Dal Vaticano II al Gerusalemme II?
I. UNA VERA PENTECOSTE
(…) Il Vaticano II è stato un’autentica irruzione dello Spirito nella Chiesa, un avvenimento salvifico, un kairos. C’è un “prima” e un “dopo” il Vaticano II. Un tema così ampiamente studiato che basterà ricordare le linee fondamentali del cambiamento prodotto dal Concilio:
– dalla Chiesa della Cristianità del secondo millennio, centrata sul potere e sulla gerarchia, alla Chiesa del terzo millennio che recupera l’ecclesiologia di comunione tipica dei primi secoli e al tempo stesso si apre ai nuovi segni dei tempi (Gs 4; 11; 44);
– da una Chiesa centrata su se stessa a una Chiesa orientata verso il Regno; da una Chiesa società perfetta a una Chiesa mistero, radicata nella Trinità (Lg I);
– da una Chiesa esclusivamente cristocentrica (persino cristomonista!) a una Chiesa che vive tanto sotto il principio cristologico quanto sotto quello pneumatologico dello Spirito (Lg 4);
– da una Chiesa centralista a una Chiesa corresponsabile e sinodale rispettosa delle Chiese locali;
– da una Chiesa identificata con la gerarchia a una Chiesa Popolo di Dio con diversi carismi (Lg II);
– da una Chiesa trionfalista che si autoglorifica a una Chiesa che cammina nella storia verso l’escatologia accumulando polvere lungo la strada (Lg VII);
– da una Chiesa signora e dominatrice, madre e maestra universale a una Chiesa al servizio di tutti e in particolare dei poveri;
– da una Chiesa compromessa con il potere a una Chiesa solidale con i poveri;
– da una Chiesa arca di salvezza a una Chiesa sacramento di salvezza, in dialogo con le altre Chiese e le altre religioni dell’umanità, nel pieno riconoscimento della libertà religiosa (Dh).
In questo senso, si è detto che il Vaticano II, riguardo concretamente alla Lumen Gentium, è stato un Concilio di transizione, intendendo tale transizione come il passaggio da un’ecclesiologia tradizionale a un’altra rinnovata. Per alcuni si è trattato del passaggio dall’anatema al dialogo (R. Garaudy), di un autentico aggiornamento della Chiesa; per altri, eccessivamente ottimisti, del requiem del costantinismo…
II. E TUTTAVIA…
Senza entrare qui nel merito di ciò che è avvenuto nell’immediato e successivo postconcilio, lo stesso Vaticano II già presentava una serie di limiti che avrebbero finito per oscurarne gli elementi positivi. Anche al di là della serie di emendamenti dei gruppi più conservatori, i quali hanno introdotto nella sua ecclesiologia una certa ambigua dualità tra l’accento giuridico dell’ecclesiologia tradizionale e l’affermazione dell’ecclesiologia di comunione (…), il Concilio ha passato sotto silenzio temi già allora delicati: il celibato sacerdotale e la carenza di ministri ordinati, il ruolo della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici alla responsabilità ministeriale, la sessualità, la disciplina del matrimonio, l’elezione dei vescovi, lo statuto ecclesiologico dei vescovi ausiliari, dei nunzi e dei cardinali, la funzione della curia romana, la relazione tra democrazia e valori, tra leggi civili e morali, il rapporto con le Chiese orientali separate da Roma…
Queste lacune hanno fatto sì che la magnifica ecclesiologia di comunione del Vaticano II rimanesse spesso a metà strada per mancanza di mediazioni concrete in grado di tradurla nella pratica. Molti di questi temi si trasformeranno nel postconcilio, soprattutto al tempo di Paolo VI, in questioni non solo delicate ma anche conflittuali. Pensiamo ad esempio alla polemica sorta intorno alla Humanae Vitae.
III. INVERNO ECCLESIALE
Aggiungiamo il fatto che il Vaticano II, dopo quindici secoli di costantinismo ecclesiale, produsse molte reazioni e molti eccessi in seno alla Chiesa. (…). Alcuni settori conservatori opposero resistenza, ritenendo che la Chiesa stesse piegando le ginocchia di fronte alla Modernità (Maritain, Bouyer…). Ben più intransigente fu la posizione di Marcel Lefebvre che finì per costituire un gruppo dissidente (Fraternità di Pio X) che venne infine scomunicato da Giovanni Paolo II (1988) (…). Tali posizioni critiche erano anche condizionate dai limiti dell’ermeneutica e della ricezione del Concilio da parte di gruppi opposti. (…).
Il Sinodo dei vescovi del 1985 convocato da Giovanni Paolo II difese l’identità del Vaticano II di fronte ai suoi oppositori, ma sostituì il concetto di Popolo di Dio con quello della Chiesa Corpo di Cristo, rafforzò l’importanza della santità e della croce nella Chiesa (sicuramente ritenendo la Gaudium et Spes eccessivamente ottimista e umanista), cambiò il termine pluralismo con la parola pluriformità e tentò di leggere la Gaudium et Spes a partire dalla Lumen Gentium e non viceversa.
Si è detto che la minoranza che era stata “sconfitta” al Concilio ha preso a poco a poco nelle sue mani l’interpretazione e la conduzione del Vaticano II. Si è lentamente passati dalla primavera all’inverno conciliare (K. Rahner), al ritorno alla grande disciplina (J.B. Libânio), a una restaurazione ecclesiale (G. Zizola), a una notte oscura ecclesiale ( J. I. González Faus). (…).
Molti dei documenti del magistero prodotti al tempo di Giovanni Paolo II, come Apostolos suos (1998) sulle conferenze episcopali, Communionis notio (1992) sulle Chiese locali, l’Istruzione sulla collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti (1987), l’Istruzione Dominus Iesus (2000) sul dialogo interreligioso, segnano una chiara involuzione rispetto all’ispirazione più profonda del Vaticano II.
A quasi 50 anni dalla chiusura del Vaticano II, alcuni si chiedono se al Concilio sia successo realmente qualcosa. (…). Lo stesso Benedetto XVI preferisce parlare di una riforma senza rottura.
IV. CAMBIAMENTO DI ACCENTI
Ma se lasciamo un po’ da parte le diverse ermeneutiche e applicazioni del Vaticano II per concentrarci sul nuovo contesto socio-ecclesiale che viviamo oggi, constateremo uno spostamento di accenti e di interesse rispetto alla valutazione e all’attualità degli stessi documenti conciliari.
Per fare qualche esempio, (…) oggi vediamo che è il decreto Ad Gentes sull’attività missionaria della Chiesa ad acquistare maggiore attualità e urgenza, e ciò non solo per i cosiddetti “Paesi di missione” ma anche e forse soprattutto per gli stessi Paesi di tradizione cattolica, oggi bisognosi di una nuova evangelizzazione.
L’ecumenismo conciliare, espresso soprattutto nel decreto Unitatis Redintegratio, sembra un po’ superato di fronte all’attualità del dialogo interreligioso che lo stesso Vaticano II ha affrontato nel suo decreto Nostra Aetate. Che senso e che urgenza hanno le discussioni tra cristiani ortodossi, evangelici e anglicani, quando il problema grave è la relazione con le grandi maggioranze non cristiane? La problematica ecumenica evidentemente non viene meno, ma resta in secondo piano rispetto ai problemi religiosi e politici del dialogo con l’islam, l’induismo, il buddhismo, l’ebraismo e le religioni originarie, quello che alcuni chiamano macro-ecumenismo, per quanto ad altri questa espressione non piaccia. (…).
V. TRA IL CAOS E IL KAIROS
Al di là delle buone o cattive volontà, al di là delle differenti ideologie relative al Vaticano II, bisogna riconoscere che oggi ci troviamo di fronte a un cambiamento d’epoca, che stiamo entrando in una crisi di civiltà mondiale non precisamente distruttiva ma certamente di proporzioni inedite. Antropologi, sociologi, filosofi e storici riconoscono che viviamo in una situazione nuova, una specie di tsunami e di terremoto globale che investe tutte le dimensioni della nostra esistenza: sociali, economiche, politiche, culturali e anche religiose e spirituali.
La diffusione e accelerazione delle comunicazioni, la globalizzazione dei flussi energetici e delle risorse, i flussi migratori, l’impatto crescente e sorprendente della scienza, la minaccia della degradazione del pianeta producono in noi un’impressione di caos generalizzato. Se alcuni anni fa ancora si sognava il welfare state, oggi il mondo intero vive in un’atmosfera di insicurezza, di incertezza e di precarietà. La cosiddetta “epoca assiale”, il “tempo asse” che dal 900 a. C. fino al 200 a. C. ha configurato la saggezza e la cosmovisione religiosa della Cina (Confucio), dell’India (Buddha), della Grecia (Socrate) e di Israele (Isaia, Geremia e i profeti), è entrata oggi in una profonda crisi, tanto da far sorgere la necessità di elaborare un “secondo tempo assiale” (K. Jaspers).
Tutto ciò naturalmente investe la nostra coscienza religiosa ed ecclesiale. J.B. Metz ha così formulato i cambiamenti che viviamo a livello religioso ed ecclesiale. Rispetto a un’epoca di appartenenza pacifica alla Chiesa, siamo passati ad affermare “Cristo sì, Chiesa no”, per poi proseguire dicendo “Dio sì, Cristo no” e più avanti “religione sì, Dio no”, fino a concludere con “spiritualità sì, religione no”.
In questo clima caotico di cambiamento e incertezza generalizzati, la problematica del Vaticano II appare in qualche modo superata. Non ha più molto senso continuare a discutere di riti liturgici, di curia vaticana, della diminuzione della pratica domenicale, del controllo della natalità, della comunione per i divorziati o delle coppie omosessuali… I problemi sono molto più radicali e di fondo. E le giovani generazioni sono quelle che più lo percepiscono e che più ne risentono.
Il Vaticano II è stato un concilio fortemente ecclesiologico, centrato sulla Lumen Gentium e sulla Gaudium et Spes. Rispondeva alla domanda che Paolo VI aveva rivolto ai padri conciliari: “Chiesa, che dici di te stessa?”. Tutti gli altri documenti girano intorno alla Chiesa o convergono in essa: rivelazione, liturgia, laicato, Popolo di Dio, gerarchia, vita religiosa, ecumenismo, dialogo con il mondo moderno, ecc. Ma, pochi anni dopo il Vaticano II, lo stesso Paolo VI, durante una settimana sociale francese, sostituì la domanda del Concilio con quest’altra: “Chiesa, che dici di Dio?”. Secondo il teologo e cardinale Walter Kasper, il Vaticano II si è troppo concentrato sulla Chiesa e sulle mediazioni ecclesiali trascurando il compito di affrontare il vero e autentico contenuto della fede, Dio. E Rahner giunse ad affermare che il Concilio Vaticano I era stato più audace del Vaticano II nel trattare la questione del mistero ineffabile di Dio. E scrisse: «Il futuro non interpellerà la Chiesa sulla struttura liturgica più precisa e più bella, né sulle dottrine teologiche controverse che distinguono la dottrina cattolica da quella dei cristiani non cattolici, e neppure sul regime più o meno ideale della curia romana. Chiederà alla Chiesa di testimoniare la vicinanza del mistero ineffabile che chiamiamo Dio. (…) E per questa ragione le risposte e le soluzioni del passato Concilio non potranno essere che un inizio assai remoto del “che fare” della Chiesa del futuro».
La Chiesa deve concentrarsi sull’essenziale, tornare a Gesù e al Vangelo, avviare una mistagogia che conduca a un’esperienza spirituale di Dio. È tempo di spiritualità e di mistica. E anche di profezia, di fronte al mondo dei poveri e degli esclusi che costituiscono la maggior parte dell’umanità, e di fronte alla terra, alla madre terra, oggi seriamente minacciata. Mistica e profezia sono inseparabili. La Chiesa deve generare speranza e senso per un mondo orientato verso la morte.
Non è il momento di ritocchi parziali, viviamo un tempo che ricorda quello che ha immediatamente preceduto la Riforma. Bisogna puntare all’essenziale. E non lasciarsi trarre in inganno, cadendo nella vecchia tentazione di suonare il violino mentre il Titanic affonda…
In questo clima di perplessità e di crisi universale, noi cristiani affermiamo che, in mezzo a questo caos, è presente la Ruah, lo Spirito che aleggiava sul caos iniziale per generare la vita (…). Dal caos può sorgere un tempo di grazia, un kairos, una Chiesa rinnovata, nazarena, più povera ed evangelica.
Alcune voci postulano un nuovo concilio, ma in questo caso non dovrebbe essere un Vaticano III, bensì un Gerusalemme II…
(“Adista Documenti”, n.13 del 2012)