Croce e Gentile amici della scienza
A cento anni dal quarto congresso internazionale di filosofia, che si svolse a Bologna nell’aprile del 1911, diversi giornali e siti web hanno ricordato che il convegno fu la sede del divorzio fra scienza e filosofia. La rottura si sarebbe consumata nel vivo dello scontro fra il presidente del convegno, il matematico Federigo Enriques, e Benedetto Croce: Enriques era convinto che la filosofia dovesse essere legata al progresso delle scienze; mentre Croce, secondo questa vulgata, era contrario al dialogo fra le discipline umanistiche e le scienze esatte. Da allora, se siamo diventati un Paese segnato da una mentalità retorica e antiscientifica, lo dobbiamo principalmente a Croce, e a Gentile, che dall’inizio del secolo esercitarono la loro egemonia sulla cultura italiana.
Ci sono buone ragioni per non accettare questa interpretazione: innanzitutto perché non è possibile definire Croce e Gentile avversari della cultura scientifica; in secondo luogo perché il neoidealismo non monopolizzò la cultura italiana del XX secolo dalle origini fino a giorni recenti; in terzo luogo perché nel nostro Paese la scienza conobbe i periodi più proficui proprio quando i filosofi neoidealisti dispiegarono la loro maggiore influenza.
Partiamo dal congresso di filosofia del 1911. L’unico filosofo idealista di una certa notorietà presente a Bologna fu appunto Croce, che, tornando a Napoli, accusò Enriques di essere del tutto estraneo al mondo della filosofia. La polemica era nata qualche anno prima: Enriques era un matematico importante, uno studioso impegnato nei problemi del suo tempo. Persuaso che la scienza dovesse influenzare ogni settore della cultura, aveva discusso con Croce. La questione che li divideva era questa: le scienze sono uno strumento della conoscenza?
Enriques ne era convinto, mentre Croce lo negava, poiché riteneva che la ricerca scientifica potesse approdare a una conoscenza puramente descrittiva delle cose. Appartenendo al mondo della conoscenza empirica, per definizione estranea alla metafisica, la scienza, secondo Croce, non avrebbe potuto produrre concetti «veri» nel senso che egli attribuiva alla verità. Il suo obiettivo non era quello di negare valore alla scienza, che nel pensiero crociano avrebbe svolto una funzione utile e necessaria al progresso dell’umanità. Croce si considerava piuttosto un severo avversario del positivismo e dell’idea che la metodologia di ricerca delle scienze esatte si potesse applicare alla conoscenza della realtà.
Molti studiosi aderirono al pensiero di Croce, perché in esso riconobbero una fede laica nell’umanità e nella storia, pensata come opera collettiva alla quale ciascun individuo collabora con le sue capacità. In questo senso è certamente possibile parlare di egemonia crociana riferendosi al periodo 1903-13, quando, senza alcun potere accademico o politico, il filosofo fu in grado di dare una risposta alle domande provenienti da molti intellettuali italiani. Si trattò di anni difficili per la scienza? A giudicare dai risultati ottenuti da Camillo Golgi e Guglielmo Marconi, da Vito Volterra e Ulisse Dini, verrebbe da dire il contrario.
Il ruolo di Croce cambiò con la guerra di Libia. Da allora Gentile cominciò ad avere una maggiore influenza sui giovani studiosi. Con l’avvento del fascismo, poi, impose una vera e propria egemonia sull’organizzazione della cultura, contando sul sostegno di Mussolini. Nominato ministro dell’Istruzione nel 1922, Gentile portò in Parlamento la riforma che istituì il liceo scientifico e rese il liceo classico una scuola d’élite: l’unica che consentiva l’iscrizione a tutte le facoltà universitarie, la più selettiva, quella dove si insegnavano la letteratura, la storia e la filosofia, il latino e il greco, e le scienze in misura poco rilevante.
Ciononostante, fra i tanti che fra il 1922 e il 1925 espressero dure critiche contro la riforma, gli scienziati non furono certo in prima fila. Nel 1925 Gentile fu nominato direttore scientifico dell’Enciclopedia Treccani: un’istituzione imponente, che diede alle scienze uno spazio considerevole. A dirigere la sezione dedicata alla matematica Gentile chiamò proprio Enriques, chiedendogli di coordinare il lavoro di una sessantina di studiosi, fra cui ricercatori del calibro di Ugo Amaldi, Guido Castelnuovo ed Enrico Fermi. Nel 1928 il filosofo divenne direttore della Scuola Normale di Pisa e nel 1941 fondò la «domus galileiana», un importante centro di studio per la storia della scienza.
Se, dunque, l’egemonia di Gentile sulla cultura italiana fu una realtà indiscutibile, in che modo egli influenzò la scienza italiana? A giudicare dagli enti creati dal regime, dobbiamo constatare che la presenza di un filosofo neoidealista ai vertici dell’organizzazione culturale fu un fatto decisamente positivo: nel 1923 nacque il Consiglio nazionale delle ricerche; nel 1926 l’Istituto centrale di statistica; sempre nel 1926 l’Accademia d’Italia, che negli anni Trenta assunse il patrimonio dell’Accademia dei Lincei; nel 1927 l’Istituto di storia delle scienze; nel 1934 l’Istituto di sanità pubblica e nel 1939 l’Istituto nazionale di alta matematica e quello di geofisica.
Dagli anni Quaranta e poi dal decennio successivo, il neoidealismo fu una corrente minoritaria fra gli intellettuali italiani che accolsero l’esistenzialismo, la fenomenologia, il marxismo e il neoilluminismo e negli anni Sessanta recepirono gli stimoli offerti dallo strutturalismo. Da allora l’antropologia, la ricerca sociale, la psicologia, la critica letteraria e, ovviamente, la linguistica divennero campi del sapere di una cultura che si emancipava dalle strettoie in cui l’avevano confinata Croce e Gentile.
Proprio in quel periodo iniziò il lento declino della scienza italiana, sempre più isolata, senza spazi di autonomia e alle prese con un ceto politico privo di strategie. Dalla metà degli anni Sessanta tutti i premi Nobel italiani assegnati a scienziati furono vinti da ricercatori nati in Italia, ma professionalmente cresciuti all’estero. Nello stesso tempo in cui l’Istituto superiore di sanità e il Comitato nazionale per l’energia nucleare furono coinvolti in vicende giudiziarie che ne misero in discussione la gestione, le industrie private, che avrebbero potuto impegnare il loro capitale nell’innovazione tecnologica, posero fine a una stagione di investimenti coraggiosi. A sua volta lo Stato investì sempre meno nei campi che avrebbero potuto promuovere ricerca industriale. Tutto questo accadeva nell’Italia degli anni Sessanta, quando Croce e Gentile erano lontani nel ricordo degli intellettuali.
Ma allora, se è così, invece di accusare dei ritardi della ricerca scientifica i filosofi neoidealisti, invece di attribuire le colpe al liceo classico voluto da Gentile, o alla concezione crociana della scienza, perché non ricordare che la ricerca scientifica coinvolge una grande quantità di soggetti, come le industrie, le università, gli enti e gli istituti di ricerca non universitari, la pubblica amministrazione, i governi? E cioè che si tratta di un complesso di attività e di istituzioni che riguarda la cultura politica, le istituzioni e soprattutto l’economia di un Paese?
(www.corriere.it , sez.”Cultura”, 21 agosto 2012)
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