L’addio a Henry Kissinger, cent’anni di improntitudine

di Marina Catucci

IL SECOLO GREVE. Si è spento l’eterno segretario di Stato, «il criminale più amato dalla classe dirigente». Anche dopo essere uscito di scena con la presidenza Carter, l’influenza sua e delle sue idee è andata ben oltre la durata effettiva dei suoi mandati ufficiali

«Henry Kissinger, il criminale di guerra amato dalla classe dirigente americana, è finalmente morto». Così ha sobriamente titolato Rolling Stone l’articolo di Spencer Ackerman uscito poco dopo l’annuncio della morte del segretario di Stato più potente di tutti i tempi.

«L’infamia dell’architetto della politica estera di Nixon giace, eternamente, accanto a quella dei peggiori assassini di massa della storia. Una vergogna più profonda grava sul Paese che lo celebra», ha scritto Ackerman in un articolo ripreso e diffuso da tutta quella parte di America che lo aveva individuato come nemico sin dagli anni ’70, quando Nixon venne lo chiamò alla Casa Bianca come segretario di Stato, ruolo che ha mantenuto dal 1973 al 1976, passando attraverso due amministrazioni repubblicane, quella di Nixon e quella di Ford.…

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Delenda Carthago

di Raniero La Valle*

A Gaza non si sta svolgendo una tragedia locale, come tante che hanno devastato la vita di molti popoli, ma un evento di carattere epocale, che si apre a significati e forse a conseguenze di portata universale.

Intanto si deve dire che la guerra in corso non è una guerra, perché chiamarla così sarebbe una diffamazione perfino della guerra. Quei neonati allineati come fagottini fuori delle incubatrici per finire tra i detriti, gli ospedali e le chiese distrutte, 11.470 persone, tra cui 4.707 bambini, 3.155 donne e 668 anziani uccisi finora, l’intera Striscia ridotta a macerie e percossa per giorni e giorni, con premeditazione, non sono una guerra, ma una vendetta, come nemmeno nelle tragedie, una tremenda vendetta. Né questa guerra è come di norma è una guerra, il cui fine non è di uccidere: l’uccidere è il costo della guerra, il suo inevitabile strumento, non il suo fine che è invece la ragione per cui si fa la guerra, l’oggetto per cui si combatte, anche al costo della vita, tanto è vero che i morti non combattenti sono considerati “danni collaterali”, non voluti.…

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I massacri impeccabili dell’intelligenza artificiale

di Tonio Dell’Olio

Oggi Avvenire ospita un articolo interessantissimo dell’estroso artista italo-argentino Raul Gabriel sull’intelligenza artificiale applicata alla guerra. “La guerra – scrive Gabriel – è un beneficiario d’elezione per la narrativa epica che accompagna l’avvento delle intelligenze artificiali come un alone magico. Imaging ad altissima risoluzione, droni più umani degli umani che li guidano, bombardamenti talmente precisi che potresti tranquillamente fare colazione mentre viene raso al suolo l’ospedale di fronte al bar, cyberselezione mirata dei colpevoli, licenza di uccidere via software, che suona bene, molto più pulita”. È sulla precisione che Raul Gabriel punta maggiormente l’attenzione dal momento che secondo la credenza comune negli ambienti militari, l’intelligenza artificiale è in grado di ricentrare il “bias”, ovvero quella curva, quella tendenza a deviare che finora era considerata inevitabile nel centrare un obiettivo. Apparentemente – ma solo apparentemente – questa precisione ad altissima capacità tecnologica, rende eticamente accettabile l’applicazione dell’IA alla guerra. Insomma la nuova intelligenza garantisce guerre impeccabili, senza errori, effetti collaterali, sbavature tragiche.…

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L’insidia della Striscia, una doppia trappola per Israele

di Alberto Negri

 La trappola di Hamas a Gaza è scattata una prima volta e può entrare in azione anche un seconda perché un’azione militare massiccia nella Striscia presenta rischi altissimi che vanno dalla popolazione civile, ai militari, agli ostaggi

La trappola di Hamas a Gaza è scattata una prima volta e può entrare in azione anche un seconda perché un’azione militare massiccia nella Striscia presenta rischi altissimi che vanno dalla popolazione civile, ai militari, agli ostaggi. Gli esperti israeliani e internazionali ne sono convinti. Come sottolinea Sami Cohen professore a Science Po di Parigi e autore di molti libri sul Medio Oriente e Israele c’è stato un fallimento a due livelli, uno di intelligence, l’altro politico imputabile in gran parte a Netanyahu. Cohen è molto chiaro: i servizi di sicurezza interni, lo Shabak, fino qualche tempo erano ben informati su quanto accadeva a Gaza ma negli anni recenti hanno trascurato le fonti interne ad Hamas per affidarsi alla sorveglianza elettronica e ai “muri”.…

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Israele-Hamas-La guerra si allargherà? L’ombra dell’Iran e il rischio contagio

di Giorgio Ferrari

Sono ore cruciali. Mentre si attende la risposta israeliana sul campo, febbrili colloqui sono in corso tra l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti e il Consiglio di cooperazione del Golfo, che oltre a Riad include gli Emirati Arabi, Qatar, Kuwait, Bahrein e Oman.

L’intento è quello di fermare l’escalation tra Gaza e Israele.

Ma la domanda che rimbalza da una cancelleria all’altra è sempre una sola: quale futuro attende la polveriera mediorientale? Per tentare di capirlo e soprattutto per capire se l’incendio è destinato a propagarsi nel mondo arabo dobbiamo ripartire dall’Iran, ovvero da quella teocrazia sciita che formalmente si è dichiarata estranea al blitz di Shabbat dei falchi di Hamas sebbene fin dalle prime ore il presidente iraniano Ebrahim Raisi abbia espresso il pieno sostegno ai leader di Gaza, il jihadista Zyiad al Nakalah e il premier Ismail Haniyeh. Un chiaro appoggio al movimento che dal 2007 ha preso il controllo della Striscia esautorando Al Fatah.…

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Cile, i 50 anni di un golpe

di Federico Bonadonna

L’11 settembre del 1973 un golpe militare sostenuto e finanziato dagli Stati Uniti d’America abbatté il governo di Salvador Allende, il primo presidente socialista democraticamente eletto della storia. Accadde in Cile, dove il generale Augusto Pinochet instaurò una dittatura del libero mercato seguendo le ricette monetariste di Milton Friedman e la sua scuola di Chicago frequentata da alcuni cileni dell’alta borghesia fin dai primi anni Sessanta.

Fino al golpe Pinochet era un personaggio secondario nella storia cilena. Allende non saprà mai che il generale che aveva nominato appena venti giorni prima comandante delle forze armate sarà il traditore principale: “Pinochet non risponde, poverino, lo avranno imprigionato” dirà Allende a uno dei suoi collaboratori in quelle ultime, drammatiche ore, mentre i quattro caccia Hawker Hunter dell’aeronautica bombardano il palazzo presidenziale La Moneda. In quelle stesse ore, con la sua voce stridula, Pinochet dice all’ammiraglio Patricio Carvajal di proporre alla famiglia Allende di lasciare il Cile su un aereo per poi simulare un incidente in volo: “Se mata la perra se acaba la leva”, uccidere la cagna per eliminare la cucciolata.…

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Guzmán : “Il Cile deve ancora guarire dal golpe dell’11 settembre”

di Lucia Capuzzi

«Ho perduto molte cose nella vita ma non l’entusiasmo. Come ho fatto? Ho imparato che ciascuno di noi è chiamato a ricostruirlo dopo ogni delusione. È l’unico modo per non smettere di vivere». A 82 anni, la voce di Patricio Guzmán è flebile. Ma dentro ogni sillaba risuona lo slancio del trentenne rientrato in Cile dalla prestigiosa Scuola ufficiale di cinematografia di Madrid proprio quando, per la prima volta, un socialista aveva conquistato il potere con le schede elettorali. E quell’uomo, Salvador Allende, si accingeva a fare la rivoluzione all’interno dell’ordine costituzionale. Un esperimento inedito nel mondo spezzato in due blocchi contrapposti e, per questo, destinato a plasmare l’immaginario della sinistra ben oltre le Ande. «L’intero Paese era uno straordinario documentario. Svoltavi l’angolo e c’era una manifestazione, due strade dopo un collettivo artistico improvvisava un laboratorio. Avevo gli occhi pieni di immagini, dovevo solo prendere una telecamera e filmare. E l’ho fatto».

Per oltre un anno, Guzmán ha girato nelle fabbriche occupate di Santiago, nelle campagne in fermento, nelle piazze teatro di comizi e dimostrazioni di segno opposto.…

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Perchè l’11 settembre cileno ci riguarda ancora

di Tommaso Di Francesco

Il golpe orchestrato dagli Stati uniti sconvolse il mondo, e non bisogna dimenticare che dopo i consiglieri della Cia e gli istruttori militari del Pentagono arrivarono a Santiago, chiamati da Pinochet, i Chicago Boys, i campioni della scuola economica iperliberista di Milton Friedman

Il primo 11 settembre che stravolse le sorti del mondo non fu quello del 2001, pur epocale che, con l’abbattimento delle Torri Gemelle, colpì al cuore gli Stati uniti, rimasta l’unica super potenza dopo l’implosione dell’Urss.

Fu quello del 1973 in Cile con il golpe militare orchestrato dalla Cia e dal generale Augusto Pinochet contro il governo legittimo di Unidad Popular guidato dal presidente Salvador Allende in carica dal 1970.

Non proponiamo una lettura da “nemesi”, ma accadde prima delle Twin Towers e continuare a sottovalutarne la portata mondiale vuol dire relegare in un angolo uno stravolgimento violento e sanguinoso che segnò una ferita profonda, che apparve irreversibile nei rapporti internazionali. Non solo nell’intero continente latinoamericano – con lo sviluppo violento e militare elaborato dal Plan Condor con i golpe che seguirono in Argentina, Uruguay e Bolivia – ma anche in occidente, in Europa e segnatamente in Italia, condizionando pesantemente le strategie della sinistra.…

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Chiamamola privatocrazia sanitaria, una cancrena

di Nicoletta Dentico

Avevamo il secondo sistema sanitario più bello del mondo, per l’Oms, fino al 2000. Oggi almeno il 60% dei fondi pubblici finisce in mano ai privati; più del 50% delle strutture che si occupano di malattie croniche sono private. I tagli della prossima legge di bilancio assecondano questa metastasi.

Parecchi anni fa, in taxi per le strade di Nairobi, ricordo lo sbalordimento quando il taxista dichiarò en passant, ma con sarcastico sollievo, che nell’eventualità di un incidente con la macchina, la mia presenza a bordo avrebbe garantito la disponibilità di una carta di credito per accedere al pronto soccorso anche per lui. Già la privatizzazione della salute in Kenya rivelava le sue aberranti manifestazioni, incluso il fatto che – come raccontava il taxista con angoscia – anche partorire in ospedale comportava un costo che la maggior parte della popolazione non poteva permettersi. I parti difficili finivano male, perlopiù, era accaduto anche a sua figlia.

Oggi, nel paese che nel 2000 si collocava al secondo posto al mondo (dopo la Francia) per la qualità del servizio sanitario nazionale secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), ci stiamo dirigendo – un passo alla volta, neppure tanto lentamente – nella stessa paradossale direzione.…

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La revisione del Pnrr del governo Meloni

di Gianfranco Viesti

Il Pnrr e il programma RePowerEU sono stati ridisegnati dal governo Meloni all’insegna di un forte controllo politico, privilegiando i sussidi alle imprese e i progetti energetici delle aziende pubbliche, e tagliando i progetti per città, ambiente e Mezzogiorno. Analisi di dettaglio della revisione.

Con la proposta di revisione del PNRR e la parallela indicazione dei progetti del nuovo programma europeo RePowerEU presentate il 27 luglio scorso, il governo Meloni sta cercando di dare una propria impronta politica all’insieme degli interventi, anche al fine di accrescere il proprio consenso. L’obiettivo è, in particolare, quello di consolidare il sostegno del tessuto imprenditoriale grazie alla concessione di copiosi incentivi, e di finanziare alcuni grandi progetti in campo energetico delle partecipate di Stato (delle quali ha da poco rinnovato integralmente i vertici con esponenti di propria fiducia). Le risorse vengono però reperite riducendo o posticipando una vasta gamma di interventi pubblici diffusi sul territorio, specie in ambito urbano e nella transizione verde.…

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