che si era creato attorno a questa vicenda, ma soprattutto perché può avere dato l’impressione, per le modalità con cui si è svolto, di una sorta di affronto del Governo verso la Commissione bicamerale che, per la sua particolare composizione, può essere considerata rappresentativa dell’intero Parlamento. Tutto ciò senza contare che indubbiamente ha, in qualche misura, mostrato un comportamento poco ortodosso del Governo nei confronti del Capo dello Stato, che non poteva certo prevedere questa conclusione.
E quindi, ancora una volta, si elevato il livello dello scontro tra le istituzioni, nonostante che, solo pochissimi giorni fa, il Presidente della Repubblica avesse di nuovo pronunciato una decisa e forte esortazione a tutti ad abbassare i toni e le forme di contrapposizione. Il fatto è che questa legislatura, soprattutto negli ultimi tempi, ha posto in luce una serie innumerevole di conflitti tra istituzioni, che, molto spesso, scendono sul piano personale dei titolari delle cariche in questione: si pensi, tanto per citarne alcuni, agli scontri aspri e ripetuti tra il Presidente del Consiglio e il Presidente della Camera, o tra Presidente del Consiglio e magistrati addetti alle Procure della Repubblica.
Di fronte a queste continue “invasioni di campo”, le esortazioni alla concordia ed al rispetto reciproco non bastano più poiché la politica ormai ha assunto, con il declino e l’affievolirsi dei partiti, una dimensione sempre più personale, che incentiva, nel bene e nel male, forme più o meno spinte di protagonismo, che il circuito mediatico incentiva ed ingigantisce. Naturalmente il sistema elettorale basato sul criterio della cooptazione snatura la rappresentanza parlamentare favorendo forme di trasformismo, le più impensate.
In questa guerra di tutti contro tutti, le istituzioni di garanzia Presidente della Repubblica, Corte costituzionale preposte a fare rispettare le regole del gioco a giocatori fortemente indisciplinati, non hanno sempre gli strumenti più adatti per farsi ascoltare. È certo che la crisi attuale del sistema ha raggiunto una soglia molto pericolosa per la stessa tenuta del sistema democratico, poiché i cittadini osservano con malcelata rassegnazione la crescente disattenzione delle forze politiche ai reali problemi della gente e del Paese, incentivando così sempre più forme di astensionismo e di distacco dalla politica.
Il Presidente della Repubblica è il supremo Reggitore dello Stato e la sua missione si eleva soprattutto nelle situazioni di crisi, cosicché la sua funzione diviene ancora più delicata, ma è indubbio che l’ordinamento costituzionale, oltre che le personali propensioni del Presidente Napolitano, escludono “forzature” costituzionali di qualsiasi tipo.

(“Il Messaggero”, 5 febbraio 2011)

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