E’ questione di tempo
Con la modernità e l’affermarsi del capitalismo abbiamo scoperto il tempo non come lo scorrere degli eventi di natura ma come una misura precisa. Quante volte abbiamo sentito dire «Il tempo è denaro»? Ma a pensarci bene, il tempo inteso come fenomeno oggettivo o come strumento per dare un senso alle nostre giornate (l’abbiamo utilizzato bene?) è fonte di disagio. Basta un viaggio, di quelli chiamati esotici, per accorgersi quanto ciò che per noi è una perdita di tempo, per altre culture possa equivalere a uno spazio di piacevole o necessaria conversazione. Non a caso, molte opere di letteratura e di altre arti del secolo scorso esprimono il fastidio dato dal mutamento dell’idea del tempo. Basti pensare ai romanzi e racconti dell’ebreo polacco Bruno Schulz (che il tempo lo sospende) o ai “Tempi moderni” di Charlie Chaplin.
“L’istituto per la regolazione degli orologi” del turco Ahmet Hamdi Tanpinar (Einaudi, traduzione di Fabio Salomoni, pp. 448, euro 22) con l’intelligente prefazione di Andrea Bajani, è un altro esempio di un romanzo, un capolavoro, costruito attorno alla questione di cosa succede a una società sottopposta a una modernizzazione accelerata. Tanpinar, scomparso nel 1962, uno dei padri della letteratura del suo Paese, in questo libro dai forti connotati satirici, la cui trama non può né deve essere riassunta, riesce a toccare con rara tenerezza tutti i sentimenti degli esseri umani. Si parla di amore, di ambizione, invidia, felicità e frustrazione.
Il protagonista è un impiegato di un ufficio che deve normalizzare il tempo e renderne la percezione univoca in tutta la Turchia. Ci riuscirà? La scoperta ai lettori. Intanto Tanpinar dice: attenti, perché la presunta oggettività della scienza è un mito non diverso da altri, considerati arretrati in quanto espressione della vecchia società; nel suo caso la società ottomana.
(“L’Espresso”, 16 gennaio 2015)