Freud uccide la letteratura: parola di Isaac B.Singer
di Roberto Righetto
Nei suoi saggi sullo scrivere l’autore yiddish invita a diffidare di psicologia e sociologia. E in pagine mirabili evoca le sorprese del “romanzo di Dio”
La vera letteratura esprime l’invisibile e, come diceva il domenicano francese Jean Pierre Jossua, si rivela capace di pensare l’Assoluto nell’inquietudine della parola. Con lui altri critici letterari e teologi come il belga Charles Moeller e, per venire all’Italia, padre Ferdinando Castelli e Guido Sommavilla, hanno rilevato come la letteratura e la dimensione religiosa non siano due entità monolitiche da porre l’una di fronte all’altra, ma due realtà che si parlano e desiderano incontrarsi. Non molto diversamente sembra pensarla lo scrittore Isaac Bashevis Singer nel volume appena pubblicato da Adelphi col titolo A che cosa serve la letteratura? (pagine 220, euro 19,00), che raccoglie saggi apparsi su giornali e riviste poco accessibili, come il quotidiano yiddish “ Forverts”, e recentemente fatti uscire dagli archivi, recuperati e raccolti. Già l’inizio, una sola paginetta dal titolo “Il Satana del nostro tempo”, è fulminante: « Dentro di me – dice Singer – alberga la convinzione che ogni essere umano sia posseduto, e per me i veri scrittori sono coloro che sanno praticare l’esorcismo». Per l’autore di origine polacca costretto a emigrare negli Stati Uniti per sfuggire alla persecuzione nazista, la vera letteratura deve misurarsi con la trascendenza e con la realtà: « Il vero talento – scrive a un certo punto – non lotta tanto con l’ordine sociale quanto con Dio. Le persone di talento sono spesso pessimiste o addirittura fataliste. Ma non possono essere atee per la semplice ragione che per la loro stessa natura devono litigare con i sommi poteri». Il nemico della letteratura poi non è il giornalismo, dato che «il bravo scrittore è quasi sempre un buon giornalista», e si citano casi famosi come Cechov e Dostoevskij, Maupassant e Zola, Poe e Whitman. Semmai essa deve difendersi dalla sociologia e dalla psicologia, che le impediscono di esprimersi liberamente dando spazio all’immaginazione. Nel saggio che dà il titolo alla raccolta e che fu scritto nel 1963, Singer (Lencin 1903 – Miami 1991), che nel 1978 fu insignito del premio Nobel della letteratura, analizza con straordinaria preveggenza le cause del declino letterario. La mancanza di vero talento artistico viene così spiegata: « L’oggetto della letteratura è l’individualità, ossia l’unicità e la particolarità insite nella natura umana, nel destino dell’umanità e nelle circostanze in cui gli uomini vivono. Senza dubbio sono più le cola se che legano le persone di quelle che le separano, ma allo scrittore, alla fin fine, interessa solo ciò che le separa. La scienza – comprese la storia, psicologia e la psichiatria – è impegnata in una perenne ricerca di generalizzazioni, di formule, di leggi. Gli artisti, dal canto loro, vanno intenzionalmente alla ricerca di ciò che si verifica una sola volta». Poi se la prende con la decadenza dell’industria culturale, con gli editori e i critici: « La critica letteraria moderna si è lasciata condizionare dalla psicologia e dalla sociologia al punto da dimenticare che la letteratura possiede leggi sue proprie». E più avanti aggiunge polemicamente: «Gli scrittori convinti che la letteratura sia una branca della psicologia restano psicologi in letteratura e letterati in psicologia. I buoni romanzi contengono parecchi fatti riguardanti il comportamento umano, ma quando la letteratura pone le proprie fondamenta su Freud o su un qualunque altro maestro della psicologia è condannata al fallimento ». Rimarca come Dostoevskij non spieghi mai perché Raskolnikov abbia commesso il suo omicidio né riveli le motivazioni dei delitti nei Fratelli Karamazov: « Raskolnikov al fondo resta un enigma – come in realtà accade sempre, con gli assassini». L’enigma del male di cui è intrisa la natura umana. Per questo al fondo non è affatto pessimista sul futuro della narrativa: «Sulle rovine delle stupidaggini e delle banalità, della psicologia vacua, della finta sociologia, del simbolismo e del formalismo vuoti, nascerà un’arte dal carattere puro, un’arte che rivelerà le sorprese che si trovano unicamente nella personalità umana, nelle sue battaglie e nel suo sviluppo. La vera arte va al cuore delle cose, tocca la sostanza dell’essere e della creazione». Altrove Singer rievoca la sua passione per la Qabbalah e la dottrina dello tzimtzum, nonché per tutta la cultura yiddish, svela di essere personalmente intriso di scetticismo e insieme di fiducia in Dio. Mirabile il capitolo in cui con straordinaria arguzia descrive come oggi i critici accoglierebbero e recensirebbero il Decalogo, davvero tutto da leggere. Così come quello dedicato alla letteratura per l’infanzia, ove a un certo punto afferma: « I bambini non hanno alcuna difficoltà ad accettare l’esistenza di Dio, degli angeli e dei demoni. Si potrebbe dire che abbiano un senso istintivo del soprannaturale». Alfine, ammette: « Nel romanzo di Dio c’è suspence. Si va avanti a leggerlo giorno e notte. La paura della morte non è nulla in confronto a quella di essere costretti a chiudere il libro di Dio. Tutti vogliamo che la serie duri in eterno. La fede nella sopravvivenza ha un’unica spiegazione; rifiutiamo che la lettura subisca interruzioni. Lo scrittore celeste è pieno di sorprese. Non possiamo fare altro che pregare per un lieto fine. Il romanzo di Dio non avrà mai fine».
(avvenire.it , 22 maggio 2025)