Finte notizie dalla prigionia
di Giulio Busi
I detenuti erano costretti a scrivere ai parenti in tedesco narrando solo fatti positivi: le lettere servivano ai nazisti per scovare tra i destinatari altri ebrei. Oggi si sono rivelate utili per ricostruire profili e storie
Una donna ancora giovane, coi capelli folti, che si sforza di sorridere nell’obiettivo della macchina fotografica. Sulla copertina delle Lettere da Auschwitz , il bel volto mi fa dimenticare per un attimo il titolo. È mai possibile che qualcuna delle vittime abbia potuto scrivere da Auschwitz? E anche se lo ha fatto, cosa avrà detto, e a chi?
Ho subito cercato, sfogliando il volume, la foto. E mi sono fissato in mente la data: “1946”. I numeri possono essere più eloquenti di tante frasi. Vuol dire che Berthe Falk, questo il nome della sconosciuta, ce l’ha fatta, è uscita viva. Che a un anno dalla fine della guerra non riesca ancora veramente a sorridere è più che comprensibile. L’importante è che ci guardi dall’al di qua, che non si sia per sempre perduta oltre la barriera della morte.…
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