Gli anni parigini di Toni Negri, maitre à penser della sinistra radicale francese
di Anais Ginori
Le amicizie, le interviste e il successo. Soffriva dell’esilio ma riteneva di aver fatto bene a fuggire
Si era rifugiato in Francia grazie alla dottrina Mitterrand, dopo un’avventurosa fuga in barca attraverso la Corsica. E anche se diceva che l’esilio gli pesava, Toni Negri aveva trovato Oltralpe qualcosa di più di una protezione dai processi in Italia. Il “cattivo maestro” era già di casa nella Ville Lumière. Al momento del suo arresto, nella primavera del 1979, Negri era docente all’Ecole Normale Supérieure e all’Università di Parigi VII. Dopo il suo arrivo nella capitale francese nel 1983 aveva trovato un appartamento in boulevard Montparnasse, una nuova compagna, e grazie a una rete di amici e conoscenze lavorava per il ministero del Lavoro e insegnava all’Università Paris VIII.
La telefonata di Craxi
Il filosofo padovano era riverito dall’intelligentsia parigina, e protetto dalla sinistra al potere. Nelle sue memorie pubblicate nel 2004, l’ex ambasciatore francese a Roma, Gilles Martinet, racconta di una telefonata di Craxi. «Mi stanno facendo pressione per chiedere l’estradizione di Negri che è seguito giorno e notte dai carabinieri. Ma non tengo assolutamente a farlo tornare in Italia», aveva confidato Craxi a Martinet. «La sua fuga l’ha screditato, se rientra avrà invece una condanna pesante e diventerà un martire. Puoi chiedere a Mitterrand di fare in modo che sia sottratto alla vigilanza dei carabinieri e scompaia per qualche momento?». Martinet aveva chiamato Parigi e la questione Negri era stata risolta, fino a quando non è stato lui a decidere di tornare in Italia.
Gli anni da “sans papier”
Nei suoi primi anni parigini, aveva raccontato, viveva come un “sans papiers”. «Ho insegnato pur non avendo una carta di identità. Mi hanno aiutato i compagni dell’università di Parigi VIII», ha ricordato qualche mese fa parlando con Roberto Ciccarelli del Manifesto in occasione dei suoi novant’anni. Lo statuto da “rifugiato” non era stato formalizzato con documenti in regola. Era nella stessa situazione amministrativa di altre centinaia di fuoriusciti degli anni di Piombo scappati a Parigi ma si teneva in disparte dalla “compagneria” degli ex attivisti italiani. Negli anni Ottanta, pur avendo ritrovato nella Ville Lumière l’amico Oreste Scalzone con cui aveva fondato Potere Operaio, non partecipava alle estenuanti assemblee tra i “rifugiati” per discutere dei massimi sistemi ma anche, più prosaicamente, di come mettersi al riparo da nuovi arresti o sorprese giudiziarie. La sua compagna invece, la filosofa Judith Revel, è stata più coinvolta, partecipando alle ultime mobilitazioni per fermare le richieste di estradizione rilanciate dall’Italia due anni fa, promuovendo petizioni su vari giornali.
Il successo dei primi anni Duemila
Dopo il suo secondo ritorno in Francia, all’inizio degli anni Duemila, aveva pubblicato un’autobiografia in forma di manuale, frutto di interviste con la psicoanalista Anne Dufourmantelle. “In Francia non esiste l’odio politico”, sosteneva. Dietro alla scrivania comparivano frammenti della sua vita: foto di Felix Guattari e Gilles Deleuze, amici e parenti, incontri politici, ritagli di giornale, compresi quelli più feroci nei suoi confronti. Raramente il suo essere stato “cattivo maestro” in Italia era oggetto di dibattito nella sinistra francese. Prevaleva il suo statuto di intellettuale rispettato, con un momento di folgore e popolarità negli primi anni Duemila grazie alla pubblicazione di Multitude, firmato con Michael Hardt e pubblicato dalle Éditions La Découverte. Il filosofo sessantenne era così diventato il maître à penser dei giovani attivisti del movimento no global, restando comunque l’intellettuale di riferimento per la gauche radicale, interrogato da Libération e Le Monde a vario titolo, persino sul Milan, sua squadra del cuore.
Negli ultimi anni, aveva creato con altri ricercatori le riviste online “UniNomade” e “EuroNomade”. Collaborava regolarmente con Philosophie Magazine e con la nuova piattaforma intellettuale europea Le Grand Continent. Commentava anche la situazione politica francese, il movimento “diffuso” dei gilet gialli, l’ascesa della «fascista» Marine Le Pen e l’esperimento di unione delle sinistre sotto l’egida di Jean-Luc Mélenchon, che vedeva con favore. Nonostante più di quarant’anni di vita a Parigi confidava di soffrire ancora molto dell’esilio, pur dimostrando riconoscenza per un Paese che gli aveva dato una seconda chance. «Se devo dare un giudizio storico e distaccato penso di avere fatto bene ad andarmene», ha spiegato nell’intervista di agosto al Manifesto. «In Francia sono stato utile per stabilire rapporti tra generazioni e ho studiato. Ho avuto la possibilità di lavorare con Félix Guattari e sono riuscito a inserirmi nel dibattito del tempo».
(repubblica.it , 16 dicembre 2023)